Una messaggio
di posta elettronica è scritto, ma arriva a destinazione molto più rapidamente
rispetto ad una lettera tradizionale e la sua articolazione grammaticale è più semplice
di un tema, di un racconto o di un saggio, ma è, al contempo, più corretta delle normali
conversazioni che si svolgono in casa o tra amici. Tutto questo può essere utile ad un
disabile a cui è offerta la possibilità di instaurare, via posta
elettronica o attraverso una chat, un rapporto più
diretto con la realtà esterna. Così, da un punto di vista culturale e sociale, si può
realizzare quel modello di democrazia allargata in cui anche persone con difficoltà di tipo fisico,
psichico o comunicativo, possono prendere la parola. In questo modo un disabile ha la
possibilità, sia di partecipare a discussioni sia di scrivere in Rete sui più svariati
argomenti, come il cinema, la musica o la filosofia indiana.
Oppure un disabile può
entrare in comunità virtuali (newsgroup
o mailing
list) in cui lhandicap è largomento principale, e ci si pone
lobiettivo di attivare uno scambio di opinioni, aiuti, informazioni.
Vogliamo ora capire quale ruolo assumono e come funzionano le comunità virtuali
incentrate sulle tematiche dellhandicap e quali funzioni adempiono. Innanzitutto
parliamo di newsgroup,
cioè di quelle bacheche elettroniche in cui è possibile inserire messaggi: i newsgroup
relativi alla disabilità costituiscono un forte elemento di socializzazione.
I contenuti sono dei più vari: oltre a vere e proprie discussioni su temi specifici,
vi sono messaggi come richieste di aiuto o di compagnia, o addirittura annunci commerciali
come può essere il caso di aziende produttrici di ausili. In generale i newsgroup
hanno più un carattere socializzante, e nel caso dellhandicap sono a nostro avviso
ancora legati a una vecchia visione della disabilità, che mira ad un benessere momentaneo
della persona con deficit senza un vero e proprio progetto culturale. Con questo non
vogliamo negare il merito di queste iniziative soprattutto per limportante ruolo che
esse svolgono nello scambio di informazioni e di aiuto.
Diverso è il caso della mailing
list, dove gli iscritti discutono su un argomento più o meno vasto ma sempre più
circoscritto rispetto ai newsgroup.
Anche nelle liste vi possono essere scambi di informazione e ricerche di aiuto, ma
generalmente cè un argomento, un filo conduttore che guida la discussione. Dal
punto di vista dellhandicap questo significa avere un progetto culturale di respiro
più ampio che sottragga questo mondo dai consueti problemi e schemi mentali della
socializzazione e della solidarietà.
Per capire in maniera più approfondita il mondo dellHandicap allinterno
della Rete delle reti abbiamo visitato il Centro di Documentazione Handicap di Bologna
dove viene gestita una mailing
list sul disagio e sullhandicap.
Il Centro Documentazione
Handicap di Bologna è una realtà molto importante che rientra in una rete di Centri
di Documentazione che copre tutto il territorio emiliano romagnolo e le cui
finalità principali sono la formazione, l'archiviazione e lo scambio di risorse. Da
qualche anno il CDH di Bologna
si occupa anche di problemi relativi alla telematica in collegamento con Peacelink, una rete eco-pacifista al cui interno sono
presenti varie mailing list (ad esempio sul mondo femminile, sui diritti umani, sulla
scuola). Tra queste il CDH
ne ha attivata una sul disagio e sui problemi relativi all'handicap. Al contrario di altre
liste come Hmatica,
rivolta prevalentemente a persone handicappate e che vede come sue finalità principali lo
scambio di informazioni per esempio su software specializzati o richieste di aiuto, la
lista che fa capo al CDH
ha, come ci ha spiegato il moderatore Nicola Rabbi,
un progetto culturale più ampio.
