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Le interfacce per la realtà virtuale

Basta pensare ai videogiochi per rendersi conto che lo schermo di un computer può essere già una interfaccia utilizzabile per presentare all'utente un ambiente spaziale virtuale all'interno del quale muoversi e col quale interagire. E naturalmente un mouse, un joystick o la stessa tastiera del computer (tutto dispositivi dei quali abbiamo parlato nella seconda dispensa possono essere utilizzati benissimo dall'utente per 'comunicare' al computer istruzioni relative alla propria direzione di movimento e alle azioni compiute all'interno dello spazio simulato. Tuttavia, appare abbastanza ovvio che una vera 'immersione esperenziale' nell'ambiente simulato non è possibile attraverso lo schermo di un computer. Per quanto coinvolgente possa essere la situazione rappresentata, infatti, la realtà fisica che circonda lo schermo è lì a ricordarci che l'esperienza che viviamo è solo una simulazione, realizzata utilizzando uno schermo bidimensionale.

Ecco allora che la ricerca nel campo della realtà virtuale ha portato allo sviluppo di numerose interfacce hardware specifiche, in grado di accrescere l'impressione di realismo e di immersione nell'ambiente simulato. Vediamone insieme alcune.

Il data-glove, o guanto dati, costituisce uno strumento di input alternativo al mouse o al joystick; si tratta di un vero e proprio guanto, dotato però di sensori in grado di registrare il movimento della mano e delle dita e di inviare al computer le relative informazioni. Accompagnato da un software in grado di interpretare questi dati, il data-glove si trasforma in una interfaccia abbastanza naturale e potente. Per andare avanti, ad esempio, potremo indicare di fronte a noi con l'indice; per afferrare un oggetto virtuale collocato all'interno dell'ambiente simulato, potremo compiere gli stessi movimenti che faremmo per afferrare il corrispondente oggetto reale, e così via.

Figura 22 - Modello di data glove

Figura 22 - Modello di data glove

Il primo modello di data-glove fu sviluppato attorno alla metà degli anni '80 dalla azienda americana VPL Research, sviluppando le idee di diversi pionieri del lavoro di costruzione del ciberspazio, e in particolare di Jaron Lanier (vedi scheda biografica); in seguito, la NASA ha contribuito in maniera decisiva allo sviluppo di questi studi. Il primo modello commerciale relativamente economico di data-glove è stato sviluppato dalla Mattel, sotto il nome di PowerGlove, per il sistema da gioco Nintendo: dai quasi 9000 dollari del primo guanto sviluppato dalla VPL, il prezzo di un data-glove era sceso in pochi anni ai meno di 100 dollari del PowerGlove.

Il data-suit costituisce una estensione abbastanza naturale del concetto di data-glove: anziché monitorare solo i movimenti della mano, attraverso queste vere e proprie tute percorse da sensori di rilevamento vengono registrati tutti i movimenti del corpo: gambe, braccia, spostamenti del tronco, e così via. In questo modo, il nostro corpo si trasforma, tutto intero, in uno strumento per controllare i movimenti del nostro alter-ego virtuale.

Figura 23 - Data suit

Figura 23 - Data suit

Nonostante l'evidente vantaggio nel realismo dei movimenti, il data-suit costituisce tuttavia – almeno nei suoi primi esempi - un'interfaccia piuttosto ingombrante e scomoda, oltreché molto costosa. I modelli sviluppati sono quindi per ora prevalentemente sperimentali.

E' invece un'altra l'interfaccia che si è ormai affermata, accanto al data-glove, come strumento di elezione per la navigazione in mondi virtuali. Si tratta del cosiddetto Head-Mounted-Display (HMD), o casco visore. Un HMD unisce in genere funzioni di input (registra e comunica al computer i movimenti della testa, in maniera non troppo dissimile da quanto fa il data-glove per i movimenti della mano) e di output (visualizza su due piccoli schermi posti davanti agli occhi l'ambiente virtuale in cui si trova l'utente). I due schermi visualizzano immagini separate della stessa scena, realizzate con tecniche che permettono di fornire l'illusione della tridimensionalità. In genere, il casco isola l'utente dall'ambiente circostante: la sua esperienza visiva viene così a concentrarsi unicamente sul 'mondo' visualizzato dagli schermi interni al casco. Le immagini sono aggiornate, più volte al secondo, dal computer che genera l'ambiente virtuale, e l'aggiornamento avviene tenendo conto dei movimenti della testa registrati dal casco. Così, se l'utente muove la testa a sinistra la 'inquadratura' visualizzata verrà aggiornata in modo da 'spostarsi' verso la sinistra dell'ambiente virtuale, e analogamente avverrà per i movimenti verso destra, verso l'alto e verso il basso.

Figura 24 - Head Mounted Display (HMD)

Figura 24 - Head Mounted Display (HMD)

I primi HMD sono stati sviluppati a partire dalla fine degli anni '60 dal gruppo di Ivan Sutherland nel Lincoln Laboratory del MIT e poi, con la collaborazione di Daniel Vickers, nel Lawrence Livermore National Laboratory di Salt Lake City. In seguito molte ricerche vennero svolte nei laboratori della NASA, dove HMD e data-glove furono usati per la prima volta insieme. Sono oggi disponibili diversi modelli, anche commerciali, di HMD, a prezzi certo non bassissimi (qualunque sia la tecnologia adottata, i due piccoli schermi di visualizzazione e i meccanismi di registrazione dei movimenti hanno un loro costo) ma ormai tutt'altro che proibitivi. Va detto tuttavia che, nei modelli di HMD ad oggi disponibili, i problemi legati alla qualità della visione e al peso del casco non sono ancora superati in modo soddisfacente.

