| INTERVIEW:Domanda 1Che cosa sono le tecno-utopie?
 RispostaCredo si possa dire che fin dagli inizi, le tecniche di comunicazione - di qualunque
        genere fossero, quelle fisiche come i mezzi di trasporto, oppure immateriali, relative
        cioè al trasporto dei segni, - siano sempre state accompagnate da discorsi di carattere
        utopico. Parlo di utopia nel senso che, in fondo, è presente l'idea di una redenzione ad
        opera della comunicazione, e il dato più interessante è che ciò ha attraversato tutte
        le generazioni della tecnica, a cominciare dai grandi viaggi. Basterebbe, per esempio,
        rileggere i testi di Marco Polo sulla Cina e osservare come il modello cinese abbia
        percorso tutto il Rinascimento, specialmente in Francia. Come mai la comunicazione è
        stata profondamente segnata da questa tecno-utopia? Perché dietro il concetto di
        comunicazione c'è l'idea di una liberazione degli scambi. Se consideriamo che
        l'Illuminismo, ad esempio, era fondato sull'idea di scambio come momento di creazione di
        valori, ecco che a livello tecnico la prima vera utopia apparve già con il telegrafo
        ottico, perciò alla fine diciottesimo secolo, ai tempi della rivoluzione francese. E già
        a quell'epoca si fanno avanti dei rivoluzionari i quali reputano che basterebbe
        predisporre diramazioni fra i cittadini e moltiplicare le linee attraverso tutto il
        territorio perché la gente dia vita a ciò che in quel momento viene definito come una
        grande repubblica democratica. Così in effetti essi smentivano le tesi e le affermazioni
        di Jean Jacques Rousseau, secondo il quale non poteva esistere democrazia e Agorà se non
        a portata di voce. Ecco invece che con il telegrafo ottico questo diventava possibile per
        mezzo di una rete: i rivoluzionari dell'89 già ci avevano pensato ed erano convinti di
        disporre degli strumenti necessari per costituire, finalmente, una democrazia partendo
        dalla rete telegrafica, che a quei tempi in effetti funzionava ancora in modo
        sostanzialmente manuale.
 
 Domanda 2A proposito di "globalizzazione", ce ne può dare una definizione?
 RispostaPossiamo rapportarci a questo fenomeno sotto un duplice aspetto. In primo luogo la
        globalizzazione corrisponde a una realtà concreta, e che ad esempio consista soprattutto
        nell'accerchiamento del pianeta ad opera di reti finanziarie. E del resto il termine
        "globalizzazione" in pratica è nato con la deregolamentazione finanziaria degli
        anni 1980-85. Ci sono perciò dei dati di fatto, vale a dire che i territori degli
        stati-nazione sono sempre più indotti a collegarsi con la dimensione mondiale. Il secondo
        aspetto che vorrei ricordare è che la globalizzazione è anche una ideologia, nel senso
        che in definitiva attraverso la globalizzazione si ottiene un modello di riordinamento del
        mondo. È ciò che gli americani, gli esperti americani di geopolitica e gli strateghi del
        Pentagono, chiamano World Shaping, che significa in sostanza il rimodellamento del mondo a
        partire dall'idea della globalità. Dietro il concetto di globalizzazione c'è pertanto
        anche un particolare progetto di ristrutturazione mondiale in funzione di certi interessi
        e di certe società. Soprattutto oggi non si può analizzare il processo di
        globalizzazione attualmente in corso prescindendo dal nuovo ruolo svolto dalla strategia
        egemonica degli Stati Uniti. La globalizzazione si sposa e fa rima con la nozione di
        unipolarismo, e credo che questo sia un aspetto fondamentale.
 
