Off-line del 8 maggio 1998
Nuovi media e didattica.
I protagonisti della nuova didattica /1
di Gino Roncaglia
Eccoci alla terza delle cinque puntate di MediaMente che dedichiamo questa settimana al
mondo della scuola, e che nascono dalla collaborazione fra RAI Educational e Ministero
della pubblica istruzione.
Nella puntata di oggi, cercheremo di capire in che modo l'introduzione delle nuove
tecnologie muta il ruolo e le relazioni reciproche fra i protagonisti del dialogo
didattico: innanzitutto studenti ed insegnanti, ma anche i genitori, e, più in generale,
il contesto sociale nel quale opera la scuola.
Si dice spesso che una delle difficoltà principali collegate all'introduzione dei
nuovi media nella scuola risieda in una sorta di 'capovolgimento' del rapporto fra docente
e studenti: non di rado, gli studenti sanno usare le nuove tecnologie meglio dei propri
professori, o comunque imparano ad utilizzarle in maniera più rapida e veloce. Si tratta
di una delle manifestazioni di quel 'gap generazionale' che è considerato una delle
caratteristiche specifiche della rivoluzione digitale, e che si manifesta del resto anche
nel rapporto fra genitori e figli.
Le cose stanno davvero così? E in caso affermativo, in che modo ne risultano
modificate le figure tradizionali del docente, dello studente, del genitore? Come può il
docente conciliare il proprio ruolo con questa apparente perdita di 'potere didattico'? In
che modo può far fronte alla necessità di un aggiornamento molto più massiccio e
continuo di quello al quale era tradizionalmente abituato? Quali supporti vengono offerti
dall'istituzione scolastica?
Sono tutti interrogativi che cercheremo di prendere in esame nella puntata di oggi.
Via, allora, a MediaMente scuola.
Bene, mi pare che da queste osservazioni, da questi commenti, e anche da tutti gli
altri che abbiamo raccolto in questi mesi qui a MediaMente, vengano fuori diversi aspetti
interessanti.
Per quanto riguarda gli studenti, c'è da un lato un grande entusiasmo, una grande
attrazione verso tecnologie che possono renderli più attivi, ma anche il bisogno di
strutture e figure che li accompagnino alla scoperta di questi strumenti.
Da parte degli insegnanti, c'è insieme la percezione della sfida, e delle conseguenze
radicali che essa potrà avere sul ruolo tradizionale del docente. Ma c'è anche un certo
timore su come affrontarla. In alcuni casi, questo timore viene superato: in una misura
maggiore o minore, l'insegnante ha già fatto il 'salto'. In altri casi, invece, prevale
la preoccupazione, e anche un certo attaccamento a ruoli e modelli didattici del passato:
si avverte la paura di una sorta di 'salto nel buio' che può far perdere al docente il
controllo sul rapporto con la classe.
In questi casi, molto spesso, quelle che sono in realtà resistenze concettuali si
mascherano dietro alle indubbie difficoltà pratiche, ai problemi economici, e -
soprattutto - a una sensazione diffusa di mancanza di preparazione proprio da parte dei
docenti.
E' bene non sottovalutare queste difficoltà, che portano anche alcuni esperti del
settore, come Luciano Galliani, a un pessimismo di fondo sulla capacità
della scuola ad aprirsi al processo di rinnovamento delle tecnologie didattiche e all'uso
dei nuovi media.
"La scuola è chiusa nei confronti di questo
processo, di questo modo diverso di apprendere, ed è difficile farlo capire a generazioni
di insegnanti che hanno vissuto all'interno di un sistema, che non era non solo il futuro,
ma nemmeno una modalità, una realtà per cui loro hanno sperimentato il cambiamento, loro
hanno sperimentato processi diversi. Perché nella scuola c'è così poca attenzione da
parte degli insegnanti a quello che avviene fuori, e, se c'è, c'è una tensione di
rifiuto, di censura, di in qualche modo far dimenticare ai ragazzi, dicendo che tutto
quello che sta fuori non è cultura, non serve molto a loro. Questo atteggiamento non è
cattivo da parte dell'insegnante, non è voluto, fa parte della sua formazione, del modo e
del mondo in cui ha vissuto. Voglio essere più cattivo: fa parte dell'università che ha
frequentato, un'università chiusa per tanti anni al cambiamento. Se c'è un luogo in cui
le tecnologie della comunicazione educativa sono sconosciute è l'università. Se c'è un
luogo in cui la didattica è una didattica trasmissiva, con spesso la sparizione anche
fisica degli insegnanti, dei docenti, è l'università. Un insegnante, che si forma lì,
non è in grado in questo momento ancora di avere un rapporto diverso con i bambini, con i
ragazzi."
Galliani sottolinea con forza il ruolo che le università dovrebbero avere nel
modificare i processi di formazione dei docenti. E i timori di Galliani sulla formazione
degli insegnanti tornano, occorre sottolineare, assai spesso nei pareri che abbiamo
raccolto sul nuovo ruolo del docente. Preoccupazioni analoghe le troviamo espresse ad
esempio da Roberto Maragliano, al quale avevamo chiesto a chi spetti il
compito di formare i docenti per permettere loro di rispondere alle sfide delle nuove
tecnologie.
Eh, chi li forma! Li dovrebbe formare l'università.
Già è un po' difficile che questo avvenga, perché viviamo in un paese dove i sacri
principi vengono, diciamo, fissati una volta per tutte e poi difficilmente vengono
attuati. Ancora oggi buona parte della formazione degli insegnanti non avviene
nell'università e la parte invece che avviene dentro l'università non ha una
caratterizzazione professionale, ma una caratterizzazione culturale. Facciamo finta che, a
breve, si risolva questo problema. Non avremmo risolto il problema, diciamo così,
strategico, di come formare i nuovi docenti. Io credo che questo problema non possa non
investire nel profondo l'identità dell'università, che anch'essa dovrà trasformarsi,
dovrà modificare i suoi assetti, ridefinire l'enciclopedia, diciamo, delle sue
conoscenze, le articolazioni dei suoi saperi, ed entrare in un logica, per quanto
avanzata, per quanto sistematica, direi però una logica più fluida, più aperta al
nuovo.
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