Speciali RAI Educational

Speciale Walter Benjamin
a cura di Elena Marongiu

"Flaneur e navigatore: la paura del naufragio"

Walter Benjamin

La vera immagine del passato appare di sfuggita,
e solo il flaneur, nella sua errante nonchalance,
riceve il messaggio.
(Hannah Arendt)

Nel panorama culturale americano recentemente si è assistito ad un ritorno di interesse per l'opera di Walter Benjamin attraverso una sostanziale linea di pensiero reinterpretativo che aderisce ai principi decostruzionisti che sono alla base delle riflessioni sul post-moderno. Tale linea di pensiero pone al centro della riflessione quegli aspetti di più stretta attinenza metafisico-esoterica dello scrittore, peraltro storicamente rilevati ed esaltati da Gershom Scholem, amico fraterno di Benjamin e uno tra i maggiori studiosi di mistica ebraica, in particolare della Cabbalah.

Dall'altro lato, però, l'opera di Walter Benjamin, soprattutto in Italia, è stata oggetto di studio da parte di alcuni intellettuali in una prospettiva diametralmente opposta, e ci si è soffermati sulle riflessioni dello scrittore strettamente legate ad una visione materialistica della realtà.

La riscoperta di questo grande pensatore da parte del decostruzionismo americano, che esautorando il momento progettuale nel processo conoscitivo nega sostanzialmente un intervento soggettivo e autonomo di chi esperisce, si deve alla valorizzazione del frammento che Benjamin attua in Parigi capitale del XIX secolo e al valore ermeneutico che gli si attribuisce.

"Walter Benjamin's other history"Da ciò è evidente l'analogia che si è creata quasi meccanicamente con il processo di navigazione sulla rete informatica composta di frammenti messi in correlazione tra loro in maniera tendenzialmente casuale, negando, in tal modo, una metodologia progettuale che ne giustifichi l'esistenza. Non è un caso che esistano alcuni siti Internet che hanno eletto Benjamin come padre putativo della moderna tecnologia informatizzata.

Walter Benjamin partiva dalla città moderna individuata in Parigi come luogo di esperienza della conoscenza da parte dell'individuo, scegliendo Baudelaire come il "navigatore" ideale allo scopo di comprendere i sentimenti che dominavano l'animo dell'uomo moderno in rapporto allo sviluppo della cultura in senso ampio. D'altro canto, in L'opera da'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica spiegava come il prodotto artistico, individuato nell'arte più propriamente d'avanguardia, poteva assimilare, nella sua più alta espressione, quelle ragioni e quei sentimenti dell'uomo moderno di fronte ad una cultura che andava perdendo l'istanza di 'totalità' in virtù di una auspicabile diffusione democratica della conoscenza e dell'informazione. In Benjamin tale processo veniva espresso dalla perdita del valore di 'culto' del prodotto artistico, che proprio il progresso tecnologico, assimililabile nelle tecniche cinematografiche e fotografiche, permetteva attraverso la riproducibilità dell'opera stessa. In questo senso, lo scrittore vedeva nello sviluppo della tecnica un potenziale produttivo, e in una prospettiva di democraticizzazione della cultura, una istanza rivoluzionaria.

Oggi, tale riflessione è tanto più giustificata quanto più si pensa alle possibilità intrinseche alle nuove tecnologie, che permettono che chiunque possa intervenire su un prodotto artistico impedendo l'acquisizione di requisiti che si rifanno all'unicità. E questa unicità non riguarda soltanto l'artista, ma anche più propriamente la fruizione dell'opera, se si pensa alla possibilità esponenziale di accesso alle informazioni di Internet. E, infatti, oggi si parla di 'globalizzazione' della cultura, verso quello che uno dei maggiori teorici della realtà virtuale, Pierre Levy, chiama lo sviluppo di una 'intelligenza collettiva'; un traguardo che, secondo le sue linee di pensiero, conduce verso una maggiore democraticizzazione della cultura e dell'informazione.

Anche in questo campo, però, accanto alle teorie che esaltano le possibilità delle nuove tecnologie digitali mettendo, probabilmente, in risalto il valore 'cultuale' delle stesse -come lo stesso Benjamin direbbe-, si sta delinenando una linea di pensiero più attenta alla critica degli stessi strumenti, senza però guardare ad essi in modo regressivo; pensiamo a Thomàs Maldonado e al suo libro Critica della ragione informatica.

Le interviste che proponiamo vogliono, in questa prospettiva, offrire degli spunti di riflessione critica sulle potenzialità che le nuove tecnologie offrono nel campo della comunicazione, tenendo presente alcune istanze allegoriche rintracciabili nell'opera di Benjamin in relazione all'esperienza della navigazione in rete. Partendo da una possibile definizione del concetto di avanguardia, il percorso ha toccato le figure del 'flaneur', della 'città', del 'viaggio'. Ne abbiamo parlato con alcuni dei maggiori studiosi di Walter Benjamin in Italia che hanno interpretato l'opera del grande pensatore in chiave materialistica.


Intervista a...

