L'Europa fuori dalla gara per la biogenetica
In una Bruxelles invasa dagli allevatori in protesta e messa in stato
d'assedio dalle squadre antisommossa, il commissario Ue all'agricoltura
Franz Fishler ha presentato ai quindici ministri dei paesi membri
un piano in sette punti per far fronte all'epidemia di Bse e far ripartire
il settore dopo questa terribile crisi. Il piano, in evidenza sui
principali quotidiani, non sembra aver riscosso molti consensi né
da parte degli allevatori né da parte dei responsabili dei
vari dicasteri dell'agricoltura. Fishler ha deluso quanti attendevano
maggiori aiuti dall'Europa affermando; "le nostre tasche sono
vuote, abbiamo già raschiato tutti i fondi per la riserva di
bilancio del 2001". Il documento prevede, inoltre, la riduzione
del fattore di densità degli allevanti, ovvero del rapporto
tra numero dei capi e dimensioni del terreno e sottolinea l'opportunità
di tornare a pratiche agricole più rispettose dell'ambiente,
incentivando le colture biologiche.
Sulla pagina dei commenti di Repubblica Federico Rampini si
sofferma sul tema del cibo biotech e, in particolare, sul diverso
approccio con cui la questione viene affrontata negli Stati Uniti
e in Europa. In seguito all'emergenza della mucca pazza l'Unione Europea
ha imposto severi limiti alla ricerca biogenetica: il risultato è
che "in pochi giorni il divario tra le due rive dell'Atlantico
si è allargato ancora". "Quel divario" - spiega
Rampini - "ha un significato molto concreto per le nuove generazioni:
oggi a un giovane americano si aprono più strade e più
prospettive future che per un giovane italiano. Come avvenne all'alba
della società del computer, anche nella corsa della biogenetica
l'America è praticamente sola ai nastri di partenza. L'Europa
ha deciso di ritirarsi prima ancora che la gara abbia inizio. Il pessimismo
degli europei - vizio tipico di una società demograficamente
vecchia e conservatrice - tende a vedere in ogni innovazione tecnologica
solo il potenziale distruttivo e degradante".
La net economy vista da Rifkin
In un'intervista al Giornale Jeremy Rifkin, presidente
della Fondazione sulle tendenze economiche e autore del best seller
L'era dell'accesso spiega le caratteristiche della net economy.
"Siamo alla nascita di un nuovo sistema economico" più
o meno potremmo dire di trovarci in un momento storico paragonabile
a quello vissuto dall'umanità tra la fine del mercantilismo
e l'avvento del mercato capitalistico. Nel mercato tradizionale
acquirenti e venditori scambiano beni e servizi. Nella net economy,
al contrario, ci sono solo fornitori e utenti, server e clienti".
"Con la net economy" - prosegue Rifkin - "la proprietà,
sia fisica che intellettuale, ha ragione di esistere in funzione
dell'uso del mezzo". Inoltre, "con la net economy l'attività
è ininterrotta" e mentre nel "sistema tradizionale
è la massimizzazione delle produzioni e delle vendite a produrre
fatturato. Nella net economy, invece, le maggiori entrate possono
arrivare da un contenimento delle produzioni". Infine, conclude
Rifkin, "nella old economy la materia prima è rappresentata
dalle risorse produttive. Nella net economy la materia prima è
data dalle risorse umane".
Più tutela per i redattori Internet
Il Corriere della Sera e la Repubblica riferiscono
che il sindacato dei giornalisti (Fnsi) e l'associazione degli editori
(Fieg) hanno raggiunto un accordo sulla bozza del nuovo contratto.
Il documento dovrà ora essere approvato dalla Commissione
contratto della Federazione della stampa ma i comitati di redazione
di alcuni giornali (Corriere, Repubblica, Stampa, Messaggero, Mattino,
TuttoSport, Giorno, Nazione, Carlino, Gazzetta del Mezzogiorno e
Centro) hanno fatto sapere che, per essere firmato, il testo necessita
di alcune integrazioni e modifiche. Uno dei punti centrali riguarda
la tutela del settore online. Paolo Serventi Longhi, segretario
del sindacato, spiega alla Repubblica le ragioni dell'intesa: "abbiamo
puntato ad ampliare l'area dei giornalisti tutelati. Per la prima
volta anche i colleghi dei siti Internet hanno diritti e stipendi
che, in sostanza, sono quelli delle redazioni tradizionali".
In cambio di una tutela più ampia il sindacato permette agli
editori di impiegare i cronisti in tutte le testate del gruppo.
La rete verso il multilinguismo
Nel 2010 la rete parlerà cinese. Oggi, infatti, i navigatori
cinesi sono 22 milioni ma il loro numero raddoppia ogni sei mesi.
I 400 milioni di internauti anglofoni sparsi per il mondo potrebbero,
quindi, diventare presto una minoranza. Ma secondo uno studio dell'Osservatorio
francese per l'utilizzo di Internet (Oui) anche altre lingue avranno
maggiore potere di acquisto: giapponese, tedesco, spagnolo, francese,
russo, italiano e portoghese. In Francia, già da alcuni anni,
tutti gli idiomi minoritari hanno un'homepage mentre nei forum internazionali
si sta imponendo la pratica di richiedere ai relatori, liberi di
esprimersi come preferiscono, anche una versione nella lingua ufficiale
dell'evento. Il web sembra, dunque, aver intrapreso la strada del
multilinguismo, anche se si tratta di una via spesso ardua e costellata
di fraintendimenti. Sulla Stampa.
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