Attraverso la policy si può comprendere lo spirito della lista che è dichiaratamente
rivolta a tutte le persone che lavorano o vivono nel mondo della disabilità (oltre agli
handicappati stessi, anche familiari, operatori, volontari...). La mailing
list così si caratterizza per un'apertura verso l'esterno ed è animata da una forte
volontà di ridurre quelle barriere, cioè quegli handicap che separano il disabile dalla
società. Da questo nasce una riflessione allargata sui pregiudizi, sulle ingiustizie,
sugli stereotipi che non riguardano esclusivamente gli handicappati, ma di cui sono
oggetto anche immigrati, nomadi, ex tossicodipendenti. In questo modo si può comprendere
che il mondo della disabilità non è chiuso in se stesso e che Internet non costituisce
necessariamente un aumento di questo isolamento creando delle comunità staccate dal resto
della società. Proprio al Centro
di Documentazione Handicap si è anche creata una sinergia, una sorta di
collaborazione fra questa mailing
list sul disagio e la rivista bimestrale "HP", redatta
proprio qui al CDH, nelle
cui pagine vengono riportati i messaggi più interessanti che giungono alla lista a
testimonianza del fatto che Internet non è una realtà virtuale immaginaria, ma può e
deve interagire col mondo fisico.
Quest'ultimo aspetto è molto sentito sia dai disabili, sia da chi si occupa di questo
argomento: anche perché, benché in Internet sia possibile annullare la diversità fisica
o psichica, la dimensione dell'incontro materiale rimane sempre importante e complementare
alla vita di rete.
Le
comunità virtuali divengono così un modo per organizzare lo scambio di informazioni e la
possibilità degli handicappati di prendere parte alla vita sociale. Questo modello che
utilizza le nuove tecnologie della comunicazione al fine di favorire l'integrazione dei
disabili si fonda, come molta filosofia legata a Internet, sul modello della polis greca
per allargare il bacino delle partecipazioni anche alle persone più svantaggiate seguendo
una celebre frase di Don Milani
secondo cui l'informazione è potere. Tuttavia al contrario della tendenza di altri mezzi
di comunicazione di massa, l'interattività di Internet può, se usata saggiamente,
portare non ad una omologazione, ma a quella cultura che attraverso la cooperazione
valorizzi e integri le differenze.
Abbiamo visto come Internet fornisca nuove possibilità di comunicazione e una nuova
apertura culturale. Per riflettere meglio su questa nuova opportunità abbiamo chiesto al Prof. Andrea Canevaro
Direttore del Dipartimento di Scienze dell'Educazione di Bologna se queste comunità
virtuali possano favorire lintegrazione dei disabili o se esista il rischio di una
ulteriore chiusura in gruppi ristretti allinterno della rete delle reti:
"La mia sensazione è che al momento stiamo maneggiando della dinamite e quindi
dobbiamo procedere con molta cautela. Quando si maneggia la dinamite si possono anche
avere delle automutilazioni, si possono fare molte opere civili e serie ma si possono
anche creare molti danni. Perché dico questo? Perché noi abbiamo più lesperienza
positiva dei gruppi di auto-aiuto, il più celebre dei quali è quello degli alcolisti
anonimi, che hanno uno svolgimento in cui la presenza fisica è di grande importanza e
senza quella è molto difficile immaginare che il gruppo proceda. Farlo a distanza con
lutilizzo di un gruppo virtuale vuol dire operare in un campo di pura
sperimentalità che deve ancora dare dei frutti. Per cui esiterei ad indicarlo come una
strada da percorrere. Vorrei prima compiere le giuste esplorazioni per capire dove portano
le dinamiche di un gruppo virtuale".
Fino a questo momento abbiamo parlato della struttura di queste comunità virtuali e
del loro progetto culturale senza ragionare sullopinione dei diretti interessati.
Per rispondere a questa domanda ci siamo rivolti ancora al Prof. Canevaro:
"Nella mia esperienza ho riscontrato due polarità. Cè chi ha paura, e
forse sono le persone che incontro di più, perché è più facile che tra noi ci si
incontri per segnalare i problemi che non per cantar vittoria. Tuttavia
incontro anche diverse persone che invece sono contente di appartenere a una comunità
virtuale. Io, ovviamente, sono più impegnato con le persone che hanno paura, paura di
rimanere isolate, paura che il telelavoro voglia dire essere isolate nella loro condizione
di invalidità, di vittima e che quindi rifiutano il telelavoro. Allora, evidentemente,
cè ancora una strada culturale da percorrere. Quasi sempre le tecnologie devono
essere messe con molta cautela accanto alle culture dei singoli gruppi. Pensare che le
tecnologie abbiano un apporto salvifico di per sé è un po pericoloso perché è un
po una mentalità, mi permetto questo termine, "da colonizzatori": abbiamo
inventato la tua libertà e te la diamo. Ancora cè una grande differenza tra essere
liberati e essere liberi". |
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