Francesco Muzzioli, Aldo Mastropasqua, Marcello Carlino
Roma, 4 giugno 1997

  • L'intervistato offre una sua definizione di "avanguardia": lo scrittore avanguardista non rappresenta l'alienazione ma, attraverso un linguaggio "alienato" parla dell'alienazione (1).
  • Pur parossistico possa sembrare il rapporto tra avanguardia e comunicazione proprio per la difficoltà di fruizione delle opere avanguardistiche, lo scrittore d'avanguardia si è sempre posto il problema del "momento collettivo" legato alla comunicazione (2).
  • Benjamin si interroga, nel suo saggio L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, sul cambiamento di percezione che l'uomo ha della realtà attraverso le macchine, e tale cambiamento di percezione egli lo individua nell'arte d'avanguardia. Ma l'arte esprime delle esigenze che la tecnica solo in un secondo momento riesce a soddisfare. Oggi, l'uso che può essere fatto delle nuove strumentazioni tecnologiche rispetto all'arte potrebbe essere positivo se si pensa ad un progetto alternativo dell'esistente, e non puramente virtuale (3).
  • E' necessario riflettere fino a che punto la navigazione in Internet permetta di vivere l'esperienza dello "shock" allo stesso modo in cui il Beaudelaire, il 'flaneur' della lettura benjaminiana, vive l'urto provocato dalla "navigazione" della città di Parigi (4).
  • Walter Benjamin vedeva nell'evoluzione della tecnica una duplice direzione: la sua utilizzazione rivoluzionaria in senso democratico, ma anche una sua potenzialità distruttiva, dipende dall'uso che se ne fa. Ciò ha sicuramente valore, nell'epoca odierna, anche per quanto riguarda le nuove tecnologie digitali (5).
  • Le città virtuali che sono state create in rete sono da considerare forme di mistificazione e sublimazione della realtà, piuttosto che luoghi di analisi delle contraddizioni politico-culturali di una società come sono alcune utopie costruite dentro lo spazio letterario (6).
  • Walter Benjamin compie una navigazione reale nella città di Parigi, contrariamente alla virtualità della navigazione che un individuo compie in Internet (7).
  • La libera navigazione è una condizione su cui insiste la riflessione che richiama al postmoderno. In realtà, in Internet, la libertà della navigazione è illusoria: anche se latenti, le rotte che qualcun altro ha tracciato, esistono (8).
  • In questo senso, Benjamin rifletteva sulle possibilità, attraverso le innovazioni tecniche, di comunicare esperienza. E oggi, il flusso continuo di informazioni tende a saturare l'esperienza individuale che dovrebbe essere comunicata anche attraverso le forme letterarie (9).
  • Se la scelta dei frammenti da parte di Benjamin è tendenziosa, e porta alla costruzione di un progetto, anche il viaggio in rete dovrebbe comportare l'investimento di sé in un progetto: il viaggio non è mai gratuito (10).

Domanda 1
Vorremmo iniziare da Lei cercando, se possibile, di offrire una definizione del concetto di 'avanguardia'.

Risposta (F. Muzzioli)
Francesco MuzzioliCredo che la nozione di avanguardia vada inserita nel complesso dei problemi a cui essa risponde. È un fenomeno artistico e letterario che si è sviluppato soprattutto nell'ultimo secolo, nel '900 in Europa, e naturalmente non è stata l'unica risposta alla situazione nuova dell'intellettuale e dello scrittore. Credo sia utile confrontare la posizione dell'avanguardia rispetto a quelle che sono state le linee principali della scrittura e dell'arte nel '900, che possiamo probabilmente riassumere nell'idea del "modernismo", un termine molto usato dalla cultura americana. Per quanto riguarda l'Italia questa categoria può sintetizzare l'opera di scrittori come Pirandello, Svevo, lo stesso Montale; di fronte a un mondo che non offre più certezze, lo scrittore si pone nella posizione della scrittura dell'angoscia, della crisi, della perdita dell'identità. E questo lo fa lo scrittore modernista riprendendo, in fondo, il linguaggio che trova nella tradizione. L'avanguardia fa un passo avanti, ponendosi il problema del linguaggio stesso; l'autore d'avanguardia non rappresenta l'alienazione ma sostiene che anche il linguaggio che può raccontare l'alienazione, che può parlare dell'alienazione, è a sua volta alienato. Questo determina diversi meccanismi di messa in questione del linguaggio; le prime avanguardie, le avanguardie storiche, dal futurismo al surrealismo, cercano nuovi linguaggi. I futuristi russi cercano addirittura un linguaggio trasmentale che si ponga al di fuori dell'alienazione del parlare comune. Questi sono tentativi eroici, che oggi appaiono ingenui, come quello dei surrealisti di avere una scrittura automatica che metta immediatamente a contatto con l'inconscio, come zona più autentica della propria individualità. Le avanguardie hanno, in seguito, avuto uno sviluppo nella seconda metà del '900, in cui agli aspetti provocatori di quella che è stata, se vogliamo dir così, la "prima ondata", si sono sostituiti degli aspetti più riflessivi delle nuove avanguardie; tuttavia, queste ultime, non sono un fenomeno soltanto italiano, ma si possono collegare ad altri gruppi francesi, si possono collegare alle esperienze tedesche, come quelle di Gunter Grass e a uno scrittore come Samuel Beckett. C'è un grande fermento di nuove avanguardie in cui l'aspetto principale che emerge è un tentativo di maggiore riflessione analitica sul problema del linguaggio, e anche di rilettura delle avanguardie precedenti. C'è stato, inoltre, il tentativo, in queste avanguardie, di fare maggiormente i conti con l'alienazione del linguaggio nella società di massa. Anche le avanguardie di cui stiamo parlando hanno avuto, ovviamente, dei limiti, e sicuramente oggi ci troviamo di fronte alla necessità di una "terza ondata" di avanguardia che affronti un problema che, forse, è più stringente di questo recente periodo. Detto molto in sintesi, il problema è quello dell'importanza della comunicazione all'interno della società, l'importanza della comunicazione sia come mezzo di produzione, sia anche come pratica molto vicina alla creazione delle merci: è attraverso la comunicazione che spesso un prodotto diventa merce.

In funzione di ciò la parola assume un valore molto importante anche dal punto di vista pratico-economico, e rende molto più difficile l'intervento di una avanguardia che si trova sicuramente emarginata, perché tanto più è importante il potere sulla comunicazione, tanto più diventa importante che non si creino dei disturbi a questa trasmissione di informazioni e, spesso, anche di ordini di linguaggio alienante.

