Le nuove tecnologie della comunicazione
stanno rivoluzionando l'accesso all'informazione. Il costo della comunicazione diminuisce.
La telefonia mobile e satellitare rende la telecomunicazione accessibile non solo alla
popolazione urbana ma anche a quella che vive in zone lontane dalla città. Internet
permette l'accesso ad infinite risorse di informazioni da ogni paese del pianeta. Per
indicare questo fenomeno si parla, come sapete, di globalizzazione. Ma la globalizzazione
è veramente globale? Tutti partecipano nello stesso modo a questo fenomeno o ci sono
paesi che ne restano esclusi? Oggi parleremo di uno degli aspetti più interessanti della
globalizzazione e cioè cercheremo di capire se effettivamente si tratta di un processo
mondiale.
Iniziamo dando innanzitutto una definizione precisa del termine globalizzazione. Lo
abbiamo chiesto ad uno osservatore delle dinamiche globali, il filosofo francese Armand
Mattelard:
"Credo
si possa affrontare il problema da due lati. Innanzi tutto credo che per globalizzazione
si possa intendere "l'accerchiamento" finanziario del globo da parte delle
grandi reti finanziarie, attraverso le quali gli stati-nazione sono portati ad interagire
fra di loro. In secondo luogo, direi, che la globalizzazione è anche un'ideologia, ossia
il rimodellamento - gli americani parlano di world shaping - del mondo a partire
dalla "Idea globale". Un'idea di riordinamento globale secondo determinati
interessi politici ed economici. Credo che attualmente non si possa analizzare il processo
di globalizzazione al di fuori della strategia egemonica
degli Stati Uniti. Credo che fondamentalmente il termine globalizzazione si sposi e
faccia rima con unipolarità".
Il fenomeno della globalizzazione, che sta al centro del discorso economico e politico
del nostro tempo, è indissociabile dalla diffusione delle tecnologie informatiche, e
dalla diffusione della Rete. Si potrebbe anzi affermare che la globalizzazione è
essenzialmente conseguenza del fatto che la produzione delle merci (sia quelle informative
che quelle materiali) è sempre meno legato ad un territorio, e dipende sempre di più
dalla integrazione telematica di lavoratori lontani fisicamente tra loro. Ma la
globalizzazione non porta automaticamente ad un sistema economico integrato, né ad un
superamento dei disequilibri economici tra le diverse zone del pianeta.
Al contrario. E' provato che negli ultimi anni la forbice tra ricchi e poveri nel mondo
tende ad allargarsi.
Una minoranza dell'umanità planetaria consuma
l'enorme maggioranza delle risorse. Il nostro problema oggi è questo: le nuove tecnologie
sono destinate a ridurre la miseria e lo squilibrio, oppure tendono ad accentuarlo? Se non
intervengono azioni correttive guidate dalle organizzazioni internazionali, la tendenza
spontanea va verso un aumento della distanza. I paesi ricchi hanno una maggiore
connettività, un maggior livello di scolarizzazione, e quindi maggiori capacità di
utilizzare le nuove tecnologie di comunicazione.
La distribuzione della ricchezza e della miseria disegna oggi delle mappe diverse da
quelle del passato. La virtualizzazione si diffonde secondo un disegno a macchia di
leopardo, e non segue il rigido confine Nord Sud.
Nel nostro immaginario culturale la distinzione tra il Nord e il Sud del mondo ha
sempre indicato anche una differenza tra i paesi poveri e i paesi ricchi. Oggi, lo
sviluppo delle nuove tecnologie della comunicazione e il fenomeno della globalizzazione
interrompono questi schemi. Sappiamo, ad esempio, che l'India, il cui reddito pro capite
medio è tra i più bassi del mondo, ha conosciuto negli ultimi anni uno sviluppo
dell'industria informatica. Nella città di Bangalore
si calcola che il dieci per cento della popolazione sia composto da ingegneri informatici.
In una zona della città vengon assemblati i computer ed i software Ibm, Digital, Hewlett
Packard, Texas Instruments, Motorola, Bull, Sun e Oracle. Ma solo una piccolissima parte
della società indiana viene effettivamente coinvolta dalla diffusione delle nuove
tecnologie. E del resto si può osservare anche un fatto complementare, cioè la creazione
di sacche di sottosviluppo e miseria nelle periferie delle grandi città occidentali.
Dunque la globalizzazione non porta un maggior equilibrio nei redditi e nei livelli di
vita, ma solo una redistribuzione delle mappe di povertà e di ricchezza.
L'esclusione dalle reti tecnologiche globali determina una emarginazione economica dai
flussi di ricchezza e di sapere. Ma quali sono i fattori che determinano l'esclusione
dall'accesso alle nuove tecnologie? Il primo fattore di esclusione è la arretratezza
delle infrastrutture tecnologiche, il secondo è legato alla formazione scolastica.
Iniziamo dalle infrastrutture.
Nei paesi poveri le infrastrutture
comunicative sono generalmente poco sviluppate, e spesso funzionano male. Si calcola che
nel mondo solo un miliardo e duecento milioni di persone abbiano accesso alla rete
telefonica. In Africa soltanto una famiglia su cento ha una linea telefonica a casa contro
circa il 95% in Europa. Così come soltanto il 10, 15% delle famiglie hanno la televisione
in Africa contro il 98% delle famiglie in Europa. E' evidente da queste cifre che la
grande maggioranza della popolazione mondiale è esclusa a priori dal circuito
globalizzato della informazione dell'economia.
Ma anche se l'accesso alla rete telefonica si sviluppasse rapidamente, come in effetti
sta accadendo grazie alla telefonia cellulare, rimarrebbe il secondo problema: i paesi
più poveri sono quelli in cui la scolarizzazione è più bassa, e di conseguenza le
competenze per un uso appropriato delle tecnologie telematiche rimangono una risorsa rara.
Quasi un miliardo di persone entreranno nel 21 secolo incapaci di leggere
un libro o di scrivere la propria firma, tanto meno di usare un computer o di capire un
semplice modulo. Continueranno a vivere tra malattie e miseria, in condizioni peggiori di
chi, invece, sa leggere e scrivere. Sono gli analfabeti funzionali del mondo, e il loro
numero è in aumento.
I dati parlano di oltre 130 milioni di bambini in età
scolare, 73 milioni dei quali bambine, che stanno crescendo nei paesi in via di sviluppo
senza poter accedere all'istruzione di base. Altri milioni languono in scuole scadenti,
dove si impara assai poco.
Molti paesi non hanno ancora inserito l'educazione tra le loro priori.
Tutto questo è contenuto nel rapporto annuale che il Fondo delle Nazioni Unite per
l'infanzia, cioè l'Unicef, stila ogni anno per fare
il punto della situazione sui paesi del terzo mondo.
Parlare di nuove tecnologie applicate all'insegnamento in questi paesi fa parte ancora
dell'utopia. Ciò nonostante l'utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione può, in alcuni
casi, ridurre i costi di gestione di queste grandi organizzazioni.
Da qualche anno l'Unicef ha messo a punto, per esempio, un sistema di
teledidattica a distanza che permette di formare gli operatori che saranno poi impegnati
direttamente sul campo. L'Unicef è presente in 166 paesi. Oggi grazie al collegamento in
Rete questi 166 paesi possono comunicare in tempo reale per scambiarsi informazioni. di Tiziana Alterio |
Il problema decisivo è dunque quello della formazione. Purtroppo però i paesi più
poveri sono anche quelli in cui i livelli di scolarizzazione rimangono più bassi. |
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