È di scena il futuro…
"Il Futurshow, come evento, palcoscenico
ma anche mezzo di comunicazione". È l'opinione di Claudio
Sabatini, presidente Futurshow, che fa bilancio dell'edizione di
quest'anno.
Cosa rappresenta il Futurshow?
Noi crediamo che sia un evento, un palcoscenico ma anche un mezzo
di comunicazione. Chiamare fiera quest'evento sarebbe molto
riduttivo o molto esagerato. Una grande folla ha chiuso la
manifestazione, nonostante fosse lunedì; abbiamo visto un
accreditarsi di tutti i mezzi di formazione che ci hanno seguito con
grandissima attenzione.
Perché avete scelto come slogan "Meglio dentro che
fuori"?
Abbiamo coniato questo slogan, dopo quello del 1995 "Chi non
c'è non ci sarà", perché crediamo che le nuove tecnologie
siano una grande opportunità per abbattere tante barriere. Il
giorno in cui tutte saranno abbattute e nessuno verrà escluso,
saranno tutti dentro.
Come è andata quest'anno?
Credo che i dati siano stati entusiasmanti. Abbiamo chiuso con
470 mila visitatori, 730 partner presenti nelle varie forme, 60 mila
metri quadrati di padiglioni coperti. Quindi è stata un'edizione
che ci ha dato grande soddisfazione, considerato l'attraversamento
di questa "tempesta digitale" in borsa.
Molti dicono che il Futurshow è una fiera per ragazzi: sono
solo i giovani il pubblico di riferimento?
Assolutamente no. Sono sicuramente una parte importante, basti
vedere le immagini dei padiglioni dedicati al "Game", con
il tradizionale campionato di Videogame, che mette in palio 100
milioni in parte vincolati per lo studio, la formazione
professionale o l'avvio di un'attività. Persone di ogni età hanno
affollato padiglioni cui hanno partecipato noti personaggi, come
quello di "FuturDesign", che propone una serie di ambienti
progettati da grandi protagonisti della scena internazionale:
Fernando e Humberto Campana, designer; Lucio Dalla assieme alla
galleria Nocode; Elio Fiorucci, stilista; Omar Galliani, artista;
Alessandro Mendini, architetto e designer; Paolo Portoghesi,
architetto; Federico Uribe, scultore.
Spesso, lei parla di "Futurshow Generation", cosa
intende?
In questi sei anni, possiamo dire che con noi si è evoluta una
generazione. All'interno del salone abbiamo visto un target che va
dai 7 ai 70 anni, un target estremamente allargato. La formula del
Futurshow è quella di mettere insieme la fabbrica delle idee, i
personaggi che possono sicuramente rappresentare gli scenari europei
di un futuro prossimo, e i prodotti. Con l'abbattimento delle
barriere abbiamo avuto un uomo come Kevin Warwick, che si è
iniettato un chip in un braccio e sta sperimentando sul suo corpo
che cosa può accadere, quali sono i vantaggi che derivano da questi
esperimenti fino ad arrivare al grande problema dei disabili con
problemi motori. Con Tehmina Durrani, abbiamo abbattuto un'altra
grande barriera: alle donne dell'Islam è finalmente consentito
comunicare. Si sta per fortuna combattendo una rivoluzione digitale
pacifica.
La realtà ha superato la fantasia?
Certamente, come abbiamo visto in 2001 Odissea nello Spazio,
Stanley Kubrick, un uomo che sicuramente non mancava di fantasia, si
è sbagliato di difetto perché la realtà ha superato
l'immaginazione. Se si osservava la costellazione del Progetto
Galileo, si poteva notare che Kubrick si era sbagliato per difetto.
Il Futurshow mostra il futuro come arte, vita vissuta, e anche
provocazione.
Credo che la formula sia quella di mixare l'arte, l'industria, la
cultura e anche la politica. Quest'anno abbiamo presentato un
progetto "Futurshow School", un'area dedicata
all'orientamento, alla formazione, in collaborazione con Web
Marketing Tools, una grande rivista specializzata in questo
settore. L'area è stata sempre piena di ragazzi, una grande
soddisfazione. Il prossimo anno svilupperemo sicuramente un'area
della teleducazione.
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