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Domanda 2
In questa prospettiva, esiste un rapporto tra 'avanguardia' e 'comunicazione'?

Risposta (F. Muzzioli)
Il rapporto tra avanguardia e comunicazione può sembrare quasi paradossale, perché nel senso comune gli autori d'avanguardia, con le loro eccentricità e con i loro testi non immediatamente comprensibili, passano per essere degli autori che quasi per principio non vogliono comunicare. Il lettore comune sostiene: "ma qui non si capisce nulla". In realtà questa difficoltà dello scrittore d'avanguardia di farsi comprendere non nasce da una volontà di ritirarsi in una sorta di olimpo della incomprensione. Se si vuole, ciò è stato vero per alcune esperienze, ma più proprie del modernismo, in cui questa sorta di autore aristocratico si chiude nella indecifrabilità del proprio linguaggio. Le avanguardie -lo dimostrano anche le occasioni pubbliche che esse hanno sempre cercato, dalle serate futuriste ai cabaret dadaisti, fino ai convegni delle nuove avanguardie del gruppo 63-, hanno cercato il momento collettivo, quindi il momento della comunicazione. Tale comunicazione, però, è una comunicazione che parte dalla percezione che il pubblico non costituisca un dato assoluto, ma che, viceversa, esso sia qualcosa di diviso, di socialmente diviso, rispetto al quale lo stesso messaggio -chiamiamolo così- deve produrre divisione. Ci deve essere una sorta di scontro con il pubblico in cui devono nascere diverse posizioni, in un affrontamento di posizioni nel pubblico. Questo aspetto provocatorio nelle prime avanguardie è abbastanza evidente; nelle seconde avanguardie, quelle che hanno cercato la riflessione -tant'è vero che la loro forma organizzativa è stata soprattutto quella del convegno, non più quella della serata, quindi non più quella dell'affrontamento, d'urto con il pubblico- si tende a creare una comunicazione che, però, non definirei difficile, quanto del "disturbo", di disturbo del senso comune. Il senso comune non si accorge che la comunicazione di cui si ciba è una comunicazione disturbata perché produce soltanto il ripetersi, la conferma di nozioni povere e di nozioni già possedute. L'avanguardia, viceversa, tende a suscitare problemi; questo disagio, dunque, è un disagio essenzialmente di tipo produttivo e vitale proprio nel senso della comunicazione. Non dimentichiamo che il termine comunicazione significa mettere qualcosa in comune, e questo "qualcosa" in comune deve avvenire da entrambe le parti; non è semplicemente la trasmissione in cui qualcosa avviene come in una catena, cioè trasmesso, dato al destinatario e, in qualche modo, imposto al destinatario. Ho l'impressione che, molto spesso, quando si parla di comunicazione si parli esattamente di questa trasmissione che impoverisce, appunto, il rapporto comunicativo.

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Domanda 3
Possiamo introdurre il saggio di Walter Benjamin L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica in relazione alla produzione artistica contemporanea, ed in particolare, a quella d'avanguardia?

Risposta (A. Mastropasqua)
Benjamin può scrivere una opera fondamentale come L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica perché riesce, in qualche modo, a immergersi nell'innovazione rappresentata dalle forme di comunicazione all'epoca più avanzate che sono il cinema e la radio. Sappiamo che Benjamin è autore di radio-drammi, quindi di forme di comunicazione innovative sul piano anche della testualità letteraria. Aldo MastropasquaE il lavoro di riflessione sul cinema è alla base de L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, di questo breve saggio ma densissimo di conseguenze, e appunto, è l'opera, forse ancora oggi, più citata soprattutto sul versante americano della conoscenza, dell'esplorazione di questo pensatore tedesco. Il lavoro teorico ha alla base anche un elemento che potrebbe essere di grande attualità oggi che si parla di navigazione in Internet, di comunicazione multimediale, che è quello di un cambiamento di percezione attraverso le macchine. La macchina è al centro della riflessione di questo testo teorico di Benjamin, sia la macchina cinematografica che frappone un diaframma, e più ancora la macchina fotografica che consente anche di esplorare in maniera impensata in precedenza l'universo reale, il mondo. Egli si pone, quindi, il problema di un adeguamento di questo nuovo modo di percepire la realtà che deve trovare un equivalente anche nei linguaggi artistici contemporanei. E questo equivalente Benjamin lo individua nettamente nell'opera d'arte d'avanguardia. Una sua frase sembra estremamente indicativa, allorchè sostiene che l'opera d'arte dadaista sembra essere un proiettile sparato verso il pubblico, spostando lo stesso pubblico in funzione delle sue coordinate mentali rispetto all'opera d'arte. Questa capacità di provocazione dell'arte d'avanguardia trova la sua attuazione a livello d'arte di massa nel cinema. Ritengo questo un punto molto importante, perché rappresenta un altro assunto che ricaviamo dall'opera di Benjamin: quello che l'arte pone delle esigenze, esprime delle esigenze che la tecnica solo in un secondo momento riesce a soddisfare. Allora ci si potrebbe porre il problema di quali siano le esigenze e quale tipo di arte abbia espresso le esigenze che oggi la tecnica in parte riesce a soddisfare attraverso, per esempio, l'universo del telematico o delle reti di Internet. Probabilmente la questione potrebbe essere anche quella di un ritorno di importanza, di attenzione alla produzione d'avanguardia perché, di fatto, l'avanguardia già al suo nascere ha puntato su una complessità di interferenza e anche di complementarietà di linguaggi provenienti da ambiti artistici tradizionalmente separati, quindi la musica, l'arte, la letteratura e in un secondo momento anche il cinema; oppure, pensiamo al teatro espressionista degli anni '30 nel quale era anche prevista la proiezione di determinate sequenze cinematografiche. Tutto questo sembra, poi, convergere in una forma di arte che potrebbe essere realizzata oggi, ma qui ci muoviamo in un ambito che ci pone numerosi punti interrogativi anche sul senso di questo tipo di operazione, attraverso mezzi tecnologici ipermoderni come l'informatica e le reti, il Cd Rom o il DVD. Il problema è quello di vedere anche l'uso che può essere fatto di questo tipo di configurazione dell'opera d'arte che va molto al di là, ovviamente, del valore tradizionale di culto, 'cultuale', come sostiene Benjamin, che avvolgeva in questa guaina il testo o anche l'opera d'arte visiva tradizionale.

