Hackers che penetrano
in aziende come Enea, Algida e
Telecom, descritti come pericolosi
criminali dediti allo spionaggio industriale e alla clonazione di
telefonini. O ancora hacker terroristi che lasciano messaggi firmati
"falange armata". La paura dell'ignoto ha, spesso, portato
stampa e giornalisti a dipingere con tinte fosche il mondo dei
cosiddetti “smanettoni” italiani, come accade in alcune agenzie
dell'Ansa del 1995.
Col tempo molte di
questi giudizi sono stati sfumati. L'immagine dell'hacker si è
progressivamente liberata da alcune delle caratterizzazioni più cupe.
Gli spaghetti
hacker, ovvero gli hacker del Belpaese sono stati raccontati, ad
esempio, nel ‘97 nel libro omonimo di Andrea Monti e Stefano
Chiccarelli. Nel libro c'è la descrizione del mitico crackdown del
‘94 quando alcuni dei principali hacker italiani, vennero arrestati
e subirono il sequestro dei loro “strumenti di lavoro”. I
poliziotti che irrompevano nelle case dei presunti criminali si
trovavano, spesso, di fronte a ventenni che risultavano, poi, privi di
legami con qualsiasi tipo di gruppo criminale. Il crackdown
del ‘94 viene, ad esempio, criticato per il fatto che il blitz
della polizia portò alla chiusura di decine di nodi della Rete
Fidonet, una delle prime reti di base, precedenti ad Internet, campo
di sperimentazione delle realtà telematiche in Italia e nel mondo. È
evidente ancora una volta come i problemi legati alla distinzione tra
attività lecita ed illecita nell'uso degli strumenti telematici,
siano un nodo cruciale per la definizione stessa di che cos'è un
hacker.
Proprio di questo tema
parla, sulle pagine della rivista Internos, Raoul
Chiesa, protagonista di un'azione di hacking a Bankitalia nel '95
che dimostrò la penetrabilità di istituzioni di alto livello dal
punto di vista informatico. Chiesa, ora passato dall'altra parte e
divenuto Security Manager, responsabile della sicurezza informatica di
un'azienda, critica l'uso del termine “cyber terrorismo” e mette
in evidenza le falle legislative e culturali che circondano il mondo
della pirateria informatica in Italia.
Quella informatica, d'altra parte, è un tipo di criminalità dalle
caratteristiche molto precise e che non è necessariamente legata al
mondo degli hacker, anche se ne sfrutta gli strumenti. Nelle pagine
del sito Privacy.it,
viene descritto, ad esempio, un
attacco avvenuto ai computer dell'Università La Sapienza di Roma
nel '96 ed il modo in cui la polizia è riuscita ad individuarne
l'autore.
Gli hacker italiani, in ogni caso, rivendicano valori etici alla base
della loro passione. La linea tra crimine e anarchica esplorazione
delle risorse telematiche, sostengono, è molto sottile. Alla radice
dei movimenti di hacker c’è, anche in Italia, una spinta a
valorizzare gli aspetti antiautoritari della Rete e la possibilità di
superare barriere comunicative. Gli organizzatori di raduni come l'hackit
99 di Milano, ad esempio, sottolineano che gli strumenti dell'hacking
sono, in primo luogo, strumenti conoscitivi. Se poi qualcuno li usa
contro la legge, questo è un altro discorso.
(t.r.)
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