Oddio, ho perso il mio nome
Per
farsi vedere su Internet, aziende, enti pubblici e privati cittadini
devono registrare il proprio nome sulla Rete, nome che viene chiamato
"dominio" dagli addetti ai lavori. Ma avete mai provato
a collegarvi a un sito Internet con il vostro nome? Potrebbe essere
già stato registrato da qualcuno che si chiama come voi,
oppure da una società disposta a vendervelo a caro prezzo.
Questo fenomeno è un grosso problema del Web e si chiama
cybersquatting. Spesso, attorno ai domini si sono scatenate delle
vere e proprie guerre, a volte per motivi culturali, spesso per
motivi economici.
Nella storia di Internet sono numerosi i casi in cui un'azienda
o un personaggio dello spettacolo ha fatto causa a un'altra azienda
o a una persona fisica perché si è vista sottratta
il nome che riteneva spettarle di diritto. Ma l'importanza dei
domini va oltre ai confini delle singole aziende e addirittura
delle singole nazioni: ecco perché la Commissione Europea
chiede a gran voce il dominio "eu", che significa l'affermazione
di un'identità europea, al pari di quella americana.
Questione politica, la battaglia tra Usa e Europa.
Fino al '97 la gestione tecnica e strategica dei domini Internet
mondiali è stata appannaggio degli Stati Uniti. Poi le
cose sono un po' cambiate ma la nascita dell'Icann come struttura
no profit e teoricamente super partes non ha certo messo
fine a una guerra cyber-politica per il controllo sugli interessi
strategici nel mondo della Rete. In questo contesto, Bruxelles
lancia il dominio "eu", la firma Web di Eurolandia,
che significa l'affermazione di un'identità europea, al
pari di quella americana e in concorrenza con essa, nel mondo
del commercio, dell'offerta di servizi e della comunicazione on
line.
Ed è notizia recente, la Commissione europea ha recentemente
approvato la Proposta di regolamento al Parlamento europeo e al
Consiglio concernente la messa in opera del dominio Internet di
primo livello .EU
Il dominio ".eu" - secondo la Commissione - contribuirà
a fare chiarezza e consentirà di evidenziare la specificità
europea in molti settori. Inoltre, la sua introduzione al momento
del passaggio alla moneta unica avrà un grande valore simbolico.
L'introduzione di un dominio ".eu", poi, potrà
costituire un'opportunità importante per liberarsi a poco
a poco dalla supremazia americana sui nomi a dominio.
La questione economica e quella culturale.
Il dominio non è più solo un indirizzo da digitare
nel browser per collegarsi a un sito, ma è un fattore fondamentale
per ogni impresa online. Avere un dominio azzeccato, facile da
ricordare, che faccia presa sul pubblico, può segnare la
differenza tra il successo e il fallimento. Ma cosa succede quando
una multinazionale ha la stessa denominazione, ad esempio, di
un gruppo di artisti? E' il caso di Etoy, un gruppo di sette artisti,
nato nel 1994, che scelgono il Web come strumento per diffondere
la loro arte. Ma hanno un nome troppo simile alla multinazionale
del giocattolo Etoys, che li vuole schiacciare. Ne nasce una guerra
"in nome dell'arte", giocata interamente sul Web, che
si conclude con la vittoria dei più deboli, e con una multinazionale
che, chiedendo scusa, si ritira su tutta la linea.
I casi famosi
All'inizio degli anni novanta, un giornalista della rivista americana
Wired ha registrato a suo nome il dominio Internet www.mcdonalds.com
e ha obbligato la corporation del panino a pagare tremila dollari
per poterlo utilizzare. La popstar Madonna ha dovuto faticare
non poco per riappropriarsi del dominio,
registrato precedentemente da Dan Parisi, celebre produttore hard
core della Whitehouse.com. Alla fine, sostenendo che il dominio
Internet le appartiene in quanto è detentrice del copyright
sul termine "Madonna", ha vinto il ricorso presso l'Organizzazione
mondiale per la proprietà intellettuale (Wipo). Anche l'attrice
Julia Roberts ha ottenuto dalla stessa Wipo l'assegnazione del
proprio dominio,
in precedenza registrato da Russell Boyd, noto per avere registrato
numerosi domini con i nomi di celebrità internazionali,
e che aveva tentato di venderlo ad un prezzo superiore ai 2.500
dollari.
Diversa la vicenda di Sting che prima si è visto respingere
la proprietà del sito Sting.com che apparteneva ad una
persona con il cognome omonimo di Sting. Ma poi è riuscito
a rinconquistarsi il suo dominio che è passato sotto la
proprietà della "Steerpike" azienda di proprietà
della famosa rock star.
E poi c'è la vicenda di Sex.com, il portale "hard
core" più famoso del mondo che, però, per quasi
cinque anni, ha fatto ricco un gestore abusivo che è stato
condannato a restituire tutto al legittimo proprietario: 65 milioni
di dollari (oltre 130 miliardi di lire), il risarcimento danni
per indebita sottrazione di uno dei domini Web più importanti
della storia di Internet.
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