Da questo punto di vista mi sembra molto importante una considerazione che può essere ritrovata anche in altri autori. Oggi pensiamo alle esperienze di Edoardo Sanguineti, per esempio: c'è un manifesto del teatro elettronico che è in rete e consultabile in Internet realizzato da Edoardo Sanguineti e Andrea Liberovici. Ci sono interviste in rete di esponenti, per esempio, della neo-avanguardia italiana, limitandoci ad un ambito strettamente nazionale.

Il problema è quello di vedere se l'uso che può essere fatto di queste nuove potenzialità vada in una direzione di omologazione o di accettazione incondizionata dell'esistente, oppure di discussione critica di intervento anche progettuale, alternativo e non puramente virtuale dell'esistente. L'elemento di interazione fine a se stesso può essere anche un elemento che non ha sbocco, che non ha futuro, mentre, oggi, le riflessioni più avvertite -penso per esempio alla Critica della ragione informatica di Thomàs Maldonado, un volume uscito di recente e molto importante-, pongono la questione se sia possibile utilizzare le reti, l'informatica e la telematica anche per un risveglio di coscienza critica. Maldonado pone anche il problema di chi sia il soggetto di questo nuovo mezzo tecnologico, quale sia il problema dell'identità di chi prende la parola scrivendo o, in qualche modo, interagendo con la rete e se la comunicazione interpersonale o individuale che si attua nella rete, sia una discussione, o sia semplicemente un confronto mediato e quindi schermato, nel quale le personalità sono nascoste anche da identità secondarie, da identità fittizie. Questo è un problema di democraticità: c'è spazio per una discussione democratica all'interno delle reti oppure no? Ed è un problema centrale che si riconnette anche a un uso creativo, alternativo di queste reti.

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Domanda 4
A proposito di questo grande pensatore, negli Stati Uniti si sta rivalutando l'opera e la figura di Walter Benjamin, probabilmente in chiave diversa da quella a cui il gruppo "Quaderni di critica" fa riferimento, soprattutto nella possibilità di associare il frammento benjaminiano con la frammentazione dell'informazione che è intrinseca, probabilmente, ad un mezzo di comunicazione quale è Internet, la rete. È corretta questa associazione, e se ci sono delle differenze, quali sono?

Risposta (F. Muzzioli)
Riguardo alla ripresa di Benjamin da parte degli americani, c'è da dire che questo pensatore, scrittore, critico, è talmente eccentrico e, se posso dire, talmente grande che è possibile ritagliarlo in diversi modi. E ciò è avvenuto molto spesso, non solo in questi ultimi tempi, non solo da parte del decostruzionismo americano. Per quanto mi riguarda, l'aspetto di Benjamin che più mi interessa è proprio questa sua spinta a cercare nella discontinuità della storia e anche nella discontinuità delle cose nel presente, dei momenti che siano produttivi, cioè vitali, che producano degli effetti di scontro e di innovazione.

Per quanto riguarda il parallelo del frammento Benjamiano con la navigazione in Internet, sicuramente ci possono essere delle analogie e sono le analogie che nascono da una certa percezione del moderno, della città moderna, e che si riverberano nelle nuove tecniche che non sono nate dal nulla, ma che, esattamente da questa modernizzazione, provengono, si prolungano e intesificano i dati di essa. Nel frammento benjaminiano, per quanto riguarda la percezione della città che Benjamin ha inserito nella sua lettura di Baudelaire e quindi della Parigi capitale del XIX° secolo vista attraverso le poesie di Baudelaire, esattamente c'era questo accorgersi che Benjamin leggeva in Baudelaire che la città moderna si trasforma e forse è la prima volta in cui l'uomo si trova a vivere tutta la vita in uno spazio che cambia, quindi non ha più questa sorta di solidità del proprio luogo. La lettura della città, a quel punto, è esattamente una lettura degli strati diversi, storicamente diversi della città, in cui dei residui, delle parti possono venire come incontro all'osservatore, che quindi li scopre esattamente come segni della discontinuità dello spazio che corrisponde, a quel punto, anche a una discontinuità del tempo. E lo sforzo benjaminiano è quello di raccogliere il significato di questi frammenti e in qualche modo di riattualizzarli, cioè di renderli di nuovo efficaci attraverso l'immaginario, attraverso lo scontro che questi frammenti hanno nell'immaginario dell'osservatore. Infatti Benjamin parla di un'esperienza dello shok, quindi di urti continui che ha questo personaggio che passeggia, che cammina nella città. E parla anche, in questa grande ricerca su Parigi, di una sorta di strategia del risveglio. Ecco: i frammenti sono questi oggetti ridotti in pezzi, ma questi pezzi che attendono di essere risvegliati. In un altro foglio che Benjamin scrisse riprendeva la favola de La Bella addormentata, è come se l'oggetto stesso fosse in questo sonno e attendesse il risveglio. Nel caso della navigazione su Internet, nostro compito è quello di domandarci fino a che punto ci sia questa strategia degli urti e questa strategia del risveglio. Il frammento del messaggio informatizzato si collega sicuramente ad una esperienza che ormai si può fare soltanto attraverso parti miniaturizzate senza avere subito questa illusione della totalità. Temo che questa navigazione possa ricostituire, in qualche modo, una sorta di totalità minore, semplicemente scartando tutto ciò che le può creare delle difficoltà. Occorre che anche in questa navigazione ci siano dei segnali direzionali che aiutino ad andare incontro a una sorta di strategia del risveglio, aiutino a cercare i frammenti rimossi, quello che nel sapere ufficiale è stato nascosto, è stato fatto ammutolire. Senza una strategia di questo tipo, c'è il rischio che ciò che ha poca voce in questa sorta di immensa galassia, rimanga nascosto, non venga toccato da questi percorsi se questi stessi percorsi sono guidati semplicemente da una sorta di fruizione edonistica, che quindi si rifiuta al negativo, si rifiuta a quello che può disturbare la sua delibazione del già noto.

