07/04/99
Bambini e TV
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I bambini guardano tanto tempo la Tv, spesso troppo. Spesso sono loro stessi a chiedere
con una certa insistenza il permesso di piazzarsi lì davanti, altre volte
accade che siano i genitori a piazzarceli. Insomma troppo spesso la Tv diventa una baby
sitter molto comoda ma altrettanto pericolosa. Un eccesso di televisione, infatti, non fa
male solo alla vista dei nostri figli, ma soprattutto alla loro crescita e
alla loro formazione intellettuale. Il grande filosofo Karl Popper spiega esattamente perché
in unintervista che rilasciò nel 1993.
Il bambino viene al mondo con tutta
una serie di aspettative. Egli si aspetta, innanzi tutto, di essere nutrito e di essere
amato. Queste sono le principali aspettative del bambino. Aspettative che possono essere
deluse: un bambino può morire di fame o essere trattato con odio piuttosto che con amore.
I casi ordinari si sviluppano in una via di mezzo fra questi estremi. Il bambino deve
imparare ad adattarsi alle realtà del suo piccolo ambiente particolare. Il suo ambiente
diventa sempre più grande man mano che lui cresce. E in un ambiente sempre più complesso
le sue aspettative saranno sempre più difficili da realizzare e lui sarà quindi portato
a cambiarle. Dal punto di vista della biologia la trasformazione delle aspettative è
identica all'adattamento all'ambiente. Disgraziatamente - bisogna sottolinearlo - la
televisione ha un ruolo enorme e molto pericoloso nel processo di adattamento
all'ambiente. In ciò consiste il suo immenso potere. [...] I bambini passano una parte
considerevole del loro tempo davanti al video. Per loro la televisione è una parte
importante della realtà. Non sanno più fare distinzione tra ciò che vedono e la
realtà. Ma bisogna andare oltre. Ho dimenticato le statistiche relative, ma in America
esse stabiliscono che parecchi ragazzi passano in media più di sei ore al giorno davanti
al loro apparecchio. E, se si considera che probabilmente restano in piedi per il doppio
di questo tempo, se non si contano i pasti eccetera, questo equivale più o meno alla
metà della loro vita.
Se, quindi, i bambini passano almeno metà della loro giornata davanti allo schermo
della Tv, evidentemente chi fa televisione deve preoccuparsi della qualità di ciò che
viene trasmesso e che arriva ai più piccoli. In questo senso, per esempio, in Italia nel
1997 il governo ha nominato un Comitato che stendesse un codice di autoregolamentazione
della programmazione televisiva nel pieno rispetto dei diritti del bambino. Di questo
comitato fanno parte rappresentanti delle aziende televisive pubbliche e private,
rappresentanti della stampa ed esperti vari. Il presidente, Francesco Tonucci, ricercatore
all'Istituto di psicologia del Cnr, descrive secondo quali criteri hanno lavorato.
Allora i punti chiave mi sembra
che siano articolati su due piani. Uno è la televisione di tutti, io l'ho chiamata, e
quindi anche del bambino, che è la televisione che abbiamo identificato nella fascia
oraria dalle 7 del mattino alle 22 e 30 della sera. Questa grande fascia ha i bambini come
possibili spettatori, di fatto ha i bambini come spettatori e quindi ne deve tenere conto.
E allora deve evitare di mettere in onda trailers, per esempio, che presentino spettacoli
inadatti ai bambini, deve controllare la presenza di violenza, sesso, scene, situazioni
non adeguate ai bambini, e questo non con i criteri attuali della censura cinematografica
che è una censura inadatta alla situazione televisiva. Peraltro molti spettacoli che
entrano in televisione non passano per questa censura perché nascono per la televisione.
Allora probabilmente bisogna lavorare da una parte con il Ministero della Cultura perché
le nuove commissioni di censura lavorino anche su questi settori[...]. Dall'altro però io
spero di potere coinvolgere le aziende televisive in una forma di autocontrollo. Cioè
darsi dei garanti interni che si assumano le responsabilità di visionare i materiali e di
dire "per me va bene". Sapendo che, se va bene, prima delle 10 e mezzo deve
andare bene per un bambino di sei sette anni, di quattro anni, di cinque anni, perché
quello non è la sala cinematografica un bambino fino dodici tredici anni, forse più
tardi non va da solo, ma in casa c'è. Poi abbiamo il problema dell'informazione, c'è una
violenza anche di informazione. Le scene di particolare durezza, che sicuramente sono
molto scioccanti per un bambino ma anche per molta popolazione. Anche su questo io
inviterò le reti a valutare se sono in grado di prendere un impegno a rimandare a dopo le
10 e mezza le scene più dure, più truculente, di omicidi, di cadaveri, di cose di questo
genere.
