tema 8 giugno 1999
Tra guerra e pace
di Gino Roncaglia
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Molti sono gli avvenimenti di quest'ultimo mese di guerra nei Balcani. Il primo
maggio a Roma il tradizionale concerto che si tiene nel giorno della festa dei lavoratori
si apre con la performance di Goran Bregovic: la sua musica suona come un appello per la
pace. Nelle prime ore di domenica un bombardiere Nato nel corso di un'operazione distrugge
il ponte di Luzane a nord di Pristina: nell'attacco muoiono 34 civili che viaggiavano su
un mezzo di trasporto pubblico. Il 2 maggio, in seguito alla mediazione del reverendo
Jesse Jackson, tre marine statunitensi vengono liberati dall'esercito serbo dopo un mese
di prigionia.
Tre giorni dopo, siamo al 5 maggio, viene concesso al leader degli albanesi in Kosovo,
Rugova, di lasciare Pristina, dove nel mese precedente era rimasto sotto stretto controllo
della polizia serba. Rugova
atterra all'aeroporto di Roma accolto dal presidente del consiglio Massimo D'Alema. E'
il 7 maggio quando, per un errore, durante un bombardamento Nato viene colpita
l'ambasciata cinese a Belgrado. I morti sono tre. Le proteste sono violentissime,
l'ambasciata statunitense a Pechino è per due giorni assediata dai manifestanti. Due
giorni dopo il leader cinese accoglie le scuse ufficiali del presidente americano Clinton
ma la situazione fra i due Paesi rimane tesa.
I bombardamenti si moltiplicano nel corso delle due settimane successive e causano,
nelle città serbe colpite, continue
interruzioni della fornitura di energia elettrica e di altri servizi essenziali, mentre
alla frontiera fra Kosovo e Albania proseguono gli scontri fra le forze armate yugoslave e
i guerriglieri dell'Uck. Il ministro degli esteri russo Cernomyrdin si reca due volte a
Belgrado, senza risultati concreti. Il 27 maggio il tribunale internazionale contro i
crimini di guerra dell'Aia incrimina, per i
crimini commessi in Kosovo, il presidente serbo Slobodan Milosevic ed altri quattro alti
ufficiali legati al suo gabinetto.
Sempre il 27, il consorzio Eutelsat decide
di bloccare le trasmissioni satellitari della Tv Yugoslava Rts, che nei primi due mesi
di guerra aveva continuato a essere ricevibile in tutta Europa, con brevi interruzioni
causate dai bombardamenti. La Repubblica Federale Yugoslava, membro del consorzio,
protesta vivacemente. Tra fine maggio e inizio giugno, col crescere dei bombardamenti,
aumentano anche le vittime civili dovute a errori Nato: secondo le fonti serbe, circa
sessanta in soli tre giorni.
Gli sforzi diplomatici si intensificano: tra la fine di maggio e i primi giorni di
giugno, il finlandese Martti Ahtisaari e il russo Viktor Cernomyrdin svolgono
un'intensissima attività di mediazione.
Il 3 giugno il Parlamento jugoslavo approva con 136 voti favorevoli, 74 contrari e tre
astenuti il piano di pace stilato da russi e occidentali.
Il giornalista e scrittore Furio
Colombo ha posto il problema del ruolo di Internet nella guerra in corso.
"In
sostanza a me sembra che la guerra abbia rivelato alcuni aspetti della natura della Rete.
Io ho provato a dirlo così: chi scrive in Rete si sente vicino a quello che sta facendo e
dicendo e lontano da coloro cui il messaggio e' destinato. Esattamente l'inverso della
radio, in cui chi parlava - penso ai messaggi di guerra durante la seconda guerra mondiale
- si sentiva vicino a chi ascoltava, cercava di portare il messaggio il piu' vicino
possibile a chi ascoltava, quindi di adattarne la comunicazione in modo che fosse ricevuta
come sensata da chi ascoltava. Chi scrive in Rete durante questa guerra, scrive vicino a
se stesso: i Serbi per i Serbi, i Kosovari per i Kosovari, coloro che sono vicini alla
Nato dal punto di vista della Nato e coloro che sono contro la Nato dal punto di vista
della loro posizione. Non ho rintracciato nessuna indicazione di dialogo e neanche la
presenza di agenzie o di "autonominati pacieri" o mediatori che in qualche modo
abbiano usato la Rete per far la spola tra diversi punti di vista e cercare dei punti in
comune o cercare dei contatti".
Ma Internet non è solo terreno di
informazione e propaganda: si è parlato spesso, negli ultimi giorni di guerra, della
possibilità che anche le reti telematiche, in questo caso le reti telematiche serbe,
diventassero veri e propri obiettivi militari, così come è successo per le altre
infrastrutture informative. E c'è di più: si è accennato alla possibilità di attacchi
informatici contro siti e banche, dati vitali per il regime di Milosevic. L'information
warfare, la guerra informativa, si trasformerebbe così in vera e propria cyberwar, in
guerra informatica. È una possibilità concreta?
Secondo la rivista americana Newsweek, un piano segreto
commissionato da Clinton alla Cia prevederebbe, fra l'altro, azioni di cyberwar. Veri e
propri agenti-hacker avrebbero il compito di penetrare in sistemi informatici vitali per
il regime serbo, sabotandoli. E questo non solo in Yugoslavia ma anche all'estero - ad
esempio 'svuotando' i conti in banca esteri di Milosevic. Non è certo la prima volta che
si parla di cyberwar: una ricerca
promossa del Segretario alla Difesa americano e recentemente pubblicata è dedicata in
gran parte a questo tema. È però la prima volta che si parla di progetti specifici, in
relazione a un conflitto quale quello dei Balcani. Ma la diffusione di pratiche di
cyberwar non potrebbe rivelarsi un boomerang, pericoloso in primo luogo proprio per i
Paesi informaticamente più avanzati? Inoltre: quali conseguenze avrebbero azioni di
sabotaggio che, pur compiute nei territori virtuali delle reti, finirebbero per colpire
sistemi collocati in Paesi terzi?
Secondo
Stefano Silvestri, giornalista ed editorialista de Il Sole 24 Ore, "Finora le
manovre offensive di cyberwar che ci sono state sono servite soprattutto ad alloggiare
operazioni nei Paesi più avanzati, dipendenti dai computer, come gli Stati Uniti. Ci sono
stati episodi come durante la guerra nel Golfo: degli hacker, semplicemente dei ragazzi,
hanno effettivamente danneggiato il dispiegamento delle truppe per un giorno, perché sono
intervenuti sul sistema computerizzato amministrativo. Quindi la cyberwar per questi Paesi
è essenzialmente una misura difensiva, non offensiva. Può però danneggiare terzi Paesi:
per esempio se pensiamo che le telecomunicazioni, le reti elettriche sono in genere
gestite da computer e sono transtazionali, quindi come tali possono avere su terzi
conseguenze notevoli".
Rai Educational, d'intesa con il Ministero della Pubblica Istruzione,
ha realizzato un programma didattico dal titolo "Kosovo perché" che sarà
distribuito anche in videocassetta nelle scuole per offrire uno strumento di riflessione,
memoria ed analisi e che è disponibile sul nostro sito in RealVideo. Lucio Caracciolo,
direttore della rivista italiana di geopolitica "Limes", ripercorre tensioni e
conflitti nei Balcani durante l'arco di tutto un secolo. |
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