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Domanda 5
Quale può essere il rapporto fra le diverse tecniche nell'epoca moderna? Anche in questo campo la riflessione di Benjamin fu oltremodo puntuale e acuta.

Risposta (F. Muzzioli)
Benjamin ha della tecnica l'idea che essa offra una chance rivoluzionaria. Ma questo non vuole dire che la tecnica sia, in quanto tale e nella sua stretta logica, rivoluzionaria. Significa che può essere utilizzata in modo rivoluzionario e quindi produttivo, può essere sviluppata nel senso del valore espositivo, cioè di una comunità di intenti, può incarnare un uso democratico. Benjamin, però, vedeva anche un uso distruttivo della tecnica, che per lui, in quel momento, negli anni '30, era costituito soprattutto dalla minaccia della guerra. Egli vedeva il rischio che le forze messe in campo dalla tecnica fossero deviate nei fiumi delle trincee, creando quindi morte e distruzione. La realtà gli darà una tristissima conferma. Quindi, c'è questa sorta di doppia strada che dalle scoperte tecniche si diparte e la scelta di uno dei due percorsi è data dalla decisione della società di privilegiare alcune funzioni piuttosto che altre. Un altro punto che Benjamin mette in luce è la possibilità che questi ritrovati tecnologici portino ad una estetizzazione della politica alla quale contrappone, proprio nelle righe conclusive del suo saggio, la politicizzazione dell'arte. Questo sarebbe esattamente il riformarsi attorno alle meraviglie della tecnologia di un'aura sacrale, sia pure diffusa e quindi anche una estetizzazione, cioè un prendere semplicemente come momenti percettivi queste innovazioni della tecnica. Sicuramente anche la navigazione nella rete informatica può essere presa come la ricerca di nuove percezioni, la curiosità, magari, per incontri nuovi. Benjamin mette in guardia verso questa estetizzazione e, probabilmente, c'è da cercare una dialettica tra la percezione del nuovo e la riflessione sul nuovo. Un semplice abbandono percettivo può portare una sorta di indifferenza, qualsiasi tassello di questa immensa rete è uguale e noi ci perdiamo, naufraghiamo all'interno di questa molteplicità. Invece sarebbe necessaria una dialettica tra il momento riflessivo, quindi l'apporto della coscienza, e il momento del risveglio e il momento della percezione.

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Domanda 6
A proposito di una nuova idea di città. Chi ha pensato al nuovo ha pensato anche a una nuova idea di città, penso ad esempio ai progetti dei futuristi. Vale questo anche per la città virtuale?

Se viene riproposta la metafora della città come luogo in un caso probabilmente consolatorio e nell'altro invece come groviglio di esperienze scioccanti, qual è l'elemento comune, se c'è un elemento comune?