 Domanda 3Invece che cosa vuol dire "mondializzazione"?
 RispostaQuesto è molto interessante. In effetti, per l'appunto, non ci si interroga sulla
        differenza fra globalizzazione e mondializzazione. Perché non lo si fa? Proprio perché,
        parallelamente alla deregolamentazione dei sistemi di comunicazione, che si tratti delle
        reti telefoniche o audiovisive, c'è stata anche un'altra deregolamentazione: quella degli
        universi concettuali che vengono impiegati per definire il mondo. Ed è vero che nessuno
        si chiede chi formula queste nozioni. Ad esempio, "globalizzazione" è un
        termine che viene dall'ambito finanziario, e da lì si è esteso alla cultura, ai media.
        Perciò il grave problema che si presenta oggi è il fatto che siamo obbligati a usare
        parole di cui non conosciamo l'origine, e che in genere sono desunte da determinati ambiti
        e in definitiva sono anche veicoli di una concezione liberoscambista del mondo, fondata
        sul libero scambio, e muovono dunque in quella direzione. E allora, il concetto di
        mondializzazione è un concetto che resta geografico, nel senso che in sostanza indica le
        strategie geografiche di diversi soggetti a vocazione mondiale. E' un concetto intermedio,
        a differenza della globalizzazione che rappresenta un concetto proprio della cibernetica,
        e che in definitiva consiste nella concezione del mondo come sistema, e rimanda a una
        gestione del mondo come sistema informatico: è pertanto un'ideologia. Il termine
        "mondializzazione" ha una storia molto più antica: come lei sa questa parola,
        nella forma "mondialismo", in inglese "Worldism", esiste fin dagli
        inizi di questo secolo, e la ritroviamo ad esempio nelle rivendicazioni presenti nei vari
        progetti che hanno dato origine alla Società delle Nazioni e alla Lega delle Nazioni.
        L'idea di mondializzazione ha insomma una memoria storica, mentre quella di
        globalizzazione ne è priva, e parte appunto da un processo di globalizzazione
        finanziaria, ossia di una interconnessione a livello mondiale. Questo è in realtà
        l'unico settore veramente globalizzato: quello della finanza, delle reti finanziarie che
        comunicano in tempo reale. E come dicevo, è un concetto nato in una dimensione di utopia
        sociale.
 
 Domanda 4Cosa vuol dire oggi comunicare in presenza di una simile pluralità di codici e di
        linguaggi diversi?
 RispostaOggi ci troviamo di fronte a una panoplia di media, ciascuno con un suo proprio universo.
        E' vero che i vari sistemi di comunicazione usano linguaggi differenti e si rivolgono a
        destinatari diversi, e si potrebbe affermare che esistono particolari culture mediatiche,
        le quali del resto spesso rinviano a sistemi culturali molto più ampi e complessi.
        Proprio qui sta il grande problema del mondo contemporaneo, certamente uno dei problemi
        maggiori: fino a oggi avevamo un insieme di media, dal giornale alla radio alla
        televisione, la cui vocazione naturale era perfettamente espressa da un bellissimo termine
        in voga nell'Ottocento in riferimento a tutte le reti di comunicazione -- la
        comunicazione, si diceva, deve "legare", dal latino "religare", ossia
        doveva avere la stessa funzione della religione. Ebbene, oggi il problema è che
        l'esplosione delle diverse tecnologie fa sì che la funzione di legame sociale, per così
        dire, a livello di un territorio ben determinato, venga messa in crisi dall'esistenza di
        tecnologie di comunicazione molto più orientate verso un'idea di eterogeneità e di
        rispetto delle diversità. Qui sta il vero problema. C'è anche chi sostiene che, in fin
        dei conti, i veri media di oggi sono Internet e la televisione. Per quanto mi riguarda,
        sono assolutamente convinto che questa sia una visione apocalittica, e credo che in ogni
        periodo storico ciascun medium, ciascun vettore si trovi a ridefinire il proprio ruolo in
        rapporto agli altri.
 
 Domanda 5Ora vorrei rivolgerle una domanda a proposito del Millennium Bug: cosa crede che
        succederà?
 RispostaQuesta è una questione che mi interessa poco, perché è diventata un vero e proprio mito
        e fa parte di un atteggiamento millenaristico nei confronti del prossimo millennio. Credo
        che senza dubbio esista un problema reale sotto il profilo tecnico, se vuole, ma al di là
        di questo si torna un po' alle tecno-utopie e il problema è proprio che anche questo vi
        contribuisce, e si inserisce in un nuovo tipo di proiezioni immaginarie che accompagnano
        le tecnologie.
 
