INTERVISTA:
Domanda 1
Chi sono le persone che utilizzano Internet?
Risposta
Io uso Internet, e quindi sono già uno dei possibili tipi di fruitori di questo mezzo.
Per usare Internet bisogna avere una strumentazione che costa attorno ai tre o quattro
milioni, è necessario conoscere un poco l'inglese ed avere del tempo da trascorrere da
soli, perché Internet è una "masturbazione" solitaria; poi, bisogna avere il
gusto del navigare senza una meta, avere il gusto della virtualità che consiste nel
dialogare con una persona che non si vede, di cui bisogna immaginarsi le fattezze,
immaginarsi tutte le cose che non sappiamo e non vediamo. Tutto sommato, il soggetto che
usa Internet è una persona che ha molto tempo. Di conseguenza, o è un professore
universitario, o una persona che si è diplomata o si è laureata, ma non possiede ancora
un lavoro; oppure un prepensionato che utilizzava l'elettronica in azienda e che ora ha
tutto il tempo per navigare, con grande calma.
Domanda 2
Fra le categorie di servizi innovativi più desiderati rientra anche il telelavoro. Allo
stato attuale, in Italia e nel mondo, quali sono, rispetto al telelavoro, le aspettative
reali? E quali sono, invece, i tanti luoghi comuni che andrebbero sfatati?
Risposta
Dal primo convegno sul telelavoro a cui partecipai, nel 1969, ricordo che vi uscii
entusiasta, ed ero sicuro che di lì a pochi mesi tutti avrebbero
"telelavorato". Allora, naturalmente, non c'erano i Personal Computer e non era
così facile approvigionarsi di informazioni. Nonostante ciò, a me sembrava che il
semplice uso del telefono sarebbe bastato per evitare questa tragedia di andare tutti i
giorni da casa all'ufficio. Sono trascorsi circa 10 anni e non è successo niente: si è
pubblicata una rivista che si chiama "Scienza 2000", che io dirigevo ed in cui,
in più numeri, tornai sull'argomento. Volevo attingere alla letteratura straniera: mi
ricordo che feci scrivere un articolo a un collega che allora se ne interessava in
Francia. Poi è trascorso un altro decennio e, all'improvviso, il fenomeno è esploso.
Abbiamo svolto una ricerca che è durata due anni, che è stata poi pubblicata in un libro
che, a sua volta, ha avuto una enorme diffusione nelle aziende (ci sono già due o tre
edizioni), e da quel momento, in sostanza, ci sono stati almeno dieci commenti all'anno
sul telelavoro. Oggi tutti ne parlano, quindi si tratta di un classico tipo di
organizzazione più virtuale che reale, nel senso che le aziende si guardano bene
dall'applicarlo; però, si capisce che il futuro non andrà con lo stesso ritmo del
passato. Voglio dire che dopo un periodo di andamento quasi ad elettroencefalogramma
piatto, si verificherà una grossa impennata: già diverse aziende, adesso, si stanno
preparando a diffondere il telelavoro. Naturalmente le remore sono molte, perché in
azienda, oggi, si va per lavorare, ma soprattutto per tenere compagnia ai propri capi.
Questo comporta che i capi sono restii a diffondere il telelavoro, poiché hanno
l'impressione che l'assenza fisica del dipendente sia anche assenza contrattuale. Ciò non
è vero. C'è, poi, la remora costituita dal fatto che gli stessi lavoratori utilizzano il
lavoro come unica via di socializzazione: quando una persona è reclusa per 10-12 ore al
giorno nello stesso luogo - parlo soprattutto di lavoratori intellettuali come manager,
dirigenti, professional - per 20-30 anni, non possiede, all'esterno dell'azienda, nessuna
amicizia, ed anche in famiglia è un estraneo. I manager sono i migliori alleati
inconsapevoli degli idraulici, i quali, invece, hanno piena cittadinanza nelle loro case.
