INTERVIEW:
Domanda 1
Qual' è la situazione del commercio elettronico in Italia, in
particolare rispetto all'estero?
Risposta
Il commercio elettronico negli Stati Uniti, che è il paese da cui è
derivata la rivoluzione mondiale di Internet, si sta sviluppando molto
rapidamente. Anzi, il livello di attenzione e le aspettative sul
concreto sviluppo sono molto grandi. Oggi si valuta che il commercio
elettronico negli Stati Uniti abbia un valore di transazioni per 600
miliardi di dollari, che vuol dire un milione di miliardi di lire
all'anno con una prospettiva di arrivare entro cinque anni a un
qualche cosa dell'ordine di un miliardo e mezzo di dollari all'anno;
ciò vuol dire quasi tre milioni di miliardi di transazioni
commerciali sulla rete. L'economia di Internet negli Stati Uniti ha
creato oltre un milione di nuovi posti di lavoro e si valuta che il
volume d'affari sia nell'ordine dei 300 miliardi di dollari che è
ormai un qualcosa di molto simile al fatturato dell'industria
dell'automobile. Ma ancora più interessanti sono le prospettive
future perché quel miliardo e mezzo di dollari vuol dire il 15% del
totale delle transazioni commerciali che avvengono negli Stati Uniti.
Il numero di persone che fa investimenti online, cioè che fa
acquisto, compravendita di titoli azionari, di fondi obbligazionari
sulla rete, ormai è di sei milioni e il patrimonio gestito on line in
queste transazioni finanziarie è dell'ordine di una gestione di 400
miliardi di dollari di patrimonio. E' una cifra molto elevata vicina
alla dimensione della raccolta delle più grandi banche italiane messe
assieme. Quindi negli Stati Uniti Internet è decollato, in Italia la
situazione è piuttosto diversa. Quanti siano gli utenti Internet
sulla rete non lo sa esattamente nessuno, però si valuta che ormai
non siano più centinaia di migliaia ma siano dell'ordine dei milioni.
Si calcolano circa 2 milioni di utenti Internet ma il commercio
elettronico in Italia però vale ancora abbastanza poco. Si valuta che
il suo fatturato annuo sia decisamente inferiore ai mille miliardi di
lire e che siano attive realmente sul commercio elettronico un po'
meno di 1000 aziende. Secondo i dati in possesso degli osservatori del
Politecnico di Milano sono circa 900 aziende. Se però andiamo a
vedere quanto vendono sulla rete, cioè sulla linea elettronica della
loro rete commerciale, queste 900 aziende scopriamo che in quattro
quinti dei casi vendono meno di 100 milioni di lire all'anno sulla
rete e nella metà dei casi vendono meno di 30 milioni all'anno. Le
aziende, poi, non fanno molta promozione perché quasi tutte spendono
in promozione dei loro siti Internet meno di dieci milioni all'anno.
Cosa vuol dire questo? Vuol dire che abbiamo appena iniziato ma che le
nostre aziende, tranne rare eccezioni, ancora non investono sul canale
elettronico come alternativo rispetto al canale tradizionale. Bisogna
certamente fare di più perché abbiamo un ritardo che è
tranquillamente valutabile in oltre due anni rispetto agli Stati
Uniti. Il salto di qualità è importante soprattutto per i nostri
settori leader, come il settore del tessile, l'abbigliamento, il
settore dell'oreficeria, il settore degli alimentari e dei beni dei
gourmet, dove noi siamo leader mondiali e potremo vendere ai
consumatori a livello mondiale. Ma se non lo faremo noi lo faranno
degli intermediari elettronici che si impossesseranno del mercato e le
nostre aziende, invece che vendere direttamente, dovranno vendere
tramite questi intermediari elettronici. Chi sono questi gli
intermediari elettronici? Sono le aziende che si sono affermate negli
Stati Uniti e sono adesso sbarcate in Europa. Alcune sono anche
aziende provenienti dalla Svezia e dell'Olanda, dove lo sviluppo di
Internet e del commercio elettronico è stato più vivace, che
cominciano a impiantare sedi anche negli altri paesi dell'Europa, per
il momento in Germania e in Inghilterra, e probabilmente nel prossimo
futuro anche in Italia. Se noi non partiamo, saremo certamente un
mercato, ma le nostre aziende non saranno in grado di vendere
autonomamente su Internet, ma saranno semplicemente dei produttori che
venderanno tramite altri intermediari.