 Domanda 6In che modo cambiano i rapporti interpersonali quando si usa un medium come Internet? Ci
        sono persone che si conoscono, dialogano, si innamorano, eppure non si sono mai viste.
        Dunque si pone anche un problema di identità nella dimensione di Internet. Come si
        trasformano allora le relazioni fra gli individui?
 RispostaIn rapporto al problema delle persone che non si sono mai incontrate e che alla fine
        possono effettivamente innamorarsi l'una dell'altra attraverso la Rete, dobbiamo ammettere
        che ancora non si conoscono abbastanza gli effetti di Internet, e che soltanto ora si
        comincia a studiarne non soltanto le conseguenze, ma anche le modalità di impiego. Ad
        ogni modo, quel che si può certamente affermare, quel che è evidente, riguarda l'ambito
        politico: Internet introduce nuovi modi di fare politica. Non arriverò a dire, come
        pretendono i libertari statunitensi, che finalmente è nato un nuovo partito, o che presto
        nasceranno nuovi partiti, i partiti virtuali. Quel che io vedo concretamente è che alcuni
        tipi di azione politica sono divenuti possibili mentre prima non lo erano. Traggo un
        esempio dal processo di regolamentazione dell'intero scenario della comunicazione: è
        sorta un'opposizione da parte di oltre seicento ONG, organizzazioni non governative di
        circa seicento paesi, contro l'accordo multilaterale sugli investimenti Come sa, si tratta
        di una famosa convenzione che in definitiva si prefiggeva di deregolamentare completamente
        la circolazione dei capitali, e che perciò si ripercuoteva direttamente sulle regole
        esistenti in materia di audiovisivi, ad esempio, in Europa. Ebbene, è interessante
        osservare per l'appunto come attraverso Internet, collegandosi alla rete, si sia
        realizzata una mobilitazione mondiale contro una certa iniziativa politica. Perciò la mia
        riflessione è piuttosto di natura politica. In effetti si pongono anche altri problemi a
        livello di relazioni individuali, ma qui siamo ancora nel campo della pura speculazione.
 
 Domanda 7Qualcuno sostiene che grazie a Internet avremo più democrazia, e che per mezzo delle reti
        informatiche in futuro sarà possibile controllare l'opera dei politici e i cittadini
        potranno esprimere più efficacemente e frequentemente la propria opinione.
 RispostaQui torniamo alla tecno-utopia dei rivoluzionari del 1789. C'è comunque un dato
        elementare su cui tutti sono d'accordo, eccetto Bill Gates. Ad esempio, oggi siamo in
        presenza di una crescente biforcazione fra ricchi e poveri, e che appena il 2% della
        popolazione mondiale è collegata a Internet. Cominciamo allora a discutere di questo.
        Secondo il principio democratico tutti dovrebbero disporre delle stesse possibilità di
        accesso alle nuove tecnologie.
 
