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Dall'intelligenza artificiale alla vita artificiale


Colloquio con Francesco Antinucci, responsabile della sezione Processi cognitivi e nuove tecnologie dell'istituto di Psicologia del Cnr, ed Ernesto Hoffman, direttore consulente Sistemi complessi di Ibm Italia, sulle applicazioni attuali e future

Come potremmo facilmente spiegare il concetto di intelligenza artificiale?


Antinucci: Ci sarebbe molto da dire sul test di Turing, tra l'altro c'è da ricordare un episodio interessante: molti anni fa fu fatto un programma capace di simulare le risposte di uno psicoanalista. L'intelligenza artificiale è uno dei tanti modi, dal punto di vista scientifico, che abbiamo - forse il migliore - per cercare di studiare il cervello, il suo funzionamento e che cos'è l'intelligenza.


Hoffman: Sono d'accordo con Antinucci anche se da un'angolazione leggermente diversa. A tutt'oggi non credo che si riesca a dare una definizione di intelligenza artificiale, per un motivo molto semplice: poiché credo che ancora non sia possibile definire cosa sia l'intelligenza.


Esistono due percorsi di ricerca nell'ambito dell'intelligenza artificiale, il primo è quello computativo, basato sulla capacità di calcolo. Che cos'è e a quali applicazioni conduce?

Hoffmann: In effetti uno degli aspetti elementari dell'intelligenza è la capacità di aggregare e disaggregare dati e, quindi, di riuscire a trarre da un'enorme congerie di dati un risultato univoco. Da questo punto di vista se il computer ha grande capacità di elaborazione, è chiaro che riesce in tempi brevissimi ad aggregare una molteplicità di dati e di conseguenza a eseguire dei procedimenti che non sarebbero alla portata di un individuo; penso all'esecuzione della radice quadrata di un numero complesso o al controllo dei parametri di un volo aereo. Tuttavia, questa non è intelligenza. Se guardiamo un insetto vediamo che non è in grado di eseguire una radice quadrata però sa volare molto bene. Anche un computer è tutto sommato in grado di volare ma questo tipo di applicazioni non sono applicazioni di intelligenza, sono solo grandi capacità di aggregazione e disaggregazione di dati che ben poco hanno a che vedere con quello che, secondo me, è l'aspetto che intriga chi si avvicina al mondo dell'intelligenza artificiale. Da una parte la creatività, quindi l'originalità dell'atto conoscitivo, dall'altra ciò che sottostà al ragionamento, la coscienza. E né l'una né l'altra sono oggi raggiungibili con questi metodi di computazione di massa.


Qual è, invece, l'altro approccio all'intelligenza artificiale?

Antinucci: L'altro approccio si avvicina alla considerazione reale della nostra intelligenza. È sicuramente difficile da definire ma c'è una buona definizione che identifica l'intelligenza con un sistema attraverso il quale noi riusciamo a sopravvivere. L'intelligenza ha una sua storia, si è evoluta sempre di più poiché attraverso di essa noi riusciamo a vivere. Il versante della cosiddetta
"nuova intelligenza artificiale", dunque, cerca di avvicinarsi al problema allargandolo paradossalmente e considerando l'intelligenza come una funzione generale, che ci permette di vivere, di evolverci nel tempo e di apprendere. È un approccio più evolutivo di quello che prende in considerazione il processo logico e particolari tipi di abilità. C'è un'intelligenza sociale, diffusa, che evolve, c'è un'intelligenza negli animali, c'è un'intelligenza ambientale... Affinché si possa avere l'intelligenza sono necessarie tante condizioni. In questo senso il secondo approccio cerca di metterle tutte insieme, tanto è vero che finisce con l'abbracciare un orizzonte anche più vasto che viene chiamato "vita artificiale" e, quindi, finisce con l'usare strategie simili a quelle che adoperano un bambino o un animale quando imparano o strategie di tipo biologico, ovvero intelligenze che evolvono nel tempo attraverso la loro reincarnazione in organismi diversi.


La letteratura e il cinema - dal celeberrimo Metropolis di Lang in poi - hanno giocato col concetto dell'automa che si umanizza, della macchina che conquista una coscienza. Perché questa visione?

Hoffmann: Non vorrei essere noioso ma mi permetto di citare Aristotele. Egli dice nel De anima che la più grande ambizione dell'individuo è quella di costruire qualcosa che lo replichi e, ovviamente, questo desiderio si attua biologicamente attraverso la generazione di un figlio. Ma se l'uomo fosse in grado di generarlo con le sue stesse mani - artificialmente - è chiaro che questo lo renderebbe molto più felice. Tracce di ciò le troviamo addirittura all'interno di alcune piramidi egiziane, nelle quali sono stati rinvenuti dei manufatti più o meno semoventi. Quindi il simile a se stesso, il semovente, il robot, l'automato poietikes - la cosa che si muove da sola secondo i greci - è ciò che in un certo senso rappresenta la nostra umanità; non c'è quindi da stupirsi che noi cerchiamo di costruire qualcosa di simile a noi stessi quasi in modo divino, non per generazione biologica ma per generazione intellettuale.