Domanda 2
In questo panorama prevale il modello misto, quello cioè che prevede
un'operazione pubblicitaria legata al commercio tradizionale accanto a
quello online, oppure invece ci sono più aziende che sono nate
esclusivamente come aziende che offrono beni acquistabili soltanto
online?
Risposta
La situazione è variegata. Esistono alcuni nuovi operatori, quelli
che in inglese si chiamano broker, che sono degli intermediari, dei
mediatori. Sono nuove aziende che hanno creato dei siti di commercio
elettronico, hanno raggiunto tramite la rete i consumatori e quindi
vendono sui loro siti un gran numero di prodotti forniti all'origine
da aziende produttrici. Esistono, però, anche numerose aziende, negli
Stati Uniti perlomeno, che distribuiscono una parte significativa dei
propri prodotti vendendo direttamente sulla rete. Molte aziende di
informatica, come per esempio l'azienda che produce i personal
computer Dell che realizza circa metà del proprio fatturato sul
canale elettronico. Oppure l'azienda che produce apparati di rete, la
Cisco, che fa i tre quarti del suo fatturato sul canale elettronico.
Ci sono poi anche altre aziende distributrici di beni di largo
consumo, distributrici di prodotti medicali e così via. Ci sono nuove
aziende che fanno gli intermediari sulla rete e ci sono aziende
esistenti le quali commercializzano sulla rete.
Nel nostro paese la situazione è ancora all stadio iniziale, non
esiste praticamente nessun reale produttore che realizzi una quota
molto significativa del suo fatturato sulla rete. E anche gli
intermediari elettronici che esistono, che sono stati creati da
aziende industriali, spesso da aziende editoriali, perché anche in
Italia abbiamo dei siti che fanno brokeraggio di commercio
elettronico, che hanno dei "mall" elettronici; cioè delle
gallerie elettroniche, dei negozi virtuali, realizzano un fatturato
ancora piuttosto contenuto. Bisogna rendersi conto che vendere sul
canale elettronico non è molto diverso da vendere sul canale
tradizionale, bisogna che il cliente sappia che noi vendiamo lì e che
ci venga a cercare. Per fare questo bisogna fare promozione. Dove si
fa la promozione? Si fa su Internet stesso, inserendo i propri
prodotti sui principali motori di ricerca Internet in modo che dai
principali strumenti dai quali si accede in Internet si possa andare
direttamente sui nostri siti. Bisogna inoltre fare anche molta
pubblicità sui canali convenzionali. Si valuta che una azienda che
voglia fare seriamente del commercio elettronico debba fare un
investimento pubblicitario di almeno alcune centinaia di milioni
l'anno per promuovere il proprio sito altrimenti nessuno saprà che
noi siamo realmente presenti sul mercato elettronico.
Domanda 3
Secondo lei questo ritardo italiano dipende anche da una diffidenza
del cliente italiano ad acquistare online, quindi a fidarsi della
transazione economica e commerciale sulla rete?
Risposta
La situazione è differente quando parliamo del commercio elettronico
da azienda a azienda, quello che si viene definito business to
business, perché in quel caso anche le nostre aziende lavorano tra di
loro in modo abbastanza intenso. In Italia abbiamo poi la tradizione
dei distretti industriali, piccole aziende nello stesso settore con
dei subfornitori in una stessa area, i quali già da tempo sono
collegati in rete. Sul commercio elettronico che riguarda il
consumatore finale, cioè le vendite sul canale elettronico, siamo
indietro perché è indietro il paese nella diffusione di Internet.
