|
|
La Drammaturgia dei Media"Drammaturgia dei media" è il desiderio di costruire un approfondimento nella relazione tra questi i nuovi media e i media tradizionali. Così Roberto Paci Dalò, regista e musicista, che crea i propri lavori facendo interagire, musica, cinema e Internet, ci spiega lo spirito delle sue performance Per dare una definizione al tuo modo di far interagire tra loro le nuove tecnologie digitali hai inventato una nuova espressione "drammaturgia dei nuovi media". Cosa significa? Nella maggior parte dei progetti, che ho visto negli ultimi anni non solo in Italia ma anche sparsi per l'Europa, c'è spesso una grande carica di innovazione tecnologica, ossia la tecnologia funziona molto bene, ma spesso mancano i contenuti. Questo è un problema non soltanto del mondo dell'arte, ma in generale del mondo della comunicazione. Dal mio punto di vista, quindi, "drammaturgia dei media" è il desiderio di costruire un approfondimento nella relazione proprio tra questi media diversi che possono essere cosiddetti nuovi media o old media, indifferentemente. "Drammaturgia dei media" è anche un corso che tieni all'Università di Siena: è un progetto che porti avanti non solo nelle performance dal vivo ma anche nel mondo accademico? Dal corso di laurea in Scienze della Comunicazione dell'Università di Siena, mi è arrivato l'invito di creare un corso costruito sul mio lavoro e quello sul mio gruppo "Giardini pensili" www.giardini.sm, per cui mi sembrava che il titolo più adatto fosse questo. Dal 1997 regolarmente sto portando avanti questo lavoro pedagogico ma molto pratico. La maggior parte della musica delle tue performance è una "tecno tribale": è questa il tappeto sonoro dei lavori di questo periodo? Da un lato lavoro su cose molto analogiche come il quartetto d'archi, però allo stesso tempo mi interessa la riflessione sull'elettronica pura, sul suono completamente di plastica. Tu sei d'accordo con Achille Bonito Oliva, secondo il quale le tecnologie avvicinano l'arte alla vita e che soprattutto sollecitano una partecipazione poi attiva dello spettatore? Dal mio punto di vista, io trascorro almeno una decina di ore al giorno online, quindi nel cosiddetto "cyberspace". Allo stesso tempo, mi piace poter decidere quando staccare ed avere a che fare con il mondo cosiddetto "analogico". Chiaramente penso che le tecnologie siano importanti, ma non perché debbano essere usate a tutti i costi, ma perché è importante guardare il mondo analogico anche attraverso il digitale. "Blue Stories" è una performance dal vivo che si ispira al cinema di Derek Jarman. Ce la puoi spiegare? "Blue Stories" è un progetto abbastanza complesso sul cinema dal vivo, che io definisco "live cinema". Utilizzando le tecnologie digitali più innovative, più miniaturizzate, faccio dei sopralluoghi nei posti in cui la performance verrà presentata, monto sul portatile le immagini, preparo i suoni su un altro e li presento in performance la notte stessa, quasi in tempo reale. In tal modo, avvicino il cinema del futuro, che già esiste, al cinema degli albori, fatto di emozione. Il mio lavoro, in pratica, si colloca all'interno di una riflessione sui suoni della città, quelli chiamati normalmente "rumori": come questi possono essere pensati, visti e ascoltati come musica e come ricreare questo all'interno di performance generalmente dal vivo. I rumori della città sono "invisibili": il nostro vagare nei paesaggi urbani significa ascoltare senza pensare all'ascolto, però tutto ciò che si percepisce camminando per strada fa parte del nostro stato d'animo rispetto al mondo in cui siamo. Tu abbini ai paesaggi urbani, musica e suoni: come avviene la composizione anche di questa parte del tuo lavoro? Già 30 anni fa, in Canada, R. Murray Schafer ha teorizzato, il "soundscape", il paesaggio sonoro, un concetto ripreso successivamente da Brian Eno. Il mio lavoro, in pratica, si colloca all'interno di questa riflessione: come i suoni della città, quelli chiamati normalmente "rumori" possono essere pensati, visti e ascoltati come musica e come ricreare questo all'interno di performance generalmente dal vivo. I rumori della città sono "invisibili": il nostro vagare nei paesaggi urbani significa ascoltare senza pensare all'ascolto, però tutto ciò che si percepisce camminando per strada fa parte del nostro stato d'animo rispetto al mondo in cui siamo. In pratica, voi artisti cercate di portare tutto questo da un livello inconscio ad un livello cosciente. Più che altro il nostro tentativo è di lavorare sul dettaglio e sulla possibilità di scoprire qualcosa di particolare e straordinario nella quotidianità: dal punto di vista dell'arte, mi sembra un lavoro adeguato. Blue Stories
|
|