Risposta (M. Carlino)
La dimensione dello spazio da abitare è questione cruciale, peraltro legata, naturalmente, alla definizione della identità individuale e collettiva. Credo, allora, che la metafora della città sia, gioco-forza, una metafora molto forte e molto viva, perché è, in qualche modo, un confronto con la casa della propria identità, con lo spazio della propria identità. La presenza di questa metafora nelle opere letterarie e anche in queste pseudo-utopie legate ai nuovi sistemi tecnologici, mi pare che dia conferma esattamente di questa crucialità del tema.Marcello Carlino Ho anche l'impressione che questo tema vada riferito ad una crescente difficoltà che si incontra e che si scontra in questo contesto storico politico di definizione, di razionalizzazione dello spazio abitato. Non è un caso che, analizzando le teorie dell'architettura e dell'urbanistica, è andato gradualmente diminuendo l'interesse intorno al tema della ricerca urbanistica, della definizione di criteri urbanistici. È evidente un sistema di deregulation, non a caso legato alla stessa cultura del post moderno, che elabora una teoria della città senza regole dove il criterio dell'allineamento e della confusione, confusione di stili, di spazi, di esperienze, finisce per essere essenzialmente funzionale a questa presunta liberalizzazione dello spazio collettivo. A questo spazio collettivo che ha, ovviamente, una presenza e un significato molto importante, fanno da contraltare alcune utopie riversate in rete, come ad esempio il tentativo di sostituire allo spazio reale sempre meno controllato e organizzato e sempre meno rispondente a criteri forti che corrispondano anche a una visione forte del senso della vita e dei rapporti sociali, di un progetto che vale, in qualche modo, davvero come compensazione e come sostituzione. Uno spazio virtuale in assenza di uno spazio reale, uno spazio virtuale in cui ci sia spazio, evidentemente, per alcuni criteri di organizzazione, per il principio del piacere, per la possibilità di intervento e anche, dunque, di presa di possesso di questo spazio, contro, invece, uno spazio nel quale proprio l'alienazione a me pare essere la regola, non soltanto sempre più affermata ma anche sempre più teorizzata almeno dalle teorie che si riferiscono alla definizione dei nostri spazi abitativi oggi dominanti. Leggo, dunque, in queste utopie una volontà effettivamente di compensazione, e al tempo medesimo anche una volontà di rimozione dell'esistente. Leggo in queste utopie la voglia di sostituire praticamente, quasi in una dimensione onirica, una dimensione di sogno ad una dimensione reale, una dimensione di gioco ad una dimensione reale, il principio del piacere al principio della realtà; tutto questo in un ottica che annulla un progetto di analisi, di confronto, di contrasto, di contraddizioni politico culturali forti. Mi pare, allora, che la città, proprio per tutte queste ragioni e in primo luogo per questo tentativo di sublimazione che c'è alla sua base, e sublimazione proprio in termine psicoanalitico, finisca per caratterizzarsi come una sorta di spazio simbolico nel quale tutte le contraddizioni che invece sono patenti e forti nello spazio reale che abitiamo finiscono compensate e rimosse. A questa idea di città virtuale si possono contrapporre altre immagini di città nelle quali essa diventa una sorta di libro di lettura delle contraddizioni storiche, dei diversi strati che compongono la sua struttura, delle diverse dialettiche sociali e delle potenzialità di cambiamento che la città contiene. Rispetto alla lettura simbolica che si fa nella città virtuale, l'idea di città reale, quella ad esempio restituita dall'attraversamento, dalla flanèrie di Benjamin, rimanda effettivamente ad una città che consente di leggere, di interpretare, di prendere coscienza, di prefigurare un modello anche potenzialmente alternativo. In quest'ottica torna il discorso relativo all'utopia e alle utopie costruite dentro lo spazio letterario di alcuni autori. Voglio accennare al lavoro letterario di Volponi che dà la misura delle differenziazioni teoriche che esistono nel campo semantico dell'utopia. Esistono delle elaborazioni utopiche che possiedono una quota totalizzante, persino totalitaria, maggiore di altre; ci sono delle utopie che si pongono dalla parte del sogno, della mitizzazione e ci sono delle utopie che si pongono dalla parte della coscienza, della critica. Ci sono delle utopie che si danno tali e quali come sogni, più o meno collettivi che da questo punto di vista finiscono per collocarsi in uno spazio assolutamente separato e ci sono invece delle utopie che diventano, nel momento stesso in cui sono poste, oggetto di verifica, oggetto di critica dell'utopia. La vera dimensione utopica è quella che profila l'utopia ma che non si nasconde: la condizione storica in cui l'utopia viene pronunciata. E dunque non sottrae l'utopia alla critica. Utopia e critica dell'utopia sono dimensioni assolutamente convergenti. Questa idea di utopia era l'elemento di raccordo esistente tra l'universo letterario di Volponi e l'orizzonte della tecnica, dei sistemi produttivi, dei sistemi tecnologici di produzione: una presenza di una critica dell'utopia che accompagna sistematicamente le utopie volponiane e che da questo punto di vista finisce per essere, naturalmente, quella dimensione assolutamente fertile per cui l'utopia diventa intrinsecamente produttiva.

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Domanda 7
Quali sono le figure attraverso le quali Walter Benjamin affronta e approfondisce le sue riflessioni teoriche?

Risposta (A. Mastropasqua)
Il tema della città è molto presente nella riflessione di Benjamin. Il 'flaneur' è un protagonista della sua opera monumentale sui 'passaggi parigini', quindi gli avvicinamenti recenti all'opera di Benjamin, soprattutto negli Stati Uniti, come antesignana delle forme di comunicazione più avanzate attraverso Internet, potrebbero avere un fondo di giustificazione anche se è necessario riconoscere che la navigazione di Benjamin avviene essenzialmente nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Benjamin è innanzi tutto un navigatore attraverso un universo che oggi viene definito universo del supporto cartaceo. Questo è testimoniato dalla quantità veramente notevole di materiali che possiamo trovare in quello che resta nei frammenti dell'opera sui 'passaggi parigini'. Spesso sono dei sorprendenti reperti di un lavoro di lettura di esplorazione che partendo da Baudelaire e dalla Parigi del secolo XIX, sono stati poi montati ed erano destinati a far parte di un'opera complessiva molto ambiziosa che avrebbe avuto al centro, appunto, Parigi e Baudelaire e poi successivamente verso il Liberty. Le trasformazioni della città di Parigi, la stratificazione della città, la sua stratificazione storica, è una sedimentazione di eventi, contraddittori e anche conflittuali, che trovano poi un riscontro, una presenza nell'opera letteraria. Il lavoro di Benjamin si viene a comporre, in qualche modo, intorno al tema della città, tenendo presente anche le trasformazioni che la città ha subito nell' epoca nella quale lui lavorava e scriveva. Benjamin, quindi, non fa una navigazione virtuale nella città di Parigi, ma lavora e si muove, è lui stesso un 'flaneur' nell'universo parigino degli anni '30, in questa megalopoli abitata anche da movimenti letterari, da presenze forti dell'avanguardia europea del '900. Quindi è un lavoro estremamente interessante questo di osservazione e di sperimentazione anche delle nuove forme di comunicazione.

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Domanda 8
La figura del "flaneur" è possibile metterla in relazione con il navigatore in Internet? Vorremmo richiamare l'attenzione sull'idea che la navigazione in Internet, se è genericamente senza meta, alla fine può diventare illusoria, e colui che naviga può essere condotto, durante il "viaggio", in luoghi non scelti autonomamente...