La remora a lasciare il proprio posto di lavoro è, dunque, forte, e sarà uno degli
elementi che, ancora per qualche tempo, ridurrà la diffusione del telelavoro. In realtà,
queste remore riducono i vantaggi enormi del telelavoro: per il lavoratore si tratta,
finalmente, di diventare padrone del proprio tempo, si tratta di gestire l'attività
produttiva e quella riproduttiva mischiandole tra di loro: quindi lavorare, andare ad
accompagnare i figli a scuola, scendere giù al bar, interessarsi di altre cose, sentire
musica, ritornare al lavoro. Questo era il lavoro prima dell'avvento industriale! Ci sono,
inoltre, i grandissimi vantaggi per la società: riduzione di inquinamento, riduzione di
spese per la manutenzione di aria, l'eliminazione delle ore di punta, dell'intasamento del
traffico. Diceva Ennio Flaiano: "Nelle ore di punta non è possibile neppure
l'adulterio, tutte le nostre attività si bloccano!". Ancora: ci sono i vantaggi per
le stesse aziende: riduzione dei costi per le enormi superfici degli uffici, riduzione di
conflittualità. In ogni modo, il telelavoro produce dei vantaggi talmente forti che se
noi non fossimo masochisti si diffonderebbe con una velocità enorme.
Domanda 3
Quindi, lei ritiene che ci sia soltanto una resistenza al cambiamento?
Risposta
Certo! L'azienda industriale è stata per duecento anni il motore dell'innovazione, dalla
metà del '700 alla metà del '900. Ma, come sempre avviene, i motori, poi, si ingolfano,
e quello che prima rappresentava la spinta vitale diventa, viceversa "la palla al
piede". In questo momento, le organizzazioni aziendali sono le più retrive; prima,
si pensava al ruolo delle donne che, oggi, è quasi inesistente nelle organizzazioni. Ci
sono organizzazioni maschiliste, totalmente razionaliste, che escludono la dimensione
emotiva, escludono la dimensione creativa, escludono la dimensione innovativa. In nessun
luogo si parla tanto di innovazione e se ne crea così poca come nelle aziende. Il
telelavoro sbreccerebbe una volta per tutte la fabbrica fordista, perché la fabbrica
fordista è stata, non solo un modo di lavorare, bensì un modo di vivere. Per la prima
volta, dopo migliaia di anni, gli esseri umani sono stati tolti dalla casa e
l'organizzazione è stata impiantata su un pregiudizio: che tutto ciò che è buono è
razionale, tutto ciò che è razionale è maschile, tutto ciò che è maschile attira il
lavoro e tutto ciò che attira lavoro si crea fuori casa. Mentre, al contrario, tutto ciò
che è cattivo è emotivo, tutto ciò che è emotivo è femminile, tutto ciò che è
femminile attira la riproduzione e tutto ciò che attira la riproduzione si crea in casa.
E' la scissione tra il luogo di produzione ed il luogo di riproduzione, tra il luogo di
lavoro ed il luogo di vita. Dopo cento anni si stanno creando i presupposti di una nuova,
grande, riproduzione, e questi due poli, che sono stati artificiosamente separati, si
riunirebbero: cambierebbe non solo la vita e la qualità del lavoro, ma la qualità totale
della vita.
Domanda 4
Il telelavoro è proprio uno dei luoghi concettuali nei quali la concezione del tempo
potrebbe essere profondamente modificata, anche in rapporto allo spazio.
Risposta
Dobbiamo partire da questo punto di vista: tutto ciò che è lavoro ripetitivo o lavoro
banale si potrà affidare sempre più alle macchine per lasciare agli esseri umani un
lavoro creativo. Nel lavoro creativo il concetto di tempo è completamente diverso che nel
lavoro ripetitivo, poiché nel lavoro ripetitivo il tempo equivale ai risultati; nel
lavoro creativo, viceversa, il risultato è sganciato dal tempo. Io posso avere mille idee
in una mattinata e poi per dieci giorni non averne; posso avere idee mentre faccio la
doccia o mentre sono al cinema, non è detto che le abbia in ufficio. Quindi, il luogo di
tempo ed il luogo fisso del lavoro, è una questione direttamente e fortemente connessa al
lavoro ripetitivo, banale, fordista della catena di montaggio. Applicata al lavoro
intellettuale è una terribile crudeltà ed è una crudeltà che poi rivela fortemente il
paradosso con cui noi viviamo il nostro tempo. Noi viviamo più del doppio dei nostri
immediati antenati; la nostra vita media è di circa settecentomila ore, sarà di
ottocentocinquantamila ore per i nostri figli; per i nostri antenati, per i nostri
