Off-line del 12 giugno 1998
Introduzione ai nuovi media 10/b.
Lo studio e i nuovi media
di Gino Roncaglia
Proprio di questo ci parla David Kolb, del Bates College, che ha promosso alcuni
esperimenti estremamente interessanti di uso didattico di Internet. A Kolb avevamo
domandato quali caratteristiche devono avere gli strumenti informatici utilizzabili per
l'insegnamento.
(David
Kolb) Servono almeno due qualità. Prima di tutto una tecnologia affidabile. E
bisogna sempre aspettarsi che non funzioni, purtroppo. E è necessario un software che non
sia troppo difficile da imparare. Ci vuole qualcosa che gli studenti possano imparare
velocemente. E d'altra parte qualcosa che possa stimolare la creatività degli studenti.
Ecco perché il web va bene. Una volta che hanno imparato le basi di come fare una pagina
web, possono cominciare a scoprire da soli nuovi modi di farlo e poi uscire nella rete e
riportare molte cose con cui ornare le loro pagine, è una cosa aperta e incoraggia la
creatività. Quindi cercherei l'affidabilità, la facilità e l'apertura in modo da
permettere agli studenti di far emergere la loro creatività. Il peggior tipo di media è
il tipo delle semplici esercitazioni, in cui si usa il computer semplicemente per far
ripetere le cose agli studenti fino all'esasperazione. Si è provato molto bene che questo
non funziona, a meno che non venga usato come uno strumento per uno stile più aperto e
creativo.
Il problema dei ruoli. L'introduzione delle nuove tecnologie muta
spesso il ruolo e le relazioni reciproche fra i protagonisti del dialogo didattico:
innanzitutto studenti ed insegnanti, ma anche i genitori, e, più in generale, il contesto
sociale nel quale opera la scuola.
Si dice spesso che una delle difficoltà principali collegate all'introduzione dei
nuovi media nella scuola risieda in una sorta di 'capovolgimento' del rapporto fra docente
e studenti: non di rado, gli studenti sanno usare le nuove tecnologie meglio dei propri
professori, o comunque imparano ad utilizzarle in maniera più rapida e veloce. Si tratta
di una delle manifestazioni di quel 'gap generazionale' che è considerato una delle
caratteristiche specifiche della rivoluzione digitale, e che si manifesta del resto anche
nel rapporto fra genitori e figli.
Per i docenti è dunque spesso difficile accettare le nuove tecnologie come strumento
quotidiano del lavoro didattico. Come può il docente conciliare il proprio ruolo con
l'apparente perdita di 'potere didattico' collegata a una situazione in cui gli studenti
sembrano conoscere meglio di lui li strumenti da utilizzare? Quali motivazioni possono
essere offerte agli insegnanti per quello che può a volte sembrare un vero e proprio
salto nel buio?
Sentiamo cosa ne pensa Nanda Cremascòli, preside dell'istituto 'Fantoni' di Clusone,
in provincia di Bergamo, impegnata da anni nell'uso didattico delle nuove tecnologie.
(Nanda Cremascòli) C'è un forte interesse
nella scuola relativamente alle nuove tecnologie e particolarmente al tema della
multimedialità. Anche perché il sostegno che il Ministero della Pubblica Istruzione sta
dando in questo periodo a questo genere di temi chiaramente crea interesse nelle scuole.
(...) Io credo che il grande problema della didattica sia in realtà proprio nella
formazione degli insegnanti e nel fatto che gli insegnanti siano troppo legati a un
modello, che in realtà è un modello storicamente determinato di trasmissione del sapere
e legato fondamentalmente alla pratica della lezione frontale. Il giorno in cui gli
insegnanti si convincono e molti in realtà ne sono convinti, perché un insegnante che
lavora con gli studenti e comincia vedere risultati diversi è consapevole del fatto che
è necessario saper organizzare il lavoro degli studenti, è necessario saper organizzare
il loro percorso di esperienze riunite che alla fine costruiscono il risultato. Questo è
il problema vero della didattica. Nel momento in cui gli insegnanti si rendono conto di
questo, allora la strada è spianata. Allora le nuove tecnologie gli interessano
sicuramente molto, si rendono conto che oltre ai problemi (perché danno anche qualche
problema di gestione, perché sono macchine molto belle, ma insomma forse non sono ancora
le macchine ideali di cui avremo bisogno) queste macchine possono risolvere molti dei
nostri problemi. Ma è, diciamo, un problema di carattere, legato alla cultura
professionale, vorrei dire. Non sono le tecnologie a cambiare la cultura professionale
degli insegnanti, credo, sono gli insegnanti che devono fare una serie di esperienze.
Dovrebbero essere formati in modo diverso e a questo punto potrebbero scoprire le nuove
tecnologie. Io credo, come dice Roberto Vacca, che i computer piacciano a quelli che fanno
delle cose. Se uno deve scrivere apprezza il fatto che con un computer... se uno deve
disegnare il fatto che con un computer si possa, se uno deve fare dei calcoli apprezza il
fatto che con un computer si possa fare. Se uno non sa bene che cosa deve fare è
difficile che apprezzi il computer.