Nell'area più evoluta del paese, la città di Milano, abbiamo una
sola famiglia su 15 che ha accesso a Internet, quindi non c'è ancora
il pubblico dei consumatori. Da noi non c'è l'abitudine delle vendite
per corrispondenza, questa è un'altra delle nostre caratteristiche
che ci distingue, anche perché abbiamo sempre avuto una rete
distributiva estremamente capillare a differenza di paesi come
l'Australia o gli Stati Uniti o la stessa Svezia. Quindi c'è meno
preparazione dei consumatori. Le stesse aziende hanno qualche
preoccupazione nei confronti delle loro reti distributive, dei loro
agenti, perché è chiaro che il canale elettronico costituisce
un'alternativa alla rete di distribuzione tradizionale, di negozi
convenzionati. La premura delle aziende è quella di non perdere il
loro canale tradizionale puntando solo sul canale elettronico. Inoltre
devono trasformare le loro reti commerciali e i loro agenti in persone
che supportano le vendite elettroniche, che danno assistenza finale al
consumatore e non fargli svolgere il semplici intermediari commerciali
che in realtà vengono scavalcati dalla rete.
Domanda 4
Le differenti normative fiscali dei diversi paesi possono essere un
ostacolo a una diffusione piena del commercio elettronico in Europa?
Risposta
Certamente anche il commercio elettronico va regolato con le stesse
normative che riguardano le vendite tradizionali perché l'IVA e le
imposte non è che non le si debba pagare sulle vendite del commercio
elettronico. C'è sempre stata un po' di resistenza da parte delle
amministrazioni fiscali nei confronti di un fenomeno che temono di non
poter controllare. Bisogna però dire che l'Italia, in questo momento,
ha una normativa abbastanza evoluta dal punto di vista della validità
dei documenti elettronici e anche del fisco elettronico; comunque non
più indietro rispetto ad altri paesi. Quindi non è più un problema
di normative. Le normative ci sono, ma con l'affermarsi del commercio
elettronico bisognerà avere anche dei controlli perché altrimenti
diventa un'altra area soggetta alle transazioni in nero. Nel nostro
paese è ben noto che esistono tanti settori in nero anche nel
commercio tradizionale. Una volta che il commercio elettronico sarà
decollato realmente, bisognerà realizzare delle norme e dei
controlli, ma al momento il problema non è quello delle norme bensì
quello del decollo di questo tipo di mercato.
Domanda 5
Rispetto alla possibilità di fare delle transazioni economiche in
rete, acquistare titoli, giocare in borsa online, l'immediatezza della
rete che permette di essere velocissimi e di non avere intermediari
nell'effettuare queste operazioni, può rappresentare un elemento di
destabilizzazione dei mercati?
Risposta
Negli Stati Uniti, ad esempio, esistono alcuni operatori che
consentono al cliente di comprare e vendere sul mercato finanziario
nello stesso pomeriggio o nella stessa giornata. Questo può
evidentemente costituire un elemento di destabilizzazione dei mercati
perché nel momento in cui si è consigliati di vendere tutti vendono
e si può avere un fenomeno a catena di euforia del mercato. Alcuni
dei principali operatori anche negli Stati Uniti non consentono di
rivendere il titolo comprato nella stessa giornata e quindi permettono
di avere una maggiore stabilità. Ovviamente non è pensabile che,
semplicemente perché la transazione elettronica di borsa costa poco e
si può effettuare in tempi brevi, l'agente si diverta a comprare e
vendere i titoli nel giro di pochi minuti. Quello certamente non è lo
scopo per cui sono nati i mercati finanziari ma negli Stati Uniti
alcuni operatori consentono questo tipo di operazioni e ci sono delle
persone che passano le loro giornate in questo modo, cercando di
guadagnare comprando e rivendendo rapidamente i titoli nel corso della
stessa giornata.
Domanda 6
Nello sviluppo dell'information and communication technology la
ricerca ha sicuramente un peso notevole. Nel rapporto tra ricerca e
università in questo ambito cosa si può fare per finanziare la
ricerca e fare in modo che proceda all'interno di istituzioni
pubbliche come quelle dell'università?
