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Nel grande vuoto sempre meno soli

Mila Cataldo

Con le tecnologie digitali perfino il Sahara sembra meno isolato dalla comunicazione globale. Ma basta voltarsi indietro di poco per ricordare storie di smarrimenti nel deserto o nel mare

Sahara in arabo vuol dire "grande vuoto". Ed è nella porzione di deserto libico sud occidentale, chiamata Akakus, al confine con l'Algeria, che si disputa da quattro edizioni la Desert Marathon.
È una corsa podistica e in mountain bike, in autosufficienza alimentare, che copre una distanza di centoventi chilometri in sessanta ore. La sfida si svolge tra spazi sterminati, silenzi e solitudine. L'uomo affronta una natura selvaggia e inospitale, mettendosi continuamente alla prova. A poco a poco i concorrenti imparano ad amministrare le proprie energie, a convivere con il sole, il caldo torrido - che può sfiorare punte di quaranta gradi - il vento, la sete, la stanchezza.
Per tutti il vero rivale è il deserto. La gara si snoda lungo un percorso che ha una morfologia tormentata: dune sabbiose, erg, pinnacoli e guglie rocciose erosi da sabbia e vento, reg, piatte distese di ghiaia, wadi, letti pietrosi di fiumi prosciugati, graffiti e pitture rupestri, reperti archeologici straordinari che testimoniano la presenza di civiltà millenarie scomparse. Orientarsi in un simile scenario non è un'impresa facile.

Proprio per questo nell'ultima edizione l'organizzazione ha messo a disposizione i ritrovati tecnologici più sofisticati in fatto di comunicazione in luoghi remoti: telefonini satellitari di ultima generazione per la comunicazione istantanea, miniantenne, jeep dotate di sistemi Gps (Global positioning system) per impostare la giusta rotta e all'occorrenza recuperare maratoneti e ciclisti dispersi.
Gli atleti, provenienti da Italia, Svizzera, Spagna, Germania, Francia, Tunisia e Marocco sono sempre rimasti in contatto con le proprie famiglie. Almeno un paio di volte al giorno, qualcuno anche tutti i giorni, utilizzando telefoni satellitari che rispetto a quattro anni fa consentono velocità superiore nei collegamenti e costi decisamente più accessibili. Molti dei concorrenti, veri sportivi appassionati di viaggi, hanno potuto inoltrare ai loro uffici stampa e agli sponsor costanti aggiornamenti sulle loro prestazioni, servendosi delle linee Isdn della Inmarsat, inviando immagini digitali e posta elettronica come da casa propria. Ma rispetto a un recente passato, l'uso di tecnologie così avanzate garantisce soprattutto maggiore sicurezza per i corridori. Nel deserto, in particolare nelle zone piene di dune sabbiose e di roccia, il terreno ha un forte assorbimento delle onde radio, pertanto le radiotrasmittenti o il sistema CB, che normalmente hanno una buona portata, non riescono a funzionare. Bastano pochi chilometri di ponte radio e l'onda sparisce, assorbita dal terreno. Ecco perché diventano indispensabili i telefoni satellitari, per un utilizzo veloce e breve, e tra quelli disponibili al momento i telefoni satellitari Iridium rappresentano il mezzo più efficace e sicuro. Possono essere collegati direttamente all'accendisigari dell'automobile, come un cellulare, permettendo di intensificare i controlli e di soccorrere chiunque si sia smarrito o sia in difficoltà.
Ma la vera novità sono stati i pc portatili con un software denominato Dv on Sat che ha permesso di inserire in Internet, giorno per giorno, il video delle varie tappe della maratona. Un cameraman e un fotografo, con attrezzatura digitale, hanno permesso una copertura completa dell'evento. Le foto digitali sono state scaricate su un Macintosh, ottimo per gestire e ritoccare immagini grafiche, e poi inviate in formato Jpg attraverso posta elettronica, in pochi secondi. Mentre grazie al sistema di compressione-invio di file Dv on Sat, è stato possibile scaricare le immagini della gara direttamente dalla telecamera con cui sono state realizzate le riprese, per poi comprimerle, memorizzarle e attraverso un collegamento del pc con il telefonino satellitare inviarle a un sito a Roma, in grado di immetterle in rete. Un minuto di filmato ha impiegato solo cinque minuti di connessione. Un'operazione piuttosto semplice ma assolutamente impensabile fino a un anno fa. Così anche il Sahara sembra meno isolato ed escluso dalla comunicazione globale.

Ma basta voltarsi indietro per ricordare storie appassionanti e avventurose, per fortuna a lieto fine.
Mauro Prosperi e Isabelle Autissier. Un uomo e una donna: due eroi di due storie diverse che ci dicono entrambe cosa significa perdersi e ritrovarsi là dove è difficilissimo cercarsi: nel deserto o nel mare.
È il 1994: nona edizione della durissima Marathon des Sables, la più famosa delle corse a piedi nel deserto, in autosufficienza alimentare. Duecentoventi chilometri in sei tappe nel deserto del Marocco, ad andatura libera, portando sulle spalle l'equipaggiamento essenziale. È in questa circostanza che Mauro Prosperi, campione italiano di pentathlon, dopo alcuni giorni di gara, viene improvvisamente sorpreso da una violenta tempesta di sabbia. Disperato, disorientato, l'atleta perde i contatti con il resto del gruppo, smarrisce il tracciato e rimane per nove giorni solo nel deserto. Sopravvissuto grazie alle sporadiche pozze di acqua piovana e al poco cibo che aveva con sé, viene trovato anche grazie all'intervento di una tribù di Tuareg, duramente provato, disidratato e dimagrito di ben cinque chili. A sorpresa al suo rientro promette, nonostante la disavventura, di partecipare alla maratona dell'anno successivo.
Andiamo al 1999, in occasione della quinta edizione della Around Alone, la regata in solitaria attorno al mondo. Isabelle Autissier fa restare il mondo con il fiato sospeso.
La sua barca si ribalta e la velista francese dopo aver lanciato l'sos rimane in pericolo di vita, in balia delle onde per ventiquattro ore, prima che l'amico Giovanni Soldini, interrompendo la sua gara, corra a salvarla. Dopo aver recuperato la Autissier, anche grazie alle apparecchiature tecnologiche della sua barca, Soldini riprende la sua regata. E nonostante il salvataggio arriva primo alla terza tappa, di Punta del Este, in Uruguay, per concludere un'impresa mai riuscita prima a un velista italiano: vincere trionfalmente la Around Alone.