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Indice puntata

 

Tema del 05 maggio 2000

Strategie della free economy

Viva il gratis online

C'è una parola che suona molto dolce alle orecchie di quasi tutti gli utenti Internet: è la parola gratis

di Antonio Leonardi, Michele Alberico, Elena Capparelli

Per la gioia degli utenti, la parola gratis è sempre stata abbastanza di moda nel mondo digitale e probabilmente lo sarà sempre di più. Anche oggi che il Web ha preso una strada molto più affaristica, per così dire, rispetto ai suoi esordi, continua comunque a essere un luogo piuttosto economico. La stragrande maggioranza dei siti, e tutte le informazioni che contengono, continuano a essere del tutto gratuiti. Sul Web viene distribuito moltissimo software, sempre gratuito. E proprio in una puntata di Mediamente.it abbiamo parlato delle freenet, cioè le società che regalano ai propri utenti l’accesso alla rete e una casella di posta elettronica. Il fatto è che la strategia del regalo è uno dei punti centrali nel mondo digitale, tanto che si parla di “free economy”, economia del gratis appunto, o di “gift economy”, economia del regalo. E la tendenza alla gratuità comincia a non riguardare più solo beni immateriali, come le informazioni o il software, ma ad estendersi anche all’hardware.

Per gli utenti, insomma, c’è di che essere felici. Ma spesso anche chi regala, se ha saputo regalare bene, ha fatto soldi a palate. Ricordate Marc Adreessen, l’inventore del browser Netscape? È diventato miliardario regalando quante più copie possibile del suo programma.

La società di Andreessen ha dominato il mercato dei browser finché qualcuno, Bill Gates, non ha cominciato a regalare un programma concorrente, Explorer, a ritmi ancora più veloci erodendo il bacino d’utenza di Netscape. La guerra dei browser, alla fine, è stata vinta da chi ha potuto regalare meglio il proprio prodotto.

Anche Jerry Yang e David Filo, i due fondatori di Yahoo!, sono diventati nababbi senza che nessun utente abbia mai pagato un centesimo per i loro servizi. In Italia Tiscali di Renato Soru è esplosa quando è diventata la prima freenet italiana e oggi non a caso è la prima ad offrire i rimborsi per le telefonate fatte per navigare. E potremmo continuare a lungo. Ma come è possibile fare soldi regalando i propri prodotti, cioè un’idea che solo fino a una decina d’anni fa sarebbe sembrata del tutto suicida a qualsiasi amministratore di un’azienda?

Se per chi ama navigare attraverso i mari digitali del Web questi sono tempi felici, grazie al fatto che molto di quello che vi si trova è gratuito, dalle informazioni, ai giochi, alle notizie, alla musica, anche per coloro che regalano le cose non vanno affatto male, visto che comunque fanno soldi a palate. Offrire gratis il frutto del proprio lavoro, nel vulcanico mondo dell’economia digitale, è infatti stata spesso la chiave per costruire imperi miliardari. La ricetta del successo sembra essere quella di raccogliere attorno al proprio marchio la più vasta comunità possibile di utenti, conquistarne e mantenerne la fiducia, imparare a conoscerne i gusti, le esigenze e le aspettative. E poi bombardarli con pubblicità altamente mirata e venduta, questa sì, a caro prezzo. Oppure invitarli in ogni modo a effettuare acquisti online o proporgli servizi aggiuntivi a pagamento. Il tesoro non sta più nel magazzino, ma nel network. Ogni utente registrato nel proprio database è un potenziale consumatore e un sicuro destinatario di pubblicità personalizzata e secondo gli analisti di borsa vale attorno ai mille dollari.

Quindi il contatto con un utente e una entry nel proprio database sono oro puro. Sono una merce talmente preziosa che regalare non basta più. Ci sono società che addirittura pagano i loro utenti affinché entrino a fare parte del loro network. E naturalmente siano disposti ad accettare una buona dose di pubblicità. Non solo accesso gratis, dunque, ma una forma di rimborso proporzionale al tempo passato on line o un gettone per ogni e-mail pubblicitaria che viene aperta. E negli USA tutto questo è già molto avanti.

Jeremy RifkinFin dove arriverà tutto questo? Verrà il giorno in cui i provider “regaleranno” case e macchine pur di vendere i servizi ad esse collegati? Ecco l’opinione di Jeremy Rifkin, esperto di economia digitale:
“Nell’era economica dell’accesso a Internet, i mercati vengono sostituiti dalle reti, mentre al posto di venditori e acquirenti abbiamo i server e gli utenti. Perciò il concetto di proprietà è ancora presente, ma non è più oggetto di scambio: i fornitori noleggiano la proprietà oppure la dànno in concessione, e l’utente diventa membro o socio della loro struttura. Nell’età dell’accesso si passa da relazioni di proprietà a relazioni di accesso. Quello di proprietà privata è un concetto troppo ingombrante per questa nuova fase storica dominata dall’ipercapitalismo e dal commercio elettronico, nella quale le attività economiche sono talmente rapide che il possesso diventa una realtà ormai superata”.

Per la verità non tutti sono proprio felici che la Rete favorisca in modo tanto deciso questa libera fruizione di beni e informazioni. Se nell’economia di scala digitale produrre numerosissime copie di un prodotto ha costi sempre minori e in genere distribuirle al minor prezzo possibile, a volte regalarle, conviene, vi sono casi in cui tutto ciò è visto come un’eresia. Il copyright è appunto un sistema per proteggere e sfruttare economicamente ogni singola copia di una canzone o di un libro. Lo scontro tra questi due modelli è feroce, come nel caso della musica in formato mp3, nemico numero uno delle case discografiche, o dei programmi che permettono di duplicare i film su Dvd, fumo negli occhi per le major di Hollywood. Ancora una volta, si sconta il fatto che Internet favorisce modelli in cui il valore commerciale non risiede tanto nella copia di un bene materiale o immateriale, ma nella creazione di una comunità e di un network. John Perry Barlow, co-fondatore della Electronic Frontier Foundation, ha una opinione molto precisa del valore della libera circolazione dell’informazione:
“Come autore, la cosa migliore che possa capitarmi dal punto di vista economico è che le mie opere vengano ampiamente distribuite grazie all’intervento di altre persone che le duplicano e le diffondono nei loro rispettivi ambienti. Ad esempio il gruppo rock Grateful Dead, di cui ho fatto parte, decise già nei primi anni Settanta di non allontanare dai loro concerti gli spettatori che li registravano. Quei nastri si tramutarono in un potente motore di mercato che fece di noi il complesso più famoso e meglio pagato degli Stati Uniti. Sicché, rinunciando alla proprietà intellettuale avevamo instaurato un rapporto intellettuale economicamente assai più redditizio di quanto non sarebbe stato per noi il modello della proprietà privata. Non è detto che questo sia un caso speciale o unico. Sono convinto che lo stesso principio sia valido praticamente per ogni tipo di attività intellettuale”.

 

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