Risposta
Le università, specialmente le università tecniche, hanno sempre
lavorato con l'industria, in particolare hanno lavorato con le medie e
grandi imprese. Adesso la sfida, in un'economia come quella italiana
fatta di piccole imprese, è di riuscire a lavorare anche e
soprattutto con le piccole imprese innovative che si creano grazie
alle reti. Tutto questo richiede la creazione di strutture nuove nelle
università proprio perché mentre le grandi imprese hanno loro stesse
dei ricercatori che sono in grado di lavorare con i ricercatori
dell'università, le piccole imprese non hanno ricercatori, parlano un
altro linguaggio, hanno un'ottica differente. Allora le università,
in particolare quella in cui opero, il Politecnico di Milano, stanno
creando delle strutture di collegamento industriale che sono delle
unità affiancate all'università con la missione di mettere in
contatto la ricerca universitaria col mondo delle imprese e farle
lavorare insieme. Queste unità sono costituite da elementi che non
sono professori, ma sono persone che conoscono bene le imprese e
l'università e sono un punto di collegamento e di trasferimento. In
questo senso si parla di trasferimento tecnologico. Ad esempio al
Politecnico di Milano abbiamo attivato una unità che si occupa di
commercio elettronico, fatta da giovani che non stanno facendo
carriera universitaria, ma fanno progetti applicativi insieme alle
imprese e stiamo attivando un centro dimostrativo di commercio
elettronico. Il centro sarà operativo entro la fine dell'anno e le
imprese potranno venire a vedere cosa vuol dire lavorare nel commercio
elettronico, come si crea un sito, come si presenta e come il loro
prodotto potrebbe essere proposto in rete. Al momento stiamo
conducendo la realizzazione di una formula di commercio elettronico
con un consorzio di orafi in Lombardia. Quello orafo è uno dei
settori forti della Lombardia, gli orafi vendono in tutto il mondo e
il commercio elettronico può essere per loro molto importante.
Domanda 7
Per questa innovazione all'interno delle aziende e dell'organizzazione
aziendale il concetto di formazione permanente diventa quindi
fondamentale?
Risposta
La formazione permanente è a vari livelli. C'è una prima formazione
permanente diffusa. L'Associazione di Interessi Metropolitani di
Milano, ad esempio, ha dato vita ad un'iniziativa che ha riscosso un
successo enorme. Ha creato un luogo dove degli studenti insegnano alle
persone che vengono, che spesso sono pensionati, anziani o persone che
hanno molto tempo libero, a lavorare su Internet. Non ci vuole molto a
imparare a accedere a Internet, non c'è bisogno di saper usare un
computer, basta sapere in qualche modo usare una tastiera, cosa che si
impara molto rapidamente. Bisogna quindi risolvere in primo luogo un
problema di alfabetizzazione generale. Basta a volte un pomeriggio
perché uno sia in grado di operare. Poi logicamente per poter
lavorare una persona deve avere a casa un computer ma, come dicevo
prima, solo una famiglia su 15 a Milano ha un accesso a Internet e nel
resto dell'Italia la percentuale è molto inferiore. Questo ci dà
un'idea di quanto sia ancora Internet sia poco diffusa.
C'è poi, viceversa, un problema di formazione e di alfabetizzazione
del personale che lavora nelle aziende. Queste persone devono riuscire
anche a capire i nuovi modi di vendere e come possono sfruttare le
opportunità della rete per fare affari aziendali. Questo è un passo
più complesso che richiede seminari interni alle aziende e la
partecipazione a corsi più strutturati all'esterno. L'aggiornamento
aziendale diventa essenziale perché il mondo delle reti si basa
soprattutto sulla intelligenza, sulla conoscenza ancora più che sui
capitali. Realmente le aziende che vincono sono le aziende che hanno
al loro interno delle persone che, grazie al loro bagaglio di
conoscenze, capiscono cosa si può fare, hanno delle idee, hanno il
coraggio e la capacità di prendere tempestivamente delle decisioni.
Il fattore umano, la qualificazione del personale, diventa il fattore
essenziale del successo nelle aziende sulla rete insieme alla capacità
gestire buoni capitali, avere buoni prodotti e così via.
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