In molte rappresentazioni cinematografiche e letterarie gli automi nel momento in cui si rendono conto di possedere un barlume di coscienza, raffrontano la propria natura incompleta con quella umana, ricca invece di sentimenti e attraversano una fase di turbamento: si umanizzano nello smarrimento. Perchè?


Antinucci: Esistono delle caratteristiche umane e i programmi, come è naturale, cercano di replicare l'umano. Tuttavia, replicare è anche un modo per capire, anzi, penso sia il modo principale che abbiamo per capire. Se noi riusciamo a replicare una cosa che non abbiamo fatto e che ha fatto qualcun altro siamo sicuri di averla capita. È questo lo scopo epistemologico, di conoscenza che sta alla base del replicare. Nel caso dei robot è la stessa cosa. Ma attenzione: la natura umana è proprio quella di avere una serie di caratteristiche imperfette: di avere, cioè, una buona intelligenza ma non un'intelligenza perfetta, una buona capacità di adattamento ma non un adattamento perfetto, insomma di avere la capacità di commettere errori. Commettere errori non è una cosa semplice, è sicuramente una caratteristica abbastanza singolare poiché, una volta che un processo è noto, non si dovrebbe sbagliare. Una macchina non sbaglia e noi costruiamo macchine anche per questo motivo. Eppure l'uomo commette errori, che ci dice sull'uomo questo? Una delle cose interessanti è che l'intelligenza artificiale riesce a simulare meglio quelli che si chiamano sistemi esperti piuttosto che uomini comuni.


Deep Blue di IBM è stato un esempio di megacomputazione?

Hoffman: Assolutamente sì: al suo interno non vi era alcun tipo di algoritmo genetico e nessuno schema neurale. Deep Blue è una macchina che fa dei confronti seriali su ciascun microprocessore con una potenza altissima: confronta partite, visualizza sviluppi di partite e prende decisioni ma è semplice calcolo di massa, di forza.


Cosa sta realizzando IBM attualmente? Si è superato il concetto di ipercomputazione?

Hoffmann: Direi che quando Deep Blue giocava a scacchi col campione del mondo Kasparov non era esattamente chiaro quale fosse l'obiettivo. Il gioco degli scacchi chiaramente suscitava una gran sensazione presso il pubblico, presso i profani: una macchina che giocasse a scacchi meglio del campione del mondo affascinava. Il grande Goethe diceva che il gioco degli scacchi era il paradigma di ogni intelligenza umana, credo che oggi sarebbe scioccato nel constatare che questo non è assolutamente vero. Il gioco degli scacchi è frutto di una enorme capacità aggregativa e disaggregativa ma il punto non è solo questo. Mentre Kasparov si emoziona, Deep Blue non si emoziona, non si mette a piangere se sbaglia una mossa né è colpito da uno sguardo dell'avversario. Quindi, dal punto di vista psicologico è imbattibile, anche se è estremamente fragile per altri versi. Possiamo dire altresì che l'obiettivo reale di Deep Blue era molto più aggressivo, molto più profondo: era quello di arrivare alle radici stesse dell'intelligenza, che non sono altro che di tipo biologico. Se andiamo a vedere dove nasce l'intelligenza la vediamo nascere proprio nel Dna, a livello degli enzimi, delle proteine: nasce, cioè, al livello del riconoscimento più elementare dell'informazione. Oggi, infatti, sappiamo che il riconoscimento più elementare dell'informazione avviene a livello proteico, all'interno della cellula: una proteina è capace di riconoscere un atomo di ossigeno per utilizzarlo o, a livello immunitario, l'intrusione di un agente per ucciderlo. Questo tipo di conoscenza è fondamentale. Si sta quindi cercando di costruire una macchina che sia in grado di capire come si costruiscono le proteine perché, se le proteine devono conoscere l'avversario o l'alleato e lo conoscono soltanto attraverso la forma, bisogna capire che forma deve avere la proteina quando funziona. È il famoso problema del folding o del ripiegamento della proteina, un problema che apparentemente sembrerebbe alla nostra portata e che, in realtà, è il più grande - dal punto di vista computazionale - che l'uomo si sia mai trovato di fronte. È una situazione molto più complessa, ad esempio, di quella che potrebbe essere la simulazione dello scontro di due buchi neri: richiede una potenza di calcolo che, in ordine di grandezza, risulta essere miliardi di volte superiore a quella dei super computer attuali. Ibm sta mettendo a punto il nipote di Deep Blue, Blue Jean, il cui obiettivo è di riuscire a simulare il modo in cui una proteina viene costruita all'interno di una cellula. Se questo fosse possibile potremmo affrontare la stragrande maggioranza delle malattie degenerative e quindi venire a capo di una serie di enormi problemi: la sofferenza che le malattie degenerative producono, in primo luogo, ma anche gli svantaggi economici che queste malattie comportano per l'umanità.