Risposta (M. Carlino)
Credo che come in tutte le navigazioni, il viaggio sia una avventura straordinaria. Un evento di straordinario rilievo e che consente straordinarie potenzialità. Ma come in ogni navigazione e in ogni viaggio, è necessario considerare che, nonostante tutto, alcune rotte tracciate esistono e che muoversi in assoluta libertà è una pura chimera. Muoversi in assoluta libertà corrisponde a quella deriva che è essenzialmente una condizione che si richiama al post-moderno, sulla quale non a caso insisto molto. Ogni navigazione ha una rotta e ogni navigazione ha bisogno di questa rotta, ogni 'flanèur' ha un suo percorso. Credere da questo punto di vista che il percorso sia assolutamente senza condizioni, significa seguire le rotte che altri hanno tracciato e che, magari nascoste subdolamente, latenti, esistono in questa mappa che la navigazione consente. Ritengo che da questo punto di vista il problema dell'uso delle nuove strumentazioni tecnologiche e il problema della navigazione in Internet, sia un problema legato alla consapevolezza, ad una consapevolezza estrema, della rotta che si intende seguire esattamente in rapporto alle rotte che sono state tracciate e che in Internet, nonostante le apparenze, evidentemente ci sono e sono tanto più forti e tanto più costrittive quanto più sono lasciate occultate. Se vogliamo richiamarci proprio alla problematica del 'flaneur', in Benjamin, il viaggiatore, quello straordinario 'flaneur' che era Baudelaire, finiva sostanzialmente per tracciare una sua rotta. La sua rotta era esattamente la necessità di incontrare sistematicamente l'elemento d'urto, lo shock. Il 'flaneur' andava incontro allo shock, per esempio acquisendo non soltanto una presa di vista sopra la dimensione dell'emarginazione, dello sfruttamento, ma assumendo al tempo medesimo la coscienza delle mutazioni avvenute nel contesto della città di cui era viaggiatore, acquisendo la consapevolezza che quella città, emblema della società in cui Benjamin si muoveva, era una città che cominciava a presentarsi sotto forma di mercato; ciò comportava, anche dal suo punto di vista, la necessità di ripensarsi come soggetto in rapporto a questa mutata dimensione. Da questo punto di vista, allora, la navigazione in Internet a me pare che debba necessariamente rispondere ad un progetto; ad un progetto che, ovviamente, dovrebbe essere commisurato, confrontato dialetticamente con i tanti progetti che dentro questo 'mare magnum' di Internet sono contenuti. Credo, altresì, che questa progettualità sia, per ogni soggetto operante, una autentica scommessa. Se posso fare un altro riferimento metaforico, Internet potrebbe assomigliare ad una sorta di straordinaria biblioteca, quella di Babele, e che, però, evidentemente ha al suo interno dei sistemi di catalogazione, ha dei sistemi di classificazione dei suoi libri. Possiede, evidentemente, anche una serie di percorsi che sono peraltro orientati dalla visibilità che un libro in questa biblioteca ha rispetto agli altri e più degli altri. Colui che entra in questa biblioteca, ha la necessità, o meglio deve avere la necessità di attrezzarsi e di entrare sapendo che non è semplicemente un gioco quello che così comincia, il gioco della navigazione. E' invece un processo, ed è un processo di acquisizione, è un processo di consapevolezza, che come tale deve essere usato fino in fondo con estrema consapevolezza. E da questo punto di vista naturalmente, tutto il sistema tecnologico con il quale noi facciamo i conti oggi rappresenta la posta di una scommessa formidabile che tutti ci riguarda. Ad esso si associano inevitabilmente le possibilità di crescita civile e democratica che naturalmente un uso particolare, un uso di consapevolezza, un uso teso all'acquisizione di coscienza critica di Internet eventualmente può consentire.

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Domanda 9
La narrazione: Benjamin sosteneva che la narrazione tradizionale, nell'epoca in cui scriveva, non poteva più comunicare "esperienza". Può spiegarci le ragioni? E, oggi, in che modo è possibile comunicare esperienza attraverso un'opera d'arte?

Risposta (A. Mastropasqua)
La questione della narrazione costituisce un altro dei punti della riflessione di Benjamin che mi sembra molto interessante e che si lega a questo saggio centrale su L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. C'è un famoso saggio su Nicolai Liescov, un autore russo dell'Ottocento, che è intitolato appunto Il narratore, nel quale Benjamin si interroga sulla possibilità, per la narrazione, -nell'epoca in cui scriveva ma questo è ancora più vero al giorno d'oggi- di comunicare esperienza. E la risposta è, ovviamente, negativa, se questo avviene nelle forme tradizionali, per il semplice motivo che la comunicazione -non diciamo la trasmissione- ma la comunicazione dell'esperienza, è resa inutile, è sterilizzata, per quanto riguarda la letteratura nella contemporaneità, dal flusso incessante di informazioni che "piombano" sul soggetto attraverso i mezzi di comunicazione. Oggi questo discorso è ancora più vero: questo flusso continuo di informazione tende a saturare, in qualche modo, l'esperienza individuale e, quindi, a sterilizzare l'esperienza personale che dovrebbe essere comunicata attraverso anche le forme letterarie. Mi sembra che questo punto possa essere collegato in maniera molto diretta con l'opera di Paolo Volponi, ed in particolare con testi più stratificati e complessi da un punto di vista narrativo, quali possono essere Corporale, o Le mosche del capitale. In particolare, la questione della possibilità della narrazione, del racconto ed esplicitamente in un brano metanarrativo come Le mosche del capitale, è tirata in ballo da Volponi quando si domanda -ed è una domanda retorica-, se ha ancora senso e se c'è ancora la possibilità di raccontare la propria esperienza in un universo nel quale c'è una omologazione di massa delle esperienze individuali. La narrativa alla Flaubert, la Madame Bovary, sarebbe oggi impossibile, in quanto quell'esperienza narrata da Flaubert è ormai vissuta a livello di massa nella contemporaneità da un numero impressionante di individui. Il cambiamento di passo che è molto interessante e che si può registrare nella narativa di Volponi, prevede l'utilizzazione di forme nuove, sperimentali di narrazione, nelle quali l'esperienza viene fatta raccontare, per esempio in Le mosche del capitale, addirittura dagli oggetti. Gli oggetti prendono la parola e raccontano, essendo oggetti che hanno accumulato un valore d'uso, quelli della fabbrica, degli uffici, la poltrona del direttore o il calcolatore elettronico o anche le piante, che sono decorative degli interni e degli uffici della fabbrica; questi oggetti possono raccontare e scambiarsi le loro esperienze, i loro punti di vista. Questa è una soluzione estremamente originale che tende ad aprire notevolmente anche in senso allegorico il tessuto narrativo del romanzo di Volponi proiettandolo su una dimensione impensata e sorprendente. La possibilità di comunicare l'esperienza è importante; Le mosche del capitale sono un riepilogo di una esperienza vissuta in prima persona da chi scrive la narrazione, e questa esperienza riesce ad arrivare anche al lettore in maniera molto più sorprendente e spiazzante rispetto ai canoni della narrazione tradizionale. La sperimentazione di Volponi, che si lega alle forme di innovazione anche nella scrittura poetica di libri come Con testo a fronte o Il silenzio campale, segna proprio questo punto di ampiamento e, in un certo senso, di proiezione del percorso letterario di Volponi in una direzione che oggi andrebbe ripresa e forse anche sviluppata, essendo molto strettamente vicina a delle linee anche di ricerca d'avanguardia alle quali oggi si dovrebbe tornare a guardare con una certa attenzione.

