Delle
tante rivoluzioni scatenate da Internet, quella in campo economico è
senza dubbio una delle più importanti e oltretutto, siccome siamo
tutti consumatori, tocca anche chi non si interessa direttamente del
mondo digitale. Prendiamo spunto da alcuni articoli apparsi sulla
stampa sia italiana che straniera nei giorni scorsi. Cominciamo con Repubblica
del 3 maggio: "Un milione di ricchi in più grazie al boom di
Borsa", un boom alimentato appunto da Internet, come viene
specificato nelle prime righe dell'articolo. Lo stesso giorno, Wired
pubblicava un articolo secondo cui il numero di milionari Usa è
passato da 3,5 a 5 milioni dal 1996 a oggi. Ancora una volta grazie
alla borsa spinta in gran parte da Internet. Ma è davvero così?
Davvero Internet può trasformarsi in una fonte di ricchezza? Oppure
di fronte a tanto entusiasmo è necessaria anche una certa cautela?
"La
parola magica sembra essere, dunque, investire in borsa, possibilmente
nel mitico Nasdaq,
il listino americano dove vengono quotate le società high tech e
legate alla nuova economia. E questa passione della borsa ha
improvvisamente contagiato anche chi fino a qualche anno fa a comprare
e vendere azioni non pensava nemmeno. Merito della facilità con cui
oggi è possibile investire in borsa stando davanti al proprio
computer? O forse di una sorta di euforia collettiva alimentata dalla
speranza di entrare tra quei milioni di nuovi ricchi? Fatto sta che il
popolo dei trader online, solo in Italia, ha toccato quota 200 mila ed
è in continua crescita. Casalinghe, impiegati, pensionati, studenti
che ogni giorno si collegano a uno dei molti siti specializzati e
seguono con trepidazione gli indici azionari.
Naturalmente
c'è anche un rovescio della medaglia. Improvvisarsi finanzieri non è
facile e può essere rischioso. Bisogna saper valutare bene il mercato
e accumulare una buona esperienza. Oltretutto, a complicare le cose,
c'è che i listini tecnologici come il Nasdaq appunto sono cavalli
piuttosto bizzosi. Le oscillazioni molto forti e nel giro di poche ore
si possono avere guadagni favolosi, ma anche perdite disastrose. Basta
osservare come l'andamento di alcuni titoli abbia risentito, proprio
nelle ultime settimane, della ormai famosa sentenza contro la Microsoft,
che sembra aver minato più in generale la fiducia e l'ottimismo che
circondavano la new economy. Domenico Siniscalco, docente di Economia
presso l'Università
degli Studi di Torino, e direttore della Fondazione
Mattei del gruppo
Eni, spiega cosa determina questo effetto "montagne
russe":
"Il
Nasdaq è il mercato azionario americano dove si scambiano
tradizionalmente i titoli delle nuove tecnologie. Tra l'altro è un
mercato che non esiste. Non è come Wall Street o la borsa di Milano
dove c'è uno stanzone con tutti i broker, ma è un mercato
interamente telematico. Oggi c'è una enorme incertezza sulla
valutazione delle aziende che operano nel campo delle nuove
tecnologie. Sono titoli che hanno fatto "boom" e quindi
sappiamo tutti che sono titoli che avranno una forte prospettiva di
guadagno. Ma non sappiamo quali sopravviveranno e quali no. Ecco
perché questo mercato molto più di Wall Street e delle borse
tradizionali oscilla, tra momenti di grande euforia su determinati
titoli e momenti di grande frustrazione. Ed è per questo che possiede
una volatilità di molte volte o di alcune volte superiore a quella
dei mercati tradizionali".
L'irrequietezza
dei mercati, il continuo sali-scendi delle borse è legato anche a un
cambiamento più profondo che investe non solo il mercato finanziario,
ma l'intera struttura economica: la produzione, il rapporto tra le
aziende, l'organizzazione del lavoro, i canali di distribuzione. Tutto
ciò che chiamiamo appunto new economy. Le regole della old economy si
sono sedimentate nel corso di decenni. Quelle della new economy,
invece, sono arrivate come un ciclone nel giro di pochi anni. E hanno
portato un mondo molto più fluido, dinamico, in continuo cambiamento
che a volte persino gli esperti faticano a comprendere.
Andrea Farinet, esperto di new economy dell'Università
Bocconi, presso cui tiene il corso di "Economia e gestione
dell'innovazione" chiarisce le differenze tra new e old economy:
"Rispetto
alla old economy nelle new economy noi abbiamo sostanzialmente due
caratteristiche fondamentali. L'utilizzo della tecnologia Internet ci
permette un'estensione dei tempi della nostra presenza sul mercato e
quindi 24 ore al giorno 7 giorni su 7 noi siamo presenti sulla Rete.
L'altra caratteristica è che evidentemente l'organizzazione aziendale
per riuscire a sostenere quest'espansione temporale così elevata
implica un ripensamento completo della cultura imprenditoriale, della
modalità organizzativa, e delle unità di misura che vengono
utilizzate per valutare l'andamento di questa azienda".
Tra
le protagoniste indiscusse della new economy ci sono senza dubbio le
famose dot-com, o punto-com: tutte le società nate nell'era di
Internet e il cui indirizzo Web termina appunto con l'estensione .com.
In
questo momento, però, il cielo della new economy si sta un po'
rannuvolando. Anzi, ultimamente sono uscite alcune previsioni
decisamente pessimistiche: Forrester
Research, una delle maggiori società di analisi americane, dice
che la maggior parte delle dot-com sono destinate a uscire di scena
entro i prossimi due anni. Comunque, anche se la selezione sarà
durissima, molti esperti confermano che il cambiamento indotto
sull'economia in questi anni è profondo e destinato a durare. Uno di
questi è l'economista Jeremy
Rifkin:
"Nell'era
dell'accesso, i mercati vengono sostituiti dalle reti, mentre al posto
di venditori e acquirenti abbiamo i server e gli utenti. Inoltre,
anziché nell'ambito di transazioni di vendita, gli utenti possono
accedere a ciò di cui hanno bisogno su base temporale, transitoria.
Perciò il concetto di proprietà è ancora presente, ma non è più
oggetto di scambio. I fornitori noleggiano la proprietà oppure la
danno in concessione, e l'utente diventa membro o socio della loro
struttura. Nell'età dell'accesso si passa da relazioni di proprietà
a relazioni di accesso. Nessuno vuole essere come la General Motors,
con una gran dotazione di strutture fisiche e capitali investiti.
Piuttosto si guarda al modello della Nike,
che in realtà costituisce una società virtuale, senza fabbriche né
attrezzature, e con un numero limitato di dipendenti. Tutto quanto
viene noleggiato e dato in concessione. Per la Nike, l'elemento di cui
è importante conservare il possesso è la proprietà intellettuale,
il nome della marca, l'idea generale, il meccanismo di
commercializzazione. Nell'era dell'accesso, sono le risorse culturali
a venire trasformate in merci di scambio, a essere messe in vendita
sui mercati come aggregati di esperienze pronte all'uso. Sono questi i
grandi mutamenti che accompagnano la transizione dal capitalismo
all'era dell'accesso. È una nuova fase, come lo è stata quella
dell'industrializzazione, e comporta regole di conduzione degli affari
completamente diverse. Questo avrà profonde ripercussioni sul modo in
cui concepiamo non solo il mondo economico, ma le relazioni sociali,
l'attività di governo, persino il concetto di natura umana e di
natura in sé".
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