 Domanda 8Quindi, visto che in definitiva moltissime persone non sono collegate a Internet, si può
        parlare del problema della disparità di accesso alle nuove tecnologie tra poveri e
        ricchi, tra nord e sud del mondo?
 RispostaQuesto è un problema fondamentale, centrale per l'evoluzione delle nuove tecnologie. Una
        delle questioni che occorre assolutamente affrontare è quella dell'esclusione. Mi sembra
        che i modelli di comunicazione che vengono attualmente realizzati siano modelli che
        favoriscono la segregazione e che del resto corrispondono a una nuova teoria dello
        sviluppo del pianeta. Prova ne è che negli ultimi quindici anni abbiamo visto comparire
        nozioni che in precedenza non esistevano, come ad esempio quella della triade, formata dai
        Paesi europei, dall'America del Nord e dall'Asia Orientale, come polo di sviluppo del
        nuovo ordine mondiale. Io credo che i modelli di comunicazione propri delle nuove
        tecnologie dell'informazione siano contrassegnati da quel che potremmo definire un
        arcipelago tecnologico, o meglio una sorta di tecno-apartheid. Effettivamente lo sviluppo
        tecnologico si concentra inizialmente all'interno di nuclei, di regioni che rappresentano
        veri e propri nodi in cui si concentrano tecnologie e capitali, tanto nel Nord quanto nel
        Sud. Da questo punto di vista c'è minore distanza fra Milano e San Paolo che non fra San
        Paolo e Recife. Questo è un fatto molto interessante, di cui tengono conto gli stessi
        pubblicitari quando approntano le loro strategie identificando profili socio-culturali al
        di là di ogni frontiera, e stabilendo, ad esempio, che un abitante di Malaga non è più
        vicino al settimo distretto di Parigi di un abitante della periferia di New York. Si va
        affermando un pensiero della segregazione, che a differenza di quanto avveniva nel XIX
        secolo e in tutti i decenni precedenti, rompe con la cosiddetta ideologia della lotta, il
        cui obiettivo era la giustizia sociale. Al giorno d'oggi è come se il contesto portasse a
        pensare che il modello attuale non è in grado di integrare la maggioranza. Da questo
        dipende anche la creazione di barriere non solo tecnologiche ma architettoniche. Mentre in
        Europa il fenomeno è forse meno evidente che altrove; in Brasile o in Messico, se andiamo
        in paesi come il Brasile o il Messico e osserviamo come sono costruiti i centri
        commerciali, gli shopping center, noteremo che si tratta di vere e proprie fortezze o di
        veri e propri ghetti riservati a coloro che possono consumare e che davvero fanno parte di
        una classe globale. Perciò, come stupirsi del fatto che le tecnologie seguano questi
        modelli? Le tecnologie in effetti si adattano a modelli sociali che esse non hanno modo di
        esaminare. I modelli di impianto della tecnologia corrispondono alle logiche sociali e il
        grande problema di oggi per quanto concerne le tecno-utopie è che vogliono convincerci
        che attraverso la tecnica possiamo rimediare agli squilibri sociali ed economici. Tutti i
        discorsi che si fanno intorno all'uso delle nuove tecnologie convergono in questa
        direzione. Albert Gore, ad esempio, quando inaugurò le autostrade dell'informazione a
        Buenos Aires agli inizi del 1994, disse: "Le autostrade dell'informazione renderanno
        possibile l'agorà mondiale, la conversazione universale, e permetteranno di risolvere i
        problemi legati a ineguaglianze sociali ed economiche." A mio parere si tratta di
        un'utopia, di una tecno-utopia che va senz'altro denunciata come tale poiché è
        precisamente un'ideologia che vuole farci credere che le tecniche siano portatrici di
        modelli di trasformazione e non che siano a loro volta integrate all'interno di un
        processo di trasformazione e che ne siano parte. E allora cosa fare a questo riguardo? Io
        penso che qualunque tecnica, prima di essere tecnica, sia anzitutto una costruzione
        sociale. Voglio dire che non è possibile concepire l'impianto della tecnica senza
        soggetti sociali. Il ruolo dello Stato, delle società civili con i loro molteplici
        settori organizzati, è proprio questo. E' per questo che la questione della tecnica è
        tanto importante per la ridefinizione della democrazia. A condizione ovviamente che la si
        metta in relazione con i soggetti sociali.
 
 Domanda 9Lei ha affermato anche che all'interno della globalizzazione si viene a creare un fenomeno
        di personalizzazione o singolarizzazione dei media.
 RispostaQuesto argomento ci consente di ponderare in maniera approfondita la nozione di
        globalizzazione. Questa nozione ha una determinata connotazione che indica che, in
        definitiva, "il mondo è un villaggio", come affermava Mac Luhan. L'errore di
        Mac Luhan sta nell'aver ritenuto che il mondo sia realmente un villaggio, dimenticando che
        se è vero che esistono sempre più sistemi logici i quali fanno sì che le innovazioni e
        i programmi siano condivisi in tutto il mondo, c'è però anche una crescente
        differenziazione nella ricezione di questi messaggi. Oltre al fatto che un numero sempre
        maggiore di culture vogliono anch'esse "emettere" i loro messaggi e la loro
        produzione culturale. Pertanto la ri-personalizzazione fa da pendant alla globalizzazione.
        S tratta in effetti una reazione contro la globalizzazione e, come ho scritto in un libro
        intitolato La comunicazione mondo, è la rivincita delle culture particolari, nel senso
        che in sostanza c'è un processo di appropriazione di simboli globali, i quali vengono
        infine rielaborati dalle culture locali. Oppure altrimenti vengono accettati tali e quali,
        e allora è la capitolazione, la rinuncia di certe culture alla loro identità.
 