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Domanda 10
A proposito del "frammento": è possibile un accostamento fra la frammentarietà della costruzione del sapere attraverso Internet e l'idea che Benjamin elabora della riutilizzazione del frammento? Se possibile, in quali termini?

Risposta (M. Carlino)
Se si parte da Benjamin la sua straordinaria intenzione è esattamente quella di prendere contatto con una realtà che comincia ad essere frammentata, che comincia a qualificarsi nel segno della complessità e di una straordinaria complessità, per affrontarla sul suo proprio terreno e per ridurla ad un senso possibile nel quale, evidentemente, è annidata la possibilità di un cambiamento, di una trasformazione radicale. La scelta dei frammenti da parte di Benjamin e il montaggio dei frammenti nella sua opera è una scelta consapevole, fortemente deliberata, ed è al tempo medesimo un montaggio fortemente tendenzioso. E' un montaggio che dovrebbe rispondere a questo obiettivo di redenzione, e sia pure obiettivo visto nella sua portata utopica, visto nella sua lontananza. Nel caso di Benjamin il viaggio attraverso i frammenti è il viaggio di chi detiene un progetto e di chi questo progetto tenta di portarlo evidentemente a compimento. Non è un caso che a proposito della citazione, che è una forma di riuso dei frammenti, Benjamin parlasse di un doppio livello di operazione che riguardava la lingua, la lingua intesa come elemento nel quale si deposita il patrimonio storico ideologico di una comunità. La dimensione della salvezza e della punizione al tempo medesimo. Punizione come smascheramento dei buchi neri, dei salti, delle discontinuità, dell'orrore della storia. E, al tempo medesimo, salvezza come possibilità di riqualificare, di risignificare questi elementi, questi frammenti in funzione di un orizzonte mutato, di un orizzonte di trasformazione. È evidente che, da questo punto di vista, ritengo che la lezione benjaminiana sia una lezione la cui validità deve essere conservata. Così come il lavoro strenuo che Benjamin compie sui frammenti, è un lavoro che potrebbe, naturalmente, essere preso come modello per un confronto dialettico anche per chi lavori su quei frammenti di cui è costituita la complessità di Internet. Ciò che va evitato, in sintesi, è l'atteggiamento di chi ritiene che il viaggio in Internet sia un viaggio, per così dire, gratuito. Uso il termine gratuito in una accezione lata, nel senso che è un viaggio che si compie per il puro piacere di compierlo e senza che ciò comporti nessun tipo di investimento di sé in quel viaggio. Credo che invece, poiché questo investimento di sé nel viaggio esiste e poiché il viaggio non può ritenersi gratuito, il modo di utilizzare i vari frammenti che il sistema Internet ci mette a disposizione deve essere un modo la cui consapevolezza, il cui orientamento, quantomeno debbono essere noti. Occorre, inizialmente, un progetto al quale riferirsi che si tramuti in una strategia più o meno definita, ma che sia una strategia di movimento. La possibilità di poter navigare tranquillamente senza nessun tipo di compromissione di sé dentro questa navigazione di Internet, a me pare che debba essere fondamentalmente liquidata come una dimensione e una occasione fortemente rischiosa, perché nel momento stesso in cui il navigare e cioè l'esperienza dei frammenti del sapere, si facesse secondo un criterio che non risponde a nessun principio, a nessuna legge precostituita, si correrebbe il rischio di essere trasportati, di essere agiti, di essere mossi, proprio nello stesso tempo in cui si crede di muoversi in modo totalmente libero. E si finirebbe poi per perdere la quota di complessità e la quota di contraddizione presente oltre che nei vari frammenti del sapere, nel momento stesso in cui entrano in rapporto tra loro. Si opererebbe in questo caso, occultando proprio tutte quelle dimensioni differenti, diverse, portatrici di contraddizione che sono, invece a mio avviso, degli elementi assolutamente necessari perché il viaggio della conoscenza abbia un senso e risulti produttivo. E risulti produttivo esattamente nel senso del cambiamento, nel senso della non acquiescenza alla realtà data, che mi pare poi il vero oggetto che qualunque buon viaggiatore dovrebbe cercare.

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