INTERVISTA:
Domanda 1
Qual è l'importanza del ruolo della RAI come servizio pubblico per
essere uno strumento di formazione e alfabetizzazione alle nuove
tecnologie?
Risposta
Io credo che il servizio pubblico, la RAI in questo caso, possa avere
ancora una grande forza, una grande capacità espansiva se, per esempio,
si assumerà l'incarico di lanciare una campagna per l'alfabetizzazione
tecnologica del nostro paese. Così come un secolo fa saper leggere e
scrivere era una condizione per diventare cittadine e cittadini, per
poter esistere, parlare, lavorare, oggi bisogna che i giovani conoscano
tutti i nuovi linguaggi dell'innovazione, sappiano viaggiare, sappiano
conoscere nuovi codici linguistici. Gli serve per conoscere, per essere
più liberi, per avere più servizi ma anche per avere domani nuove
opportunità di lavoro. Io penso che la RAI debba candidarsi, e non solo
la RAI, ad essere una grande agenzia formativa. Non è affatto vero che
questo significhi una televisione noiosa: si possono fare nuove
trasmissioni valide, MediaMente ne è una testimonianza, e anche
trasmissioni radiofoniche intelligenti, divertenti, fantasiose, con
nuovi linguaggi e con grandi capacità di essere ascoltati ed essendo
contemporaneamente un servizio utile. Un servizio pubblico degli anni
del 2000, oltre a fare grande cinema, trasmissioni, informazione, dovrà
fare questo mestiere. Allora avrà un futuro di grande forza e servirà
anche all'economia italiana.
Domanda 2
Questo ruolo che la RAI inizia a svolgere all'interno della scuola, può
essere anche sfruttato per una formazione permanente e che quindi non
riguarda solo i giovani, che va al di là della scolarizzazione?
Risposta
Io non penso che debba essere la sola RAI a svolgere questo ruolo.
Sempre più la RAI si sta aprendo ad alleanze con altre imprese. Mi
riferisco all'accordo che è stato fatto con Canal Plus sulla
piattaforma digitale, ma anche a tante imprese del settore della
telefonia, ad imprese che lavorano nelle nuove tecnologie, a tanti
giovani autori e produttori. C'è tutto un mondo di giovani che è nato
legato alle nuove tecnologie, che fornisce anche prodotti per questi
nuovi canali. Il servizio pubblico, insieme a queste imprese
tradizionali ed a imprese nuove, può diventare un'agenzia formativa
permanente. Deve avere come principale interlocutore, per esempio, il
Ministero della Pubblica Istruzione. E questo non perché debba essere
una agenzia del governo, ma perché deve essere proprio un interlocutore
che si propone attraverso i nuovi linguaggi, le scuole e le università
a distanza, per essere anche un'agenzia educativa permanente. Il
servizio pubblico del futuro, la parte che si chiama Educational, così
come accade negli Stati Uniti ed in altri paesi, non deve più essere
considerata una parte arcaica o la parte noiosa che va in onda dalle tre
alle cinque del mattino, ma deve essere considerata un pezzo della
modernità che produce trasmissioni che non solo si vedano in diretta,
ma che possano essere riviste e richiamate nelle scuole, dai singoli
navigatori, nelle famiglie. Deve nascere una concezione diversa della
comunicazione, in cui non sono più io che guardo la televisione, in
modo passivo, ma uso mezzi diversi, la televisione, la radio, Internet,
come strumento permanente e anche di formazione. Un'altra grande agenzia
che è nata in questa settimana alla RAI, è il canale "All
News", un altro pezzo di modernità, abbiamo poi l'esperienza di
"Educational", l'esperienza delle "Teche",
l'automazione dell'archivio, le idee di creare un primo grande archivio
delle telecomunicazioni in Italia. Sono pezzi del futuro del servizio
pubblico e mi permetto di dire non solo del servizio pubblico. Penso che
su questa materia si debba puntare anche a rapporti nuovi con le
università, con la scuola ma anche con le imprese private. Insomma una
RAI che sappia cambiare, non a difesa del monopolio degli anni '70, di
una RAI che fa tutta da sola, di una RAI che si chiude, ma la RAI che si
giustifica come servizio pubblico proprio perché si apre al privato e
alla società.
Domanda 3
Quindi il connubio pubblico-privato è assolutamente sostenuto rispetto
a queste finalità?
Risposta
I progetti di riforma della RAI che stanno nascendo dentro la RAI
medesima ma anche nella legge che si chiama 1138 prevedono una RAI che
si trasformi in una fondazione dove entrino anche operatori privati. Ma
per quale motivo la RAI non dovrebbe operare anche nella convergenza al
multimediale? Non dovrebbe operare in rapporto con le grandi imprese
della telefonia? Per quale motivo non dovrebbe essere un'azienda capace
di essere punto di riferimento e per la telefonia e per i nuovi servizi?