Come vedete, le considerazioni di Nanda Cremascoli tornano ad insistere su un punto,
l'importanza dell'esperienza concreta di uso dei nuovi media, che era già stato
sottolineato da Torriani. Come nota la Cremascoli, l'impegno diretto del Ministero ha in
questo campo un ruolo fondamentale. Sentiamo allora da Mario Fierli, ispettore del
Ministero della Pubblica Istruzione al quale sono state affidate responsabilità
specifiche proprio nell'ambito del progetto di informatizzazione delle scuole, qual è la
strategia del Ministero in questo campo.
Ricapitoliamo brevemente alcuni dei punti fondamentali delle considerazioni che abbiamo
svolto fino a qui: nuove tecnologie come occasione e stimolo al rinnovamento dei metodi
didattici; uso del computer non come fine, ma come strumento attraverso cui migliorare
l'integrazione fra i diversi tipi di contenuti informativi e fra i diversi media;
importanza della pluralità delle voci e degli strumenti utilizzati all'interno di quella
che dovrebbe diventare una vera e propria 'orchestra multimediale'; ricerca della
motivazione di insegnanti e studenti attraverso esperienze concrete di utilizzazione dei
nuovi media, anziché attraverso proclami astratti.
Se queste sono un po' le direttrici del lavoro da svolgere nelle scuole, diventa
fondamentale cercare di moltiplicare le esperienze, i progetti, gli esempi concreti, e
cercare di far circolare il più possibile le informazioni relative. E' chiaro che una
trasmissione come questa può svolgere questo compito solo in maniera limitata; vogliamo
comunque proporvi di seguire insieme altri due servizi che riguardano proprio esempi
concreti di utilizzazione dei nuovi media. Il primo come è possibile realizzare il
passaggio da un testo a stampa a un testo elettronico da utilizzare nel lavoro di classe;
il secondo fornisce alcuni esempi di lavori che possono essere fatti partendo dal testo
elettronico di un classico.
Il problema delle diseguaglianze. Ci avviamo alla conclusione anche di
quest'ultima lezione. Prima di salutarci, però, c'è un ultimo aspetto della discussione
relativa all'introduzione dei nuovi media nelle scuole che ci sta particolarmente a cuore
e sul quale vorremmo soffermarci. Il problema delle diseguaglianze. Nella sua attività
didattica, infatti, la scuola ha anche il compito di contribuire al superamento delle
diseguaglianze culturali e sociali. Eppure, proprio il campo dei nuovi media rischia in
alcuni casi di introdurre nuove diseguaglianze, o di rafforzare quelle esistenti. La
differenza fra gli "have" e gli "have not", fra chi ha competenze e
chi non le ha, fra chi sa muoversi nel nuovo orizzonte informativo e chi non sa farlo,
rischia di trasformarsi immediatamente in un fattore di discriminazione culturale ed
economica.
E' un problema che, in forma diverse, riguarda anche il mondo della scuola. Sentiamo
cosa ci dice a questo riguardo Luciano Gallino, presidente del corso di laurea in scienze
dell'educazione dell'università di Torino.
(Luciano
Gallino) Se pensiamo che le disuguaglianze, perché questo è il termine
sociologico e sociale da usare, si dissolveranno automaticamente in presenza delle nuove
tecnologie a causa delle loro potenzialità, commetteremmo un errore che non esiterei a
definire tragico. Perché in questo campo il processo di differenziazione, che poi diventa
disuguaglianza sociale radicata, è inesorabile. Quindi bisogna contrastare in ogni modo e
fin dall'inizio le disuguaglianze che nascono. Che nascono sui terreni più ovvi, perché
lo scolaro, lo studente che arriva in una scuola che è finalmente dotata di computer
moderni, di capacità di rete e così via, provenendo da una famiglia dove fin dalla
nascita ha visto e ha giocato con dei computer, è molto avvantaggiato rispetto allo
studente che vede per la prima volta il computer a scuola. Inoltre lo studente che ha il
computer a casa, quando esce dalla lezione in una classe elettronica o da una lezione
assistita da strumenti multimediali come si fa ormai in molte scuole che si stanno
generalizzando nelle università, ha la possibilità di rinforzare quelle conoscenze,
quell'apprendimento, di fare esercizio, cosa che chi non ha l'abbonamento ad Internet, chi
non ha la macchina eccetera, non può fare. Quindi è essenziale che lo sviluppo e la
diffusione dell'informatica nella didattica sia seguito e sia anche corredato da
interventi compensativi per quei soggetti che per qualche motivo non possono utilizzare
come gli altri queste tecnologie. Altrimenti saremo dinanzi ad una divisione radicale tra
alfabeti tecnologici e analfabeti tecnologici che può essere una delle più aspre e dure
che la storia abbia conosciuto.
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