Antinucci: Deep Blue ha dimostrato una cosa interessante: che il gioco degli scacchi non era il paradigma di ogni intelligenza umana. Non sappiamo esattamente che cosa fa Kasparov durante una partita a scacchi ma sicuramente non applica esclusivamente la pura logica deduttiva che è supposta essere quella degli scacchi. Applica anche delle caratteristiche intuitive, tra cui l'osservazione della scacchiera, della disposizione dei pezzi, e l'ascolto. Kasparov stesso riferisce che "sente" qualcosa. Ha mostrato in questo modo che anche nel comportamento che sembra il più logico, l'essere umano in realtà ha un tipo di intelligenza che non si conforma solo alla logica.


Quali sono i nuovi scenari dell'intelligenza artificiale. L'interessante sviluppo della Logica Fuzzy ha portato a qualcosa negli ultimi anni?

Hoffman: La logica Fuzzy è una logica di approssimazione che invece di essere freddamente deterministica - 0/1, vero/falso - cerca di andare, come l'essere umano, verso l'approssimazione. In teoria, almeno, dovrebbe funzionare in questo modo. Applicazioni veramente significative, però, finora non ne ho viste. Forse la più interessante che ho avuto modo di conoscere all'interno di realtà concrete è quella della metropolitana giapponese dove utilizzano la Fuzzy Logic per rilevare l'utilizzo ottimale dei treni, la quantità di passeggeri che usufruiscono delle linee metropolitane, la disposizione delle persone all'interno delle carrozze. Hanno usato la Logica Fuzzy perché si sono accorti che il lavoro che dovevano compiere a livello deterministico era troppo elevato mentre con un tipo di logica approssimativa hanno tentato, a grandi linee, di ottimizzare una serie di funzioni.


Quali sono gli usi attuali dell'intelligenza artificiale? Arriveremo mai all'idea di una macchina davvero umana?

Antinucci: Credo che l'esperienza insegni. Potranno esserci applicazioni del tipo di quella della metropolitana giapponese ma il tentativo super ambizioso di simulare le capacità logiche più astratte come se l'intelligenza fosse esclusivamente ciò, è stato come prendere una doccia fredda che ci ha riportato con i piedi per terra e ci conduce a percorrere una strada alternativa molto interessante: per capire l'intelligenza e riprodurla dobbiamo arrivare a riprodurre il processo attraverso cui è nata. Quindi, ripartiamo dalla vita, da esseri molto semplici, pluricellulari, dalle prime strutture neurali che questi generano e li facciamo evolvere: questo è un esempio di robotica evolutiva, un percorso evolutivo attraverso la selezione dall'ambiente. Arriviamo alla riproduzione attraverso una costruzione dal basso, direi con maggiore umiltà. L'evoluzione dell'intelligenza, la "complessizzazione" che ci condurrà a capire al meglio questi processi, questo è il futuro che vedo.


Quali sono le applicazioni del futuro?

Hoffmann: Una delle più entusiasmanti è secondo me quella dei "Chip array" o "Dna array". Si tratta in sostanza di chip al silicio, inseriti nel corpo o applicati esternamente, il cui compito è quello di arrivare a catturare le proteine che un gene malato - o un gene non corretto - produce all'interno di una cellula cancerosa: se si riesce a fare questo si può arrivare a comprendere al meglio quale è il tipo di cancro da distruggere. Attraverso queste applicazioni la diagnostica e la prevenzione potrebbero essere sicuramente migliorate, così come si migliorerebbero le terapie, che diventerebbero in questo modo più precise e mirate. La realizzazione di chip sui quali depositare dei composti organici del tipo del Dna per catturare le proteine, dischiude delle possibilità assolutamente straordinarie per una diagnostica di precisione, limitando di molto l'impatto di questo tipo di malattie degenerative sull'evoluzione dell'umanità.


Un'altra possibile applicazione è nei giochi. Cosa può offrire l'intelligenza artificiale in questo settore?

Antinucci: L'applicazione dell'intelligenza artificiale nel campo dei giochi è una delle più nuove. Sono in sostanza delle strutture che imparano e si adattano e, una volta contestualizzate all'interno di un gioco, sono capaci di conservare una traccia del comportamento del giocatore, arrivando alla fine a contrastarlo attraverso la creazione di difficoltà di livelli costantemente diversi. Chi gioca sa perfettamente che, per quanto una macchina possa essere sofisticata, la si aggira facilmente, si imparano i trucchi e la si fa "cadere". Con l'applicazione dell'intelligenza artificiale al gioco, invece, è la macchina che arriva a copiare i nostri comportamenti e che previene le nostre mosse.