trisavoli era di non più di trecentomila ore. Lavoriamo pochissimo ormai, non più di
ottantamila ore, i nostri figli lavoreranno non più di trentamila ore. Quindi, noi
abbiamo a disposizione un tempo enorme oltre il tempo di lavoro, e nonostante ciò abbiamo
l'impressione di non avere tempo. Abbiamo organizzato i tempi in modo così assurdo che,
ad esempio, ci sono accavallamenti inutili: i negozi aperti mentre noi lavoriamo; oppure,
nella stessa famiglia c'è il padre che lavora dodici ore al giorno ed il figlio che è
disoccupato; oppure, cattive sincronizzazioni, come la moglie che esce di mattina quando
si ritira il marito, e così via. Per recuperare questa assurdità abbiamo creato delle
protesi allo scopo di arricchire il tempo, come la radio che ascoltiamo in macchina;
oppure protesi per progettare il tempo come le agendine; oppure protesi per risparmiare il
tempo come il telefono o il telefonino; oppure protesi per stoccare il tempo: mentre sono
qui e parlo con lei la mia segreteria telefonica prende le telefonate per me. Viviamo di
più e lavoriamo meno dei nostri antenati, tuttavia, abbiamo questa impressione di essere
inseguiti da un tempo che ci manca. E' una questione assolutamente culturale: va
ristrutturata la nostra vita, vanno educate le persone, non solo al lavoro come si vive
oggi, ma all'ozio, e l'ozio è il nostro partner di domani: il luogo ed il tempo in cui
noi avremo la possibilità di pensare e di creare per noi e per gli altri. In questa
prospettiva l'ozio è sganciato dal cancro della concorrenza, perché è il luogo della
solidarietà e della creatività: è la nostra patria futura.
Domanda 5
Però i giovani sono fiduciosi verso i nuovi media.
Risposta
In ogni epoca storica esiste un soggetto sociale collettivo che si assume la
responsabilità del futuro, magari senza saperlo. In alcuni periodi sono stati gli
intellettuali, in altri gli operai, in altri ancora i giovani, poi gli anziani, e le
donne. Io credo che il futuro sarà ridisegnato dalla cultura nuova delle donne, dalla
cultura nuova di soggetti sociali costituiti dagli inoccupati, oppure dai prepensionati.
Si tratta, per lo più, di giovani che hanno una buona domestichezza con le nuove
tecnologie, che non hanno paura dell'informatica, sono nomadi, anche fisicamente - nel
senso che girano molto il mondo -, conoscono l'inglese, ed hanno una grande capacità di
interagire con gli altri, una propensione alla solidarietà più che alla concorrenza, un
rapporto col denaro abbastanza distaccato perché non fanno corrispondere le gerarchie
sociali alle gerarchie di reddito, e tendono a vivere la vita con forte dimensione
virtuale. Io chiamo questa fascia di persone, per comodità, i "soggetti
digitali": persone che pensano di poter trovare tutto quello che vogliono, purché lo
sappiano cercare attraverso Internet, o attraverso tutti gli altri sistemi di interazione
con gli altri. Questi soggetti possiedono una loro estetica, quella che io chiamo
l'estetica di "Wired", che è la rivista americana, forse, oggi, più letta e
corteggiata. Hanno una loro etica, abbastanza distaccata, ed hanno anche dei loro
pericoli: pensiamo al pericolo della violenza che noi, oggi, vediamo realizzare
virtualmente attraverso film come "Trainspotting", o "Crash", o
attraverso i libri de I Giovani Cannibali in Italia o dei vari Osborne negli stati Uniti.
Questa cultura nuova è imbevuta, a mio avviso, di maggiore tolleranza, ma anche di
maggiore dispersione: è un collage di valori come la creatività,
l'intellettualizzazione, la femminilizzazione, la destrutturazione del tempo e dello
spazio, l'emotività, la soggettività ed anche la qualità della vita. Si è capito che
la qualità della vita non è direttamente connessa al reddito, non è neppure
direttamente connessa alla gerarchia dei mestieri. Ci sono mestieri e professioni
gerarchicamente molto prestigiosi, ma che offrono una pessima qualità della vita.
Probabilmente anche il Papa o il Presidente della Repubblica hanno una vita pessima,
assillata dal tempo, assillata dalla mancanza di spazio. Probabilmente, Berlusconi viveva
molto meglio prima di darsi alla politica. Questi nuovi soggetti sociali che hanno le loro
trasmissioni televisive, i loro libri, le loro riviste, la loro estetica, la loro etica,
sono, probabilmente, quelli che sanno disegnare nel nostro futuro.
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