Se attraverso data-glove e HMD possiamo costruire un ambiente virtuale nel quale muoverci, e visualizzarlo con una qualche illusione di tridimensionalità, va notato tuttavia che l'unica 'retroazione' dell'ambiente verso di noi avviene – per quanto abbiamo fin qui considerato - attraverso la vista. La nostra esperienza del mondo reale non ha questo limite: possiamo ascoltare fonti sonore, e avere sensazioni tattili (non ci occupiamo qui dell'olfatto e del gusto, la cui simulazione sarebbe ancor più complicata). Ecco allora che le interfacce per la realtà virtuale prevedono spesso sistemi audio in grado di simulare non solo la posizione spaziale delle sorgenti sonore all'interno dell'ambiente virtuale, ma anche le la loro variazione in dipendenza dai nostri movimenti, ad esempio di avvicinamento e allontanamento. Un sistema di cuffie audio è ad esempio incluso in quasi tutti i modelli recenti di HMD.

Per quanto riguarda il tatto, l'effetto di immersione viene a volte realizzato attraverso meccanismi fisici di retroazione in grado di simulare forze come la resistenza, l'inerzia o l'effetto di vibrazioni. Meccanismi di questo genere sono stati inclusi anche in prodotti di consumo come alcuni joystick: se un joystick dotato di meccanismi di retroazione di forza viene usato, ad esempio, per controllare un simulatore di volo, il joystick vibrerà nella mano del pilota virtuale in maniera non troppo dissimile da come farebbe la cloche nella mano di un pilota al comando di un vero aeroplano, e opporrà resistenza a certi movimenti.

E' stata sperimentata anche l'inclusione di meccanismi di questo genere all'interno di data-glove o data-suit, in modo da dare, ad esempio, l'illusione di una resistenza al tatto del corpo che viene 'toccato' all'interno dell'ambiente virtuale.

Le interfacce fin qui considerate sono state spesso criticate per la sensazione di 'alienazione percettiva' che indubbiamente provocano, e che è in parte collegata all'uso di strumenti scomodi, ingombranti e per certi versi costrittivi come casco e guanti. Nel mondo reale siamo abituati a muoverci liberamente, e la nostra percezione della realtà non ha l'aspetto di 'inscatolamento nell'interfaccia' che questi dispositivi possono senz'altro provocare. Un approccio alla realtà virtuale del tutto diverso da quello offerto da interfacce come il data-glove o lo HMD è dato dai cosiddetti reactive environments o ambienti reattivi. In questo caso l'utente non indossa alcun dispositivo di input particolare: i suoi movimenti sono registrati da sensori collocati nell'ambiente (reale) attorno a lui. In sostanza, un ambiente di questo tipo 'legge' i nostri gesti e li comunica al computer, che può modificare di conseguenza il mondo simulato. Quest'ultimo viene visualizzato attraverso uno schermo, attraverso la proiezione dell'immagine sulle pareti dell'ambiente, o attraverso un paio di occhiali-visore.

Figura 25 - Un joystick dotato di meccanismi di retroazione di forza (force feedback)

Figura 25 - Un joystick dotato di meccanismi
di retroazione di forza (force feedback)

Un caso particolare (e particolarmente interessante) di questa 'lettura dei gesti' da parte del computer avviene quando si cerca di leggere il movimento degli occhi. In questo caso i sensori (che sfruttano spesso raggi laser a bassa potenza) sono in genere collocati in prossimità del volto dell'utente, o montati su occhiali. La lettura computerizzata dei movimenti dello sguardo può servire non solo nel caso della ricerca sulla realtà virtuale, ma anche, ad esempio, come strumento di input utilizzabile anche da parte di persone che per lesioni neurologiche o malattie non sono in grado di controllare meccanismi fisici di input come una tastiera o un mouse.

Figura 26 - Un volto umano 'visto' dalla telecamera di un computer che cerca di interpretarne i movimenti

Figura 26 - Un volto umano 'visto' dalla telecamera di
un computer che cerca di interpretarne i movimenti

Naturalmente le interfacce considerate fin qui rappresentano solo un piccolo sottoinsieme di quelle su cui hanno lavorato i tecnici impegnati nella creazione di ambienti virtuali controllati dal computer. Molte altre interfacce specifiche sono state create per rispondere a necessità particolari: in un certo senso, le 'motociclette', i 'cruscotti di auto' o gli 'sci' orientabili utilizzati nelle sale giochi per fornire strumenti di controllo realistici e naturali a chi vuole cimentarsi in giochi di simulazione motociclistica, automobilistica o sciistica rientrano in questa categoria. Ed è prevedibile che nei prossimi anni tutto questo settore, che ha compiuto finora solo i suoi primi passi, ci riserverà non poche sorprese.

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