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La rivoluzione informatica in architettura

Negli anni Venti del Novecento architetti come Walter Gropius, Le Corbusier o Mies van Der Rohe ebbero la capacità di riformulare completamente l'architettura sulla spinta del nuovo mondo meccanico e industriale. Fu una rivoluzione perché l'architettura modificò allora tutti i parametri del proprio operare: dal punto di vista sociale, si occupava finalmente delle case e dei quartieri per tutti e non solo della rappresentazione del potere civile o religioso; dal punto di vista della costruzione, alle mura continue e pesanti si sostituì una costruzione leggera per punti permessa dall'acciaio e dal cemento armato; dal punto di vista estetico si sostituì all'immagine statica e monumentale della facciata un'immagine dinamica e astratta come era il nuovo paesaggio delle città. In realtà, furono proprio i processi seriali, razionali, standardizzabili e tipizzabili della produzione industriale che furono assimilati dall'architettura e dalla città.
Oggi siamo in un epoca diversa. Siamo nella rivoluzione informatica. Le parole chiave degli architetti sono cambiate: si pensa in termini di "personalizzazione" e non più di standardizzazione, non più attraverso processi "di divisone in cicli" o di "catena di montaggio", ma di "unità tra diversi"; la città non è più concepita per zone monofunzionali (qui si lavora, qui si risiede, qui ci si svaga) ma in un insieme interagente di usi e funzioni; non si pensa più all'idea di "modello ripetibile" (la Ford Nera per tutti o l'edificio modello), ma in termini di adattabilità e di individualizzazione. Infine, l'interattività tra ambiente, spazi, arredi, elementi tecnologici apre strade ancora tutte da esplorare. Dall'Existenz Minimum che fu la bandiera degli architetti funzionalisti si lavora ad un Existenz Maximum per una architettura che, superata l'oggettività dei bisogni, possa affrontare la "soggettività dei desideri".