La Rai che verrà
"L'offerta televisiva in un sistema multi-piattaforma".
È questo il titolo di un recente convegno svoltosi all'Università
di Firenze e organizzato, tra gli altri, dalla Rai. Un convegno
nel quale ospiti italiani e internazionali hanno discusso insieme
degli scenari della televisione del futuro. Sullo sfondo il tema
del titolo. E cioè il "sistema multi-piattaforma",
un'espressione che significa, in pratica, la televisione oltre la
televisione. In un futuro infatti non sarà solo lo schermo
di casa a trasmetterci contenuti e immagini che oggi arrivano attraverso
questo unico medium. Dal computer da tavolo al portatile, al palmare;
dal telefonino di terza generazione al navigatore satellitare per
auto: i sistemi stanno gradualmente convergendo verso un'unica tecnologia,
quella digitale, e si stanno diversificando su più supporti.
Quali saranno questi supporti? Quali contenuti verranno trasmessi?
Come? E in quale quadro normativo? Ne discutiamo insieme al Presidente
della Rai, Roberto Zaccaria.
Presidente, probabilmente non sappiamo come sarà la tv
domani, ma sicuramente, come dice il motto, in Rai "stiamo
lavorando per voi". Verso quale direzione?
Noi abbiamo affrontato, prima di tutto, il problema organizzativo.
La Rai, da organismo unico, si è articolata in una serie
di società per seguire le rispettive piattaforme con le distinte
modalità di offerta. Il secondo problema era quello di trasformare
i contenuti tradizionali, diffusi attraverso la televisione tradizionale,
in modo da renderli adatti ai diversi sistemi di distribuzione.
Un aspetto importante in quanto ogni piattaforma, vale a dire ogni
sistema di distribuzione, è diverso l'uno dall'altro: se
devo ricevere la televisione su uno schermo molto piccolo o con
la larga banda, è chiaro che posso ricevere due diversi tipi
di televisione.
Quali sono i contenuti attuali della Rai che potrebbero già
essere trasferiti su un sistema multipiattaforma?
Credo, in primo luogo, l'informazione: oggi, noi possiamo fruire
dell'informazione dalla televisione attraverso la sequenza stabilita
dall'editore e dai direttori. L'informazione che viene utilizzata
in altro modo da un utente potrebbe essere cercata attraverso letture
diverse: ad esempio, sono fuori casa e voglio ricevere delle notizie
riguardanti lo sport, la formazione del Governo, il traffico oppure
la meteorologia. Senza dubbio, quindi, l'informazione è la
base che può essere fruita in modo diverso, poi naturalmente,
ci sono altri modi: posso, ad esempio, poter scegliere da un catalogo
ideale dei programmi il punto che mi interessa, anziché la
sequenza che mi è offerta a casa.
Internet in genere è comunità, la televisione
in qualche modo è comunità ma non ha un contatto diretto
con i telespettatori. Con l'interattività si sta forse andando
verso la creazione di una comunità televisiva?
Molti programmi della televisione tradizione già oggi cercano
una qualche forma di interattività attraverso i modi più
elementari, come il telefono, o altri più complessi come
la predisposizione di un catalogo di scelta, come nel caso di alcuni
programmi di Rai Educational (Mosaico,
La Rai @ la
Carte, La
Scuola in Diretta), dove praticamente si consente all'utente
di "zoomare" sulle parti di maggior interesse. Questo
tipo di offerta si poteva fare con la televisione