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4 maggio 1998

Nuovi media e didattica. I nuovi media nelle scuole: perché /1
di Gino Roncaglia

 

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Benvenuti a MediaMente. Una puntata, questa, un po' particolare. Come un po' particolari saranno anche le altre puntate di questa settimana. Per tutta la settimana, infatti, MediaMente va in onda in un'edizione speciale, destinata in particolare al mondo della scuola. 

Si tratta di un'iniziativa che nasce dalla collaborazione fra RAI Educational e il Ministero della Pubblica Istruzione. Vorremmo, in queste cinque puntate, cercare di costruire insieme un percorso attraverso un settore, quello dell'uso delle nuove tecnologie per la didattica, che può veramente avere conseguenze di enorme rilievo sul nostro modo di concepire la scuola, l'insegnamento, i processi didattici e formativi. Si tratta quindi di un campo di estremo interesse. Un campo in cui, però, esistono anche resistenze e timori. Resistenze e timori a volte motivati, e cercheremo di parlarne insieme. A volte, invece, nati soprattutto dalla scarsa conoscenza delle tecnologie che possono essere utilizzate, delle modalità e delle conseguenze della loro introduzione. 

 


Figura 1 - Una classe degli anni '50 e una degli anni '90

Proprio per questo, cercheremo in queste puntate di fornire una breve, rapida introduzione ad alcuni aspetti fondamentali dell'uso dei nuovi media per l'insegnamento. Queste puntate naturalmente sono destinate a tutti, e in particolare a studenti e insegnanti. Ma proprio agli insegnanti vorremmo rivolgerci in maniera più specifica e diretta. Molto, infatti, dipende da loro, dalla loro curiosità, dalla loro capacità di comprendere ed indirizzare l'uso di strumenti che possono sembrare inizialmente complicati e un po' esoterici, ma che se affrontati con lo spirito giusto si rivelano in pratica non solo degli aiuti capaci di arricchire l'esperienza dell'insegnamento, ma anche strumenti divertenti. Saprete probabilmente che il Ministero della Pubblica Istruzione ha lanciato un vasto programma triennale per l'informatizzazione delle scuole - e in queste puntate ne esploreremo insieme le caratteristiche fondamentali.

Ma prima di cominciare, vale la pena sentire insieme dal Ministro Berlinguer quali sono le linee direttrici principali lungo cui si muove, in quest'ambito, il lavoro del Governo. 



Figura 2 - Luigi Berlinguer

Società dell'informazione. È una espressione ormai entrata nell'uso corrente, e sottolinea l'importanza che le nuove tecnologie dell'informazione hanno assunto negli ultimi anni. In un certo senso, è una espressione fuorviante: ogni società, presente o passata, è anche una società dell'informazione. Infatti sappiamo bene che la comunicazione fra le persone, e dunque lo scambio reciproco di informazione, fa parte dell'essenza stessa di una struttura sociale. Ma gli strumenti e le tecnologie usate per produrre, elaborare, scambiare informazione mutano col tempo. E insieme a loro muta il volto della società. Questi mutamenti hanno, per il mondo della scuola, una duplice importanza. Da un lato infatti la scuola ha fra i suoi compiti quello di formare individui consapevoli, capaci di comprendere il mondo che li circonda e di agire al suo interno. Per raggiungere questo obiettivo è evidentemente necessario che la scuola fornisca ai propri studenti le competenze, le capacità necessarie a capire quali sono, e come funzionano, gli strumenti che vengono utilizzati per raccogliere, gestire, selezionare, elaborare e comunicare informazione. Strumenti che non sono mai mere tecnologie, e che in molti casi possono avere un impatto sociale diretto. 

D'altro canto, lo stesso dialogo didattico fra insegnante e studenti è una forma di comunicazione, di scambio di informazione: è dunque anch'esso direttamente coinvolto nell'evoluzione degli strumenti, delle tipologie, degli stili di comunicazione. La possibilità di gestire informazione in forme nuove può insomma modificare, e in molti casi di fatto modifica, anche il modo di fare scuola, il modo di insegnare. In parte, questi cambiamenti sono legati alla rivoluzione digitale: l'informazione, infatti, è sempre più spesso informazione in formato digitale. 