 Domanda 10Lei ha anche parlato di comunicazione come di una dimensione che crea un legame e che
        unifica la società.
 RispostaQuesta è la grande idea che ci deriva dall'Illuminismo: lo scambio culturale come
        possibilità di unire un determinato territorio. Tutto è cominciato con l'idea di
        nazione, che Gore usa ancor oggi, ma che rientra in tutti i discorsi sulla tecnologia e
        sulle tecno-utopie della comunicazione fin dall'inizio. E' il concetto della grande
        famiglia umana, in sostanza un concetto teologico, persino evangelico, e costituisce il
        nucleo dell'idea di comunicazione, nel senso che la comunicazione deve "unire"
        le persone, ed è perciò segnata da un elemento essenziale, sul quale non si insiste mai
        abbastanza: l'ideologia della comunicazione è un'ideologia di pace, la comunicazione è
        nata contro la guerra, contro l'idea di guerra, e mira a unire i popoli laddove la guerra
        li separa. È per questo che la guerra, in fondo, è altrettanto importante. In quanto è
        un elemento di contrapposizione alla comunicazione intesa come creatrice di legami
        sociali. Si potrebbe dire che la comunicazione, nel senso in cui l'abbiamo definita, ossia
        di restauratrice dei legami sociali, rimandi in qualche modo alla vecchia idea di
        ricostituzione di una società pre-babelica, anteriore alla Torre di Babele. Questo
        elemento accompagna puntualmente tutte le mitologie della comunicazione dall'Illuminismo e
        dal Rinascimento in poi.
 
 Domanda 11Ritiene che ci siano stati cambiamenti nelle comunicazioni, ad esempio in rapporto a
        quanto sta succedendo con la guerra nell'ex Jugoslavia, nel momento in cui elementi
        dissidenti possono parlare al mondo attraverso Internet?
 RispostaCredo che effettivamente Internet dia la possibilità a informazioni che non sono
        disponibili sul mercato di uscire, per esempio, dalla Serbia, e ad altre di entrare.
        Tuttavia, vista l'attuale situazione della censura in Serbia, si tratta di un fenomeno
        molto limitato. Rimane il problema di come far circolare queste informazioni. Qui torniamo
        alle osservazioni fatte in precedenza: se non tutti hanno accesso a Internet e se non si
        dispone di un supporto come la radio o i giornali, le notizie non possono circolare.
        Nell'ex Jugoslavia le radio e i giornali sono stati chiusi o sostituiti, o si è cambiato
        il direttore e questo evidentemente ha ridotto l'impatto di Internet, soprattutto
        all'interno della Serbia.
 
 Domanda 12Un altro tema interessante è quello del controllo dei dati e del rispetto della privacy
        in relazione alle nuove tecnologie. Praticamente tutte le nostre azioni possono essere
        controllate, non è così?
 RispostaQuesto scenario è vero e fa ugualmente parte del contesto tecno-utopico. Quest'ultimo,
        infatti, non è contraddistinto soltanto dalla nozione di una globalizzazione finalizzata
        alla pace, ma anche dall'idea di società globale o dell'informazione interconnessa.
        Queste definizioni in realtà non ci aiutano a definire un bel nulla. La globalizzazione
        è quel che io chiamo una nozione dal ventre molle, cioè è elastica nei suoi fondamenti.
        Perciò credo sia necessario tornare, per caratterizzare la società attuale, a concetti
        più seri, che riflettano un pensiero sociologico. Mi sembra che la definizione di
        società del controllo, impiegata per la prima volta da William Burroughs, sia molto più
        adeguata. Del resto è vero che ci troviamo dentro a società evolutesi dopo quelle che
        Foucault chiamava "società della disciplina". Siamo dentro a società del
        controllo a rapida rotazione, dove il modello è fondamentalmente quello della
        razionalità imprenditoriale e manageriale. Credo che in effetti in questo processo sia
        evidente come i collegamenti diventino sempre di più modalità di sorveglianza. E'
        interessante notare che in generale questa domanda mi viene posta di rado. Quando si parla
        di media e di sistemi di telecomunicazione si fa riferimento a regole generali, a Internet
        e ai suoi addentellati, ma c'è un altro tipo di regolamentazione, di cui si è discusso a
        lungo a Bruxelles, e che riguarda appunto la questione della privacy. Ne è uscita una
        direttiva, in vigore già dall'ottobre del '98, concernente la protezione dei dati
        personali individuali. Questo è un fatto importante perché riguarda l'intero processo di
        creazione di banche dati aventi per oggetto gli individui. Eppure questa direttiva, che è
        passata inosservata ai cittadini, è invece fondamentale, in quanto se non si regolamenta
        la raccolta delle informazioni sugli individui, si arriverà a un insieme di connessioni
        tali da farci finire tutti su un gran numero di schede che riportano il nostro profilo, le
        nostre tendenze, eccetera. Ritengo che sotto questo punto di vista l'Europa sia
        all'avanguardia. Non so quale sarà il grado di affidabilità di direttive come questa, ma
        credo che si tratti di una riflessione importante. Se è vero che la società
        dell'informazione libera l'informazione stessa, è anche vero che libera l'uso dei dati ai
        fini del controllo e della sorveglianza. Senza arrivare al mondo di Orwell, questa è già
        una realtà, semplicemente perché il mercato ha bisogno, in definitiva, di ritagliarsi
        sempre di più un suo territorio particolare.
 
