INTERVIEW:
Domanda 1
Di cosa si occupa e come opera la commissione della Comunità Europea
a cui lei appartiene?
Risposta
Io appartengo al Nucleo Prospettive, Cellule de Prospective in lingua
francese, fondato dal presidente Delors e composto da dodici
consiglieri privati del Presidente della Comunità Europea. Com'è
noto, la commissione europea è l'esecutivo legislativo europeo. Il
Parlamento Europeo non è al momento legislativo: noi proponiamo le
leggi, e queste leggi sono accettate o rifiutate dal Consiglio dei
Ministri. E poi, quando sono accettate, ci vengono reinoltrate, e noi
invitiamo gli stati membri a trasformare queste leggi europee in leggi
nazionali. Durante la presidenza Delors, il nucleo è stato poco
visibile, ma ora, con la presidenza Santer, ci si orienta verso una
maggior apertura, una maggior visibilità e un maggior dialogo,
attraverso ad esempio una pubblicazione che appare due/tre volte
l'anno.
Domanda 2
Quale influenza lei ritiene possa avere questo Nucleo sullo sviluppo
della Comunità Europea, in particolare nel campo del futuro della
I.T. e della comunicazione?
Risposta
Nella commissione abbiamo il compito di interrogarsi su questioni
come: "Perché l'Europa? a che serve? come realizzarla?" E
di chiederci, in questo scenario, quale possa essere il ruolo della
Commissione, del Parlamento, e così via. Si tratta di domande che
ognuno, nella Commissione Europea, in effetti si pone, ma che noi
abbiamo ufficialmente il ruolo e il tempo di articolare in un vero e
proprio oggetto di studio. E' in altri termini la mancanza di un
oggetto specifico di competenza che ci consente di interrogarci sulle
questioni fondamentali. Non abbiamo ovviamente la presunzione di
possedere risposte definitive a tali interrogativi, ma esistiamo come
gruppo di ricerca per affermare la necessità, a livello europeo, di
avere una prospettiva, al di là dei successi già raggiunti, come la
pace, il mercato comune, la moneta unica, e a breve l'inclusione di
per sé non priva di ostacoli di paesi come la Polonia, la Repubblica
Ceca, e via dicendo. Ma adesso che abbiamo fatto tutto questo, che
tipo di progetto, che tipo di utilità politica presentiamo ai
cittadini europei? Questa è la domanda "da mille franchi",
come diciamo in francese, che si pone la Cellule de Prospective. Per
quanto riguarda la società dell'informazione, dobbiamo riconoscere
che la hardware battle, la lotta per l'hardware, per il computer più
a buon mercato o più efficiente, in quanto europei l'abbiamo
probabilmente persa. Sono gli americani e i giapponesi che stanno
vincendo questa competizione. La sfida che possiamo affrontare a
questo punto è la costruzione di una società attorno a questo
strumento. La gran parte dei futurologi americani con cui lavoro
sostiene che l'Europa si trova in una posizione di vantaggio, ha un
massimo di potenzialità per poter costruire questa società
dell'informazione. Quello che manca al momento è solo l'accettazione
del fatto che siamo in una fase di profondo cambiamento. Ho
l'impressione che fra i paesi membri l'Italia sia uno dei paesi che
presenta una maggior apertura al cambiamento, e che potrebbe assumere
un ruolo decisivo, di leadership, nel condurre gli altri stati membri
verso la sfida della società dell'informazione.
Domanda 3
Cosa pensa della critica che più frequentemente viene mossa alla
Comunità Europea, vale a dire di essersi fondata come comunità di
stampo economico, trascurando l'aspetto propriamente culturale?
Risposta
Personalmente sono d'accordo con questa critica. La mia ipotesi di
lavoro, che non rappresenta peraltro la posizione ufficiale della
commissione cui appartengo, è che nella società industriale il
potere fosse legato al possesso di capitale e industria, con la
cultura in posizione secondaria. Nella società post-industriale
dell'informazione il potere sta traslocando verso il possesso di
creatività, come testimonia del resto l'operato di Bill Gates con la
sua capitalizzazione di creatività umana. Se lei vuole avere
creatività deve per forza rispettare e valorizzare la diversità
della cultura europea. Si potrebbe sostenere che l'Europa abbia,
nell'economia della società tardoindustriale, quattro difetti: troppa
solidarietà; eccessive differenze culturali; troppo senso dei valori,
della tradizione e della famiglia (tutto questo non è spendibile sul
mercato, il quale richiede una uniformizzazione); e infine, troppi
legami con il Terzo Mondo. Tutto ciò costituisce una debolezza
dell'Europa nella società tardoindustriale, e dunque si potrebbe
sostenere che questi fattori, che sono il costituente dell'Europa,
della nostra anima europea, vadano abbandonati. Tuttavia, nella società
dell'informazione e della creatività sono esattamente queste qualità
a rappresentare il nostro competitive advantage, il nostro vantaggio
competitivo. I limiti di oggi possono tramutarsi nel vantaggio di
domani, in qualità indispensabili per affrontare competitivamente il
futuro.
