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Interagisco, quindi imparo

"Imparare giocando". È questo il motto della nuova didattica. La scuola deve stimolare un tipo di apprendimento nel quale l'esperienza diretta, il più possibile "giocosa", sia il mezzo fondamentale per trasmettere delle nozioni. Al centro di questo discorso c'è un concetto che ha preso forza con le nuove tecnologie multimediali: quello dell'interattività. Ne parliamo con il professore Roberto Vacca, saggista e divulgatore scientifico.

Professore, cos'è l'interattività?

Sicuramente, interattività vuol dire contatto con la realtà e vuol dire anche feedback: quando faccio qualcosa, cerco di capirla mettendomi in contatto con la realtà. Questo approccio, in effetti, era già possibile nei negozi artigiani, negli esperimenti antichi; ora è importante avere una comprensione, un processo mentale che cambia in conseguenza dell'esperienza. Tutto lo scopo della fisica matematica è di prevedere i risultati di certi esperimenti prima di averli fatti: se si può prevedere con la precisione, anche di una parte su un miliardo, vuol dire che ho capito davvero. In questo campo in Italia ci sono diverse esperienze: ad esempio, il professore Vittorio Silvestrini ha realizzato a Pozzuoli (Napoli) un museo in cui ci sono molti esperimenti interattivi nel campo dell'energia, delle comunicazioni; presto ce ne sarà uno anche a Roma. È una strada che cominciamo a percorrere.

Esistono controindicazioni per l'interattività?

Il rischio si ha quando l'interattività non è con la realtà, ma con una realtà simulata, realizzata al computer o come la realtà virtuale. In questo caso se il programma non è fatto bene la percezione della realtà può essere completamente distorta.

Secondo lei, professore, il computer è stato inserito nella maniera giusta all'interno dei programmi scolastici o pensa che si possa fare di meglio?

Si può fare molto di meglio. Credo che comunque stiamo correndo dei rischi molto gravi anche a causa del fatto che i programmatori cercano di renderli i software più amichevoli - "user frendly" - verso l'utente: spesso si tende a ipersemplificare tanto che dei ragazzi possono credere che informatica vuol dire cliccare su quattro icone, ma non è affatto così. Le icone in un certo senso sono un passo indietro rispetto ai vantaggi che l'informatica ha dato con i programmi alfanumerici in cui ogni linea di programma spiega esattamente quello che io voglio che succeda. Cliccando sulle icone, invece, spesso ho delle idee abbastanza vaghe di quello che succede e delego ad altri il far succedere delle cose dentro i computer. Questo può essere abbastanza rischioso, tanto più che le icone spesso non si capiscono: c'è una piccola bandierina le illustra, ma non è tanto chiara. L'altro rischio è quello di seguire le orme dei cinesi che tremila anni fa non inventarono l'alfabeto ma inventarono gli ideogrammi: la diretta conseguenza è che un cinese oggi per imparare a leggere e a scrivere impiega nove anni, un nostro ragazzo impiega nove settimane.

Professore, Internet può essere un utile mezzo di diffusione di tutto il materiale scientifico che per definizione è un po' difficile, è un po' complesso?

Internet è talmente grande che praticamente equivale a un modello del mondo. Il rischio che abbiamo su Internet è un po' lo stesso rischio che abbiamo quando parliamo con la gente: alcune persone sono credibili, altre parlano bene, altre ancora dicono cose giuste, tanti altri dicono cose sbagliate, inutili, non comprensibili, addirittura prive di senso. Perciò per potere navigare su Internet con successo bisogna avere dei prerequisiti, bisogna sapere delle cose prima, bisogna sapere un po' di logica, conoscere come è fatto il mondo, avere un'idea dell'ordine di grandezza, avere almeno alcuni punti fermi: confrontando queste conoscenze con quelle somministrate da qualche sito, riusciamo a capire se tali conoscenze sono credibili, utili oppure sbagliate.

Ammessa la qualità di un sito scientifico, Internet può presentare il vantaggio di un linguaggio comunicativo, facilmente comprensibile?

Non sempre. Purtroppo anche quando abbiamo l'interattività di una BBS, di una lista di discussione, scrivere rapidamente porta a scrivere molto male: la gente che scrive su Internet scrive messaggi, spesso si scrive addosso e scrive delle cose lunghe e poco efficaci.

Lei sembra molto critico nei confronti della Rete, nonostante ci siano bei siti di informazione scientifica.

Certo che ci sono: alcuni di questi sono meravigliosi. Addirittura, nonostante abbia una grossa libreria, spesso preferisco cercare le stesse cose più altre su Internet. Avere fatto una lunga pratica di navigazione significa sapere cosa guardare, a chi credere. Un altro aspetto meraviglioso di Internet è la possibilità di entrare in contatto con le persone. Ad esempio, se vengo a sapere di una persona che sta portando avanti una ricerca, posso trovare il suo indirizzo di email, scrivergli e ricevere la risposta in brevissimo tempo. Si tratta di un'interattività di livello notevole che non è mai esistita prima.

Per concludere, quali sono secondo lei i vantaggio dell'edutainment, cioè dell'insegnare giocando?

Il confine fra gioco e studio diventa sempre più tenue: la direzione nella quale Internet ci sta portando è che giochiamo con cose sempre più complicate, perciò non facciamo giochini preordinati da qualcuno il cui risultato è già ampiamente prevedibile, è già scontato, ma facciamo giochi veramente di intelligenza a livelli sempre crescenti. Credo che bisognerebbe far capire ai ragazzi che la forma più bella di gioco è il gioco fatto con la realtà, con la comprensione di concetti complessi.

Roberto Vacca