Quando si parla di rivoluzione digitale il pensiero corre subito agli spazi immateriali delle reti telematiche e della realtà virtuale. Sembra che l'immateriale sia la cifra, la meta finale di questa grande trasformazione, tanto che in molti hanno profetizzato una specie di "scomparsa della corporeità".
Ma a ben guardare le cose non stanno così. La tecnologia, infatti, non modifica esclusivamente la sfera del mentale e del cognitivo, dando forma ai mondi interiori, alle visioni della mente. Essa modifica anche la sfera dell’organico. Il nostro mondo è ormai popolato di oggetti e strumenti senza i quali non saremmo in grado di sopravvivere. E man mano che le interfacce materiali si evolvono e si adattano alle nostre esigenze di interazione, esse ci appaiono sempre più come estensioni inorganiche del nostro essere biologico. Basti pensare al rapporto "simbiotico" che ognuno di noi ha con il telecomando del televisore, o con la propria automobile.
Se insomma non dobbiamo temere una "scomparsa della corporeità", non è assolutamente detto che il corpo che la rivoluzione tecnologica ci consegnerà sarà il medesimo che abbiamo avuto in eredità dalla evoluzione biologica. Per milioni di anni l'evoluzione ha tenuto allineate la trasformazione dell'ambiente con quella delle specie biologiche, uomo compreso. Oggi quest’armonia è completamente stravolta. La tecnologia sta modificando l'ambiente in cui viviamo sempre più radicalmente. La sfera del naturale scompare, per lasciare il posto ad un mondo artificiale in continua trasformazione. Tutto questo sembra richiedere all'uomo, se vuole adattarsi a vivere in questo nuovo ambiente artificiale, una mutazione tecno-biologica.
L'immaginazione e la ricerca artistica hanno spesso avuto la funzione di percepire e rappresentare gli aspetti più profondi, sconvolgenti e inquietanti della realtà. Non è un caso dunque che il tema della mutazione tecno-biologica sia divenuto l'oggetto di varie esperienze artistiche.
Nell’ambito letterario il riferimento principale è la letteratura cyberpunk, il cui immaginario è popolato da esseri mutanti, a metà tra l’umano ed il robot: i cyborg. Questo immaginario ha ben presto alimentato la produzione cinematografica, sia in forme strettamente commerciali ed "hollywoodiane", con film come Terminator o Robocop; sia con produzioni di autori assai più complessi e sofisticati come Ridley Scott con il suo capolavoro Blade Runner (ispirato dal romanzo di Philip Dick Do Androids Dream of Electric Sheep) o come David Cronenberg, a partire dall’anticipatore Videodrome fino al recente Crash, tratto dall’omonimo romanzo di James Ballard.
Ma assai più sconcertanti sono le sperimentazioni di alcuni di artisti di avanguardia o, come si preferisce oggi, underground, che potemmo definire "artisti del postorganico". Ricordiamo ad esempio il cineasta underground giapponese Shinya Tsukamoto autore dei due visionari cortometraggi Tetsuo I e Tetsuo II (che forse qualcuno dei nostri lettori avrà avuto l’occasione di vedere). Raccontano la storia di un uomo che vive la sua normale esistenza a Tokyo, una delle città simbolo della nostra era tecnologica. Improvvisamente questo "uomo normale" subisce una mostruosa mutazione. Prima degli strani fili di ferro che fuoriescono dalla pelle; poi la trasformazione in un mostruoso groviglio di carne e acciaio, una grottesca macchina umana folle e distruttrice, fuori controllo.
Sempre in questo scenario si incontrano una serie di sperimentazioni che riprendono le esperienze della body art e della performance, nate nella stagione delle neo-avanguardie degli anni sessanta e settanta, e le uniscono alle nuove suggestioni derivata dalla rivoluzione digitale.
Uno degli esponenti più interessanti di questa linea di ricerca artistica è Marce.Lì Antuñez Rocas: nelle sue performance il suo corpo diventa oggetto di sperimentazione, materiale che può essere trasformato dalla macchina, a sua volta controllata dal pubblico. C'è forse in questa performance di Rocas una sorta di recupero ed estremizzazione dalle ancestrali origini sacrali dell’arte. In un certo senso l’artista ricostruisce una cerimonia sacrificale offrendo se stesso come vittima. Ma l'aspetto più interessante in tutto questo è la simbiosi uomo-macchina. Come le tecnologie entrando in relazione con il nostro pensiero lo trasformano e lo estendono, ci fa notare Rocas, esse stanno per introdursi anche nel nostro corpo.
Ancora più esplicito è il lavoro sul concetto di mutazione che porta avanti Stelarc, artista australiano tra i più consapevoli delle trasformazioni che le tecnologie stanno determinando nella nostra struttura biologica. Nelle sue performance Stelarc si dota di protesi meccaniche come una terza mano o un braccio virtuale. In questo modo Stelarc ci parla della mutazione necessaria cui l'uomo è destinato per adattarsi al nuovo ambiente artificiale. Egli stesso ha scritto:
«La tecnologia non è più soltanto aggiunta al corpo, ma vi viene fissata. La tecnologia si trasforma da contenitore a componente del corpo. Come strumento, essa ha frammentato e spersonalizzato l'esperienza, come componente ha il potere di scindere la specie. Non è più di alcun vantaggio rimanere umani o evolversi come specie, l'evoluzione umana termina quando la tecnologia invade il corpo.»
[Stelarc, Da strategie psicologiche a cyberstrategie: prostetica, robotica ed esistenza remota, in Luigi Capucci, (a cura di) Il corpo tecnologico. L’influenza delle tecnologie sul corpo e sulle sue facoltà, Baskerville, Bologna 1994, p. 65.]
Figura 14 - Stelarc durante una delle sue performance, Exoskeleton |
Tutto questo potrà sembrare inquietante. Ma siamo sicuri che sia così assurdo e lontano? Basta pensare ai trapianti di organi artificiali, alle sperimentazioni genetiche, alla clonazione, o alla chirurgia estetica. Pratiche che sembrano uscite da film di fantascienza stanno diventando sempre più comuni. Le provocazioni di Stelarc e degli altri artisti del postorganico non fanno altro che mostrarci le ultime conseguenze di queste pratiche. Forse come dice Kevin Kelly nel suo libro Out of Control, la mutazione verso il cyborg sarà l'unica via di uscita data alla specie uomo per poter sopravvivere nel mondo che essa stessa ha creato.