Domanda 4
Non crede che possa essere utile che il vostro lavoro venga
popolarizzato, in modo tale che i diversi popoli europei possano
essere sollecitati a discutere più approfonditamente del futuro
dell'Europa?
Risposta
Anche se non rappresentiamo la posizione ufficiale della commissione,
è mia opinione e di alcuni membri della Cellule de prospective che il
cambiamento che stiamo per affrontare sia tanto importante da non
poterlo gestire dall'alto. Dall'alto possiamo dare segnali politici,
invitando al dialogo e a un confronto che siano democratici. Non
possiamo affrontare questo cambiamento da soli; col che non voglio
fare demagogia: se non c'è un dibattito democratico, non ci sarà il
cambiamento necessario.
Domanda 5
Quali sono a suo avviso le maggiori prospettive di cambiamento a
livello economico nella società dell'informazione che si profila?
Risposta
La nostra economia è, al momento, principalmente industriale, basata
sul management di capitale e industria. Perché abbiamo bisogno di un
cambiamento? Come sostiene Peter Drucker in un libro apparso nel 1993,
Post-Capitalistic Society, nella società dell'informazione ciò che
si dovrà misurare è la creatività umana; ma questa creatività non
la si può misurare solamente con strumenti quantitativi; abbiamo
dunque bisogno di nuovi strumenti di misura, dobbiamo scrivere delle
nuove pagine nei nostri manuali di economia. In seconda battuta,
attraverso il passaggio dalla società industriale, fondato sullo
scambio (io vendo a lei del burro, e lei mi dà del denaro; io non ho
più il denaro, e lei non mi da' più il burro) alla società
post-industriale, stiamo passando da una società del commercio a una
società dello sharing, della condivisione (se le trasmetto
dell'informazione, io non la perdo). Ma questa è una logica nuova:
non abbiamo il manuale che ci insegni a gestirla. Infine, stiamo
passando da una logica machine centered, incentrata sulla macchina,
sullo strumento, a una società centrata sull'uomo, perché se si
vuole la creatività umana, si ha bisogno di una human friendly
machine. Ci troviamo di fronte a un rovesciamento della logica
sociale: passiamo da Modern Times, da Charlie Chaplin reso funzione
della macchina, a una macchina che si adatta all'uomo, a una società
e a un'economia che devono fare dell'uomo il proprio fulcro.
Domanda 6
Al convegno della World Future Society di Chicago ha presentato un
intervento sulla religione nel futuro e sul futuro della religione,
prospettando un maggior ruolo per la religione nel prossimo secolo.
Tema in merito al quale ha anche contribuito a un convegno a
Bruxelles. Di cosa si tratta e quali sono le conseguenze politiche,
anche a livello di strategie di governo, delle ipotesi che ha
elaborato?
Risposta
Sono partito dall'ipotesi secondo la quale i prossimi conflitti non
saranno più fra capitalismo e marxismo, ma fra Islam, cristianità,
religioni asiatiche e così via. Dunque, si tratta di conflitti
culturali che preoccupano la maggioranza dei Ministeri degli Affari
Esteri degli stati membri. Un ricercatore di alto livello del
ministero degli affari esteri britannico, evidenziava come non si
debba consentire che le nostre paure agiscano come self-realizing
profecy, una profezia che si realizza perché nessuno ha fatto nulla
per ostacolarla. Dunque, la nostra idea era quella di fare una
riflessione informale con i ministeri degli affari esteri e alcuni
colleghi americani. Quello di Bruxelles è stato il secondo congresso,
che ha seguito un primo incontro a Firenze nel 1996, presso
l'Università di Firenze. Non sono solo l'economia, la società, gli
strumenti che stanno cambiando, ma è un intero paradigma, è la
visione implicita del mondo che sta cambiando. Volendo schematizzare
in un'immagine, nella società agraria, quella del nostro medioevo,
che del resto ancora oggi riguarda quattro miliardi di persone, si
aveva una piramide implicita, con Dio al vertice. Questo Dio dava
ordini al clero, e il clero al potere politico, e da qui si scendeva
verso gli uomini, che a loro volta davano ordini a donne e bambini. E
questa piramide si ritrova in tutte le organizzazioni sociali
imperniate sulla religione monoteista, che sia cattolica, protestante,
musulmana o giudaica. La modernità ha mutato lo scenario. Si tratta
ancora di una piramide, nella quale Dio è però stato sostituito
dalla razionalità, dalla verità razionale. In veste di "nuovo
clero" si avranno dunque non più i preti, ma gli esperti, i
tecnocrati come me. Costoro hanno il potere sui politici; sono gli
economisti, vale a dire un tipo molto preciso di tecnocrati, che danno
direzioni al politico. L'ordine piramidale, insomma, non è stato
intaccato, ma semplicemente, abbiamo attribuito alla scienza un ruolo
quasi divino, un potere spirituale o assoluto. Al contempo, abbiamo
relegato nel privato la religione, l'intuizione, l'etica, l'arte,
l'estetica, la cultura, la visione delle donne, la filosofia,
accettando queste sfere a patto che fossero circondate da un preciso
muro di separazione. E su un dato positivo, la necessità di
distinguere, nella modernità abbiamo privilegiato il dato della
separazione, che è ben diverso dalla distinzione. Ora, è proprio
questo muro di separazione che si sta crepando. Con ciò ovviamente
non sto parlando in favore di una religione o di un'altra.