Figura 3 - Il semaforo può essere un buon esempio
 per capire il linguaggio digitale

Ma cosa vuol dire, esattamente, informazione in formato digitale? Il termine 'digitale' rimanda all'inglese 'binary digit', numeri binari, ed ha a che fare con la possibilità di rappresentare informazione attraverso lunghe catene di 0 e 1. Come? Beh, pensiamo, per iniziare, a un semaforo. Un semaforo, come sappiamo, parla un suo 'linguaggio', ci dice, a modo suo, quando dobbiamo fermarci e quando possiamo proseguire. Come rappresentare questo linguaggio attraverso i nostri '0' e '1'? Ebbene, sappiamo che un semaforo può essere verde, giallo o rosso, oppure può essere spento: abbiamo quattro possibilità, e sarebbero ancora di più se volessimo considerare, ad esempio, il giallo intermittente, o l'evenienza – decisamente pericolosa - di guasti che facciano accendere insieme la luce verde e quella rossa. Limitiamoci alle quattro alternative 'verde', 'giallo', 'rosso' e 'spento'. Per rappresentarle, potremo usare due caselline ciascuna delle quali può contenere solo 0 o 1. In termini tecnici, due 'bit'. Possiamo pensare a un bit, infatti, come a una casellina riempita da uno e uno solo dei due valori '0' e '1'. In questo modo, un bit esprime una scelta binaria, una scelta fra due alternative. Come rappresentare gli stati del semaforo con l'aiuto di due bit? Semplice: la combinazione 1-1 potrebbe ad esempio rappresentare il semaforo verde, quella 1-0 il semaforo giallo, quella 0-1 il semaforo rosso, e quella 0-0 il semaforo spento. La rappresentazione attraverso 0 e 1 dell'informazione relativa allo stato di un semaforo è abbastanza intuitiva, ma in fondo si tratta di un esempio molto semplice. 

Cosa succede invece quando abbiamo a che fare, ad esempio, con un testo? Come si fa a rappresentare un testo usando solo degli 0 e degli 1? Lo strumento per risolvere il problema c'è, e si chiama codifica binaria dei caratteri. Vediamo meglio di cosa si tratta. Quando scriviamo un testo, non facciamo altro che mettere uno dietro l'altro una serie di simboli, normalmente chiamati caratteri. I caratteri che compongono un testo scritto sono di vario genere: innanzitutto le lettere dell'alfabeto, che compongono le parole; poi i segni di interpunzione: la virgola, il punto, e così via; e infine le cifre, giacché nel nostro testo potrebbero trovarsi anche dei numeri, ad esempio delle date. Come codificare questi caratteri? Da una parte abbiamo un insieme di molti simboli diversi, e dall'altra lo '0' e l'1' utilizzati dal computer. Ovviamente lo 0 e l'1 da soli non basterebbero a rappresentare tutti i simboli necessari per scrivere. Ma possiamo usare il 'trucco' già visto nel caso del semaforo: se noi decidiamo di associare ad ogni carattere non una sola cifra binaria, ma una sequenza di cifre binarie, ecco che le possibilità di rappresentare caratteri aumenta. 

Supponiamo di usare una sequenza di otto cellette, otto bit, a ciascuna delle quali può essere dato il valore '0' o '1'. Potremmo allora fare una tabella di associazioni di questo tipo: 

00000001 corrisponde ad A 
00000010 corrisponde a B
00000011 corrisponde a C
00000100 corrisponde a D

e così via. Bene, per lavorare su dei testi tutti i computer ricorrono a una tabella di associazioni di questo tipo. In termine tecnico viene chiamata tavola dei caratteri. La tavola più usata è basata proprio su otto cifre binarie, otto bit. Le possibili combinazioni di '0' e '1' nelle otto cellette a nostra disposizione sono due all'ottava, ovvero 256: potremo allora rappresentare fino a 256 caratteri diversi. Se non ci credete provate a scrivere tutte le possibili combinazioni, e a contarle. Naturalmente per evitare una vera e propria babele, i costruttori di computer hanno deciso di mettersi d'accordo e di usare quanto più possibile la stessa tavola di caratteri. Altrimenti una lettera di amore scritta sul mio computer di casa correrebbe il rischio di trasformarsi sul computer della mia fidanzata in un elenco dei personaggi delle Cosmicomiche di Calvino: Qfwfq PfWfp Kqwgk. La più diffusa di queste tavole si chiama American Standard Code for Information Interchange. È questo il famoso codice ASCII che molti di voi avranno già sentito nominare. Il codice ASCII non è dunque null'altro che una tabella che associa sequenze di '0' e di '1' a singoli caratteri.

Grazie al suo impiego, carattere per carattere, è possibile trasformare un testo scritto in una lunga sequenza di 0 e di 1, pronta ad essere utilizzata dal computer. E, viceversa, è possibile trasformare la sequenza di '0' e di '1' su cui lavora il computer in un testo da leggere sullo schermo, o da stampare.

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