Ma il codice stabilito dal comitato presieduto dal professor Tonucci non è stato
accolto in modo unanime da tutti gli esperti. Anna Oliverio Ferraris, per esempio,
psicologa delletà evolutiva, ha manifestato delle perplessità soprattutto a
proposito della fascia protetta di 15 ore quotidiane.
Io
sono curiosa di vedere se poi le televisioni realizzano una cosa del genere, ecco. Poi si
pensa, si alle pubblicità nocive alcool e così via ma non a quella pioggia di spot a cui
i bambini sono sottoposti durante tutta la giornata. Ecco, i bambini hanno difficoltà a
distinguere il vero dal falso, il vero dal verosimile, fino ad una certa età lo spot è
uno dei programmi che a loro piace di più e lo apprendono alla lettera, insomma, si
lasciano completamente influenzare dagli spot. Quindi una misura doveva essere quella di
ridurre oppure di togliere completamente gli spot dai programmi dei bambini[...] Più che
fare una fascia di quindici ore e mezza che mi sembra irrealistica, io avrei pensato
veramente di eliminare i programmi di prima mattina rivolti ai bambini tutti questi
cartoni perché certo è un momento molto delicato della giornata in cui il bambino esce
dalla dimensione del sonno e del sogno ed entra in quella diurna e tutto questo avviene in
maniera graduale nei bambini e riempirgli così già la mente nel loro immaginario di
tutti questi pupazzetti, non mi sembra lideale, insomma. E mentre invece oggi molti
bambini proprio perché fa comodo ai genitori vengono così svegliati con il televisore,
fanno colazione di fronte al televisore e quando arrivano a scuola hanno già tutta la
mente piena di una serie di storie e così via, una specie di invasione che io trovo
eccessiva perché i bambini hanno bisogno anche di fare lavorare la loro fantasia, hanno
bisogno di pause, di tempi morti per potere rielaborare le esperienze.
Abbiamo, quindi, conosciuto opinioni diverse rispetto a quello che la Tv dovrebbe
preoccuparsi di far vedere o di non far vedere in certe fasce della giornata, quando
davanti allo schermo ci sono dei bambini. Un problema, come sottolineava Karl Popper, che
non va assolutamente sottovalutato, tenendo conto sia del gran tempo che i bambini passano
davanti alla Tv sia di quanto questo può influire sulla loro crescita e sulla visione del
mondo che acquisiscono. Per questo è fondamentale anche una programmazione televisiva
mirata proprio ad intenti educativi ed informativi studiati per i più giovani. Didier Lecat, segretario generale
dell'Aited, lAssociazione Internazionale delle Televisioni di Educazione e Scoperta,
ci spiega quali sono le tendenze delle televisioni europee, in questo senso, e quali le
medie, sempre in Europa, di programmi televisivi educativi.
La media europea varia di molto
secondo i Paesi, perché un certo numero di Paesi ha integrato i programmi educativi nelle
reti generaliste. Altri, come la Gran Bretagna, la Francia, l'Olanda e certi paesi
scandinavi, hanno canali che si dedicano completamente ai programmi di educazione e di
scoperta. In realtà ci si accorge che l'intento educativo, la linea editoriale
dell'educational è in sé assai attraente dal punto di vista dei profitti. Per esempio,
la Cinquième, in Francia, rappresenta il 5% del mercato, in un mercato estremamente
diversificato, con molti canali. Si vede che anche nel Canada e negli Stati Uniti i canali
educativi privati danno profitti e rappresentano una cospicua fetta di mercato. Dunque
c'è nel programma educativo qualcosa che risponde alle attese della società in tutto il
mondo e particolarmente in Europa, specie in Paesi come la Francia, che hanno problemi di
impiego, di formazione e di educazione permanente. |
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