Semplicemente, sostengo che nel ventunesimo secolo abbandoneremo
questa formula di modernità, a sua volta piramidale, per orientarci
probabilmente verso un nuovo assetto, che io immagino come una tavola
rotonda, attorno cui tutte le culture, uomini e donne, si siedono su
un piano di eguaglianza. Al centro si trova, si potrebbe dire, la
verità. Ognuno può attingere a questa verità, ma più ci si
avvicina a Dio, all'illuminazione o alla saggezza, meno ce ne si sente
proprietari teologicamente. E questo corrisponde un po' a quello che i
mistici in tutte le tradizioni hanno sempre detto: più vado verso
l'illuminazione e meno so chi è Dio. Questa prospettiva è
esattamente l'opposto di quel "io possiedo la verità" che
stava scritto sul cinturone delle SS, e la cui pericolosità è resa
ovvia proprio dal suo utilizzo nazista. Senz'altro, non possiamo più
accettare quell'utilizzo della religione. E dovremo andare verso una
visione transmoderna, ove la religione, ove il senso assoluto dei
valori avrebbe di nuovo una posizione centrale, ma al tempo stesso
tollerante, ove la verità non appartiene a nessuno, ma ognuno può
attingere a essa.
Domanda 7
Se questa analisi è valida quali sono le conseguenze politiche?
Risposta
Le conseguenze politiche sono che i conflitti non sono conflitti fra
cattolici, protestanti, musulmani, bensì conflitti interni. Pensiamo
anche solo alla conferenza sulle donne, a Pechino, quando le donne
hanno prodotto un "cluster", un nucleo di moderno, che si
giustapponeva a un nucleo di premoderno e uno di transmoderno. Il
conflitto sarà dunque fra nuclei di premoderno, moderno e
transmoderno piuttosto che fra mondo musulmano, protestante, o
cattolico. E' pericoloso aver lasciato la rilevanza politica
dell'argomento religioso, in larga misura, a coloro che ne promuovono
come ragione e strumento di un'azione militare, mentre coloro che
lavorano in favore della pace utilizzano unicamente argomenti
razionali. Quando mi sono recato in visita in Israele, parlavo con il
vescovo cattolico di Gerusalemme, il quale mi diceva che la vera
questione fosse God and Earth, Dio e la Terra: Dio avrebbe dato questa
terra ai giudei o agli Arabi? Gli argomenti razionali che sono
proposti ad esempio dagli europei non toccano la nostra realtà, mi
diceva. Il vescovo di Gerusalemme mi ha ricordato che esistono
ovviamente argomenti religiosi in favore della pace, ma nessuno li
utilizza, perché si ritiene che la modernità non possa utilizzare un
argomento religioso in politica. Se si pensa che esistano soltanto due
visioni, la moderna, razionale, e l'altra, la premoderna,
sottosviluppata, si finisce con il favorire la modernità a dispetto
dei suoi limiti, di fronte ai diritti umani e così via. Se si propone
una terza visione, transmoderna, verso la quale orientarsi anche da
una posizione di modernità, nella quale si cerca di articolare la
trascendenza, il dato religioso, anche nelle nostre vite pubbliche,
allora possiamo ripensare le realtà dei paesi emergenti non come
tentativi di avvicinarsi alla nostra modernità, ma come un comune
distacco dalla premodernità e dalla modernità, nel quale la prima
non deve per forza passare attraverso la seconda. Se noi, trovandoci
nella vecchia visione della modernità, non riusciamo a cogliere
questa differenza essenziale, commettiamo un errore strategico
colossale.
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