Questa è un'azienda che può dare prodotto, il prodotto poi deve essere
alimentato da reti e infrastrutture nazionali ed europee. Proprio in
questo settore delle nuove tecnologie, accanto alle grandi imprese,
Telecom, Olivetti, c'è una miriade di piccole imprese che nessuno
considera. Questo è un settore dove già si è realizzato un mercato
flessibile, dove ci sono centinaia di piccole imprese individuali, di
donne e uomini, giovani, che hanno meno di trent'anni che non chiedono
altro che di poter avere un rapporto con aziende come la RAI, di poter
navigare, di poter entrare in una rete di contatti più ampia, di poter
vendere il proprio prodotto, talvolta di poter far vedere il loro
prodotto persino gratuitamente. La RAI deve essere anche un luogo che si
apre a nuove esperienze, un luogo delle libertà in un paese che chieda
libertà in tutti i campi, chieda di avere nel mondo delle
telecomunicazioni più reti, più infrastrutture, più opportunità per
presentarsi, per farsi conoscere. Non basta creare tante reti, bisogna
che dentro quelle reti possano entrare tante idee, tanti prodotti
diversi, qualcuno magari brutto, ma che verrà scartato o selezionato
dal mercato. Abbiamo bisogno, insomma, di avere tutti un atteggiamento
più libero, soprattutto verso questo mondo di giovani che si è
formato, e verso il quale spesso alziamo il ponte levatoio, lo lasciamo
fuori. Rischiamo di parlarci sempre tra 40 esperti di telecomunicazioni,
10 imprese, 10 docenti universitari, e di avere sempre la stessa agenda
telefonica, con 100 nomi. Solo che nel frattempo tutti noi abbiamo
abbondantemente lasciato l'età dell'adolescenza e rischiamo di essere
solo degli ostacoli, delle pietre tombali sull'innovazione in questo
settore.
Domanda 4
Rimanendo sempre nell'ambito della nuova società delle comunicazioni,
spostandoci però dalla televisione alla carta stampata, cosa pensa di
questa nuova legge per la vendita dei quotidiani, dei giornali, non solo
nelle edicole ma anche in altri tipi di esercizi commerciali?
Risposta
E' una legge di sperimentazione che consente per 18 mesi di poter
vendere i quotidiani e i periodici anche in punti non tradizionali, nei
bar, nei supermercati, nelle tabaccherie. Ha una finalità di verificare
se questa integrazione dei punti di vendita, accanto all'
insostituibilità dell'edicola, funziona. Non dimentichiamoci che
l'edicola non è solo il luogo dove si compra, in molti paesi l'edicola
è anche il luogo dove si parla, si scambiano pareri con l'edicolante,
dove c'è un rapporto che è anche di altra natura e non è soltanto
legato al prodotto. Molti edicolanti con la cura che hanno avuto nel
fare il loro mestiere, anche per la piccola e media editoria, hanno
consentito la sopravvivenza di tante testate non dominanti, perché se
non ci fossero state le edicole con i loro banconi, sarebbero rimasti 3
quotidiani e 2 settimanali. Però io ritengo giusto l'esperimento di
vedere se allargando i punti di vendita si vanno a catturare nuovi
lettori. L'Italia ha sempre cinque milioni di lettori da vent'anni. È
un esperimento che viene condotto assieme tra distributori, edicolanti e
imprenditori, vedremo tra 18 mesi se questo esperimento avrà prodotto
risultati. Mi permetto di aggiungere, tuttavia, che non basta allargare
la rete di vendita; occorre anche un nuovo rapporto tra scuola,
televisione e giornali. Noi stiamo creando dei giovani non più abituati
a leggere né gli alfabeti tradizionali né gli alfabeti nuovi. Ho
l'impressione che per creare nuovi lettori non serva solo portare il
giornale al supermercato, serve anche dall'età di tre anni in poi
abituare i nostri ragazzi a leggere le immagini, ad avere il gusto della
lettura, a sapere che conoscere gli alfabeti vuol dire essere più
liberi e più ricchi. Io insisto: il vero punto è il rapporto tra
scuola e nuovi mezzi di comunicazione. Se si crea un cittadino più
ricco, quel cittadino, più ricco non solo economicamente, ma anche
culturalmente, comprerà il libro e avrà l'abitudine di leggere il
giornale. Se si crea viceversa un cittadino assolutamente povero,
socialmente, economicamente, ma anche culturalmente, ridurrà sempre
più la sua voglia di conoscere sia i vecchi mezzi di comunicazione che
i nuovi.
Domanda 5
Dopo questi 18 mesi di sperimentazione nel caso in cui i risultati non
fossero quelli aspettati, cosa pensate di fare, comunque di tornare
indietro?
Risposta
Quando si sperimenta, poi si devono andare a vedere i risultati. Se,
come penso, le copie aumenteranno, si dovrà procedere, ma sempre
facendo lavorare assieme edicolanti, distributori e imprenditori,
concertando, cioè convincendo tutti che è utile. Quando si sperimenta
c'è o la positività o la negatività, se c'è la negatività, vuol
dire che la crisi dell'editoria non dipendeva affatto dalla rete di
vendita ma da fattori più profondi e più inquietanti. Andremo a vedere
i risultati finali.
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