Pensate di essere in Senegal oppure in Cina,
oppure al centro di una foresta o lungo la muraglia cinese. Immaginate di essere nel
luogo più sperduto dell'Africa o del Sud America. Pensate insomma ad un posto dove
normalmente comunicare con il resto del mondo è impossibile. Spingiamoci ora oltre e
immaginiamo invece la possibilità di poterci connettere ad una rete telematica da
qualunque parte del pianeta ci troviamo e di poterci scambiare informazioni in tempo
reale. Tutto questo è oggi possibile o dipende da dove effettivamente ci troviamo? In
altre parole, se mi trovassi in India o in Angola avrei le stesse possibilità di un
europeo o di uno statunitense per far arrivare informazioni dall'altra parte del pianeta?
Le nuove tecnologie della comunicazione possono sicuramente aprire nuove prospettive di
integrazione tra i diversi Paesi; eppure esistono ancora molti dubbi sul fatto che questo
processo comunemente definito col termine "globalizzazione" sia una realtà
effettiva per tutto il pianeta. Sicuramente le tecnologie della comunicazione
favorirebbero lo sviluppo dei Paesi più poveri. Pensiamo, infatti, a cosa potrebbe
significare sul piano politico ed economico per un Paese povero partecipare attivamente
alla comunicazione mondiale. Ma, al di là delle intenzioni conclamate dai politici
mondiali e dai vertici di organismi come la Banca Mondiale, che cosa succede realmente? La
tendenza verso una redistribuzione della ricchezza e verso un accesso dei Paesi poveri al
circuito economico ed informativo mondiale si sta sviluppando o sta retrocedendo?
Perché ci sia effettivamente una
partecipazione alla comunicazione globale non basta mettere a disposizione dei Paesi in
via di sviluppo computer e modem. Occorre far avanzare un processo di formazione che
fornisca gli strumenti culturali ed informativi necessari per realizzare un'integrazione
ed uno sviluppo delle zone sociali più arretrate del pianeta. Eppure gli organismi
internazionali come il Fondo monetario internazionale hanno premuto sui Paesi in via di
sviluppo perché si allineassero a politiche neoliberiste di compressione e riduzione
della spesa pubblica. Questo ha significato, in primo luogo, una riduzione delle spese per
l'istruzione. E' naturale che, in questo modo, invece di rafforzare le loro capacità di
integrazione, i Paesi poveri hanno visto ridotta la possibilità di partecipare
attivamente alla comunicazione globale.
E' quindi evidente quanto sia importante per i Paesi del Sud del mondo che una politica
culturale e di formazione preceda l'adeguamento delle infrastrutture tecniche. Un caso
concreto che dimostra quanto sia importante la partecipazione attiva dei Paesi in via di
sviluppo alla definizione di politiche normative globali è rappresentato da un'esperienza
partita proprio dall'Italia ed accolta dal resto della Unione europea. International
Organization for Standardization, ad esempio, fondata a Londra nel 1947, è un ente al
quale aderiscono 96 Paesi. Ha come scopo quello di facilitare gli scambi di beni e di
servizi e di sviluppare a livello mondiale la collaborazione nei campi intellettuale,
scientifico, tecnico ed economico.
A fronte di questa situazione positiva,
però, gli investimenti fatti dalle multinazionali nei Paesi poveri, soprattutto nel campo
tecnologico, riguardano i gruppi di potere e la parte "alta" della popolazione.
La situazione venne denunciata per la prima volta nel 1980 dal rapporto stilato da una
commissione internazionale di studio sui problemi della comunicazione presieduta
dall'irlandese Sean MacBride. Insediatasi nel 1977 per volontà di un organismo
internazionale, l'Unesco, dopo tre anni, la
commissione produceva un documento, conosciuto come "rapporto MacBride", che
portava alla luce lo squilibrio nel campo della comunicazione fra Nord e Sud del mondo.
Uno squilibrio sia sul piano delle infrastrutture che su quello delle informazioni (dai
dispacci di agenzia ai programmi televisivi, dai film a tutti gli altri prodotti
culturali). Non a caso nelle ultime riunioni della MacBride Roundtable è stato precisato
che gli aiuti ai governi non equivalgono automaticamente ad aiuti ai popoli. |
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