 Domanda 13Lei crede che la presenza di tanta informazione, che circola attraverso Internet e altri
        media all'interno della cosiddetta società dell'informazione, possa creare un effetto
        destabilizzante, un eccesso di informazione? Si stanno determinando nuovi equilibri?
 RispostaÈ una questione che appassiona moltissimo gli strateghi militari non solo del Pentagono
        ma di tutti gli eserciti del mondo. E' interessante notare come nelle riviste militari,
        nelle riviste pubblicate dalle accademie di guerra sia in Europa che negli Stati Uniti, si
        sta gradualmente affermando il concetto di Netwar (guerra della rete) e di Cyberwar
        (guerra cibernetica). In effetti si tendono a identificare nuovi nemici attraverso queste
        tecniche di comunicazione, e può trattarsi anche delle reti informatiche. La cosa
        interessante è che per loro i nemici sono anche le reti delle organizzazioni non
        governative, le quali attuano una destabilizzazione per mezzo di iniziative contro accordi
        come l'accordo multilaterale sugli investimenti, per esempio, oppure il Chiapas e gli
        Zapatisti messicani, che rappresentano un altro esempio ricorrente nei rapporti del
        Pentagono. Si tratta dunque di nuovi usi dell'informazione, i quali danno vita a un nuovo
        concetto di guerra, la guerra informatica. Questo è un primo aspetto da considerare. Poi,
        un altro punto a mio avviso importante quando si parla di nuove tecnologie e di nuovi
        dispositivi di comunicazione, è vederne la faccia nascosta, la faccia segreta, che è
        appunto quella della guerra. E' una questione fondamentale: in tutti i rapporti redatti
        ufficialmente in Europa o negli Stati Uniti, noto sempre che gli esperti si arrestano là
        dove entra in gioco il concetto di sicurezza nazionale. Sono convinto che una delle grandi
        poste in gioco delle nuove tecniche di comunicazione riguardi appunto questa faccia
        nascosta, e credo che in effetti, agli occhi dei nuovi strateghi e di quanti pensano le
        nuove forme di guerra, l'informazione, la saturazione dell'informazione e la comparsa di
        nuovi soggetti dell'informazione siano fattori di destabilizzazione. Tornando all'ambito
        civile, è sempre più evidente che a meno di uno sforzo pedagogico gigantesco, se non
        verrà abbandonata l'idea che sia la tecnologia a infondere una particolare attitudine a
        trattare le informazioni, sarà difficile dominare un mondo tanto popolato di notizie. Il
        problema sta appunto nell'individuare quale tipo di pedagogia occorra insegnare in
        funzione dell'idea non più soltanto di consumatore, ma di cittadino, per tentare di
        padroneggiare questa informazione a fini democratici. E a quanto mi sembra, non siamo che
        all'inizio di questa riflessione.
 
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