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Nichetti: "La tecnologia è al servizio del progetto cinematografico""Honolulu Baby", il film di Maurizio Nichetti in uscita nelle sale cinematografiche il prossimo 23 marzo, ha utilizzato sofisticatissimi sistemi di edizione digitale ma mette gli effetti speciali al servizio della commedia. La produzione, inoltre, è stata monitorata da quattro webcam collegate a un sito Internet. Il regista ci parla di questa esperienza. Honolulu Baby è il primo film europeo e il secondo film mondiale ad aver usato le tecnologie digitali di post-produzione? Sì, praticamente abbiamo girato in 35mm ma non abbiamo mai stampato la pellicola: la novità sta nel fatto che tutto è stato trattato e lavorato al computer e dopo un anno di post-produzione abbiamo rigenerato un negativo, stavolta in cinemascope. Il risultato è che gli spettatori al cinema vedranno un film spettacolare in cinemascope ma noi l'abbiamo girato nel formato tradizionale. In quale altro modo avete usate gli effetti digitali? Come ho già detto, noi abbiamo girato un film in 35 mm cercando di curare moltissimo i tempi comici, la recitazione, la storia. Tutto il resto è stato finalizzato in post-produzione. Ad esempio: se un giorno non c'era il sole, potevamo aggiungerlo in post-produzione; se un palo disturbava un'inquadratura non ci dovevamo preoccupare, perché poi potevamo cancellarlo; se le comparse non si presentavano sul set le moltiplicavamo. Ecco, in questo senso, tutto è stato fatto e perfezionato successivamente. Quali sono, invece, i vantaggi nell'utilizzare tecnologie digitali come il motion capture? Le nuove tecnologie hanno due facce: un animatore può quasi arrabbiarsi a parlare di animazioni fatte da un mimo; un regista, invece, che sa di avere un mimo a disposizione per muovere un cartone animato, forse è più affascinato. A Parigi ho fatto delle motion capture e mi sono entusiasmato perché praticamente io dirigevo uno "scimmione", che in realtà era un attore munito di sensori che è servito a creare lo scimmione di una serie televisiva. Questo per dire che ogni nuova tecnologia accontenta qualcuno e scontenta qualcun altro. Come regista non corri il rischio di deviare un po' dal tuo progetto originale per cercare nuove strade? Io penso assolutamente di no, anche perché la tecnologia è sempre al servizio del progetto cinematografico. Ad esempio, chi andrà a vedere Honolulu Baby lo troverà simile ad altri film che ho fatto, ad esempio a Ratataplan di vent'anni fa, che era un film in 16mm. La comicità è simile, la differenza è che questa volta abbiamo lavorato in digitale, ogni fotogramma è praticamente "effettato", anche se questi effetti speciali sono "invisibili", come dice George Lucas. In quest'ultimo anno la bellezza dell'effetto speciale sta diventando "l'invisibilità": dopo 15 anni di fantascienza sfrenata stiamo arrivando a un uso più discreto dell'effetto speciale. Il digitale serve per modificare un'inquadratura, per modificare un colore, per moltiplicare delle comparse, però all'interno di un film che ha una sua identità autoriale e realistica molto precisa. Mentre giravi il film hai creato un sito Internet, HonoluluBaby.net, nel quale facevi vedere alcuni pezzi, svelavi alcuni segreti. In genere si è sempre un po' gelosi dei trucchi. È quello che mi hanno detto tutti all'inizio, però è stata un'esperienza incredibile. Ci sono sempre stati ragazzi che mi fermavano per strada per chiedermi di seguire il mio lavoro sul set: allora, ho preso quattro webcam, le ho messe sul set e siamo andati in diretta tutte le sere con il frutto del lavoro giornaliero. Chi ci ha seguito ogni giorno dal sito sapeva dove eravamo, cosa stavamo facendo, cosa giravamo. Poi il sito è stato arricchito con interviste agli attori, alla troupe, con le fotografie e gli storyboard: insomma, tutto il processo lavorativo attorno a un film. Oggi il sito è ancora aperto, perché è una memoria di quello che è stato e, in pratica, è già pronto per un Dvd, una tecnologia per un'interattività massima. Che "ritorno" hai avuto dal sito? Il sito è stato molto stimolante: la gente ha avuto la sensazione di essere lì con noi, in mezzo al deserto a girare il film. Nel deserto? Sì, siamo in mezzo al deserto: è un film pieno di avventure, di ragazze, per cui è una storia anche molto spettacolare. Il film riprende il personaggio dell'ingegner Colombo che, in Ratataplan, chiamato a fare un test attitudinale, chiuso in un totale mutismo, alle domande del cacciatore di teste risponde disegnando un albero pieno di colori. Cosa succede vent'anni dopo? Le due grosse novità sono, innanzitutto, che vent'anni fa voleva farsi assumere da una multinazionale e oggi lotta per non farsi licenziare. In secondo luogo, che vent'anni fa poteva tacere perché non sapeva l'inglese e, invece, oggi deve fingere di parlarlo, perché ormai se non parli inglese non mangi, non lavori, non vai in Internet, non giochi con i videogame; insomma, l'inglese è indispensabile, per cui anche Colombo come spagnoli, francesi e tedeschi deve comunicare in questa lingua che ormai è un mélange di tante culture. Ha un lieto fine, comunque? Assolutamente, sempre lieto fine! Honolulu Baby è una citazione di Stanlio e Ollio? Si, riprende Stanlio e Ollio che cantavano nel '34 la canzone dei figli del deserto, e anche un po' "Seven Chances" di Buster Keaton, che qualche anno prima in un film muto era inseguito da 150 donne. Ecco, il film muto di Keaton e il film sonoro di Stanlio e Ollio sono le due citazioni di Honolulu Baby. Verrebbe da dire che hai le radici nel passato della comicità di alto livello e guardi al futuro attraverso le tecnologie. A me è piaciuto pensare a questi due film perché in quegli anni è cambiato il cinema, come sta cambiando oggi. Il cinema va verso un futuro completamente nuovo proprio perché le tecnologie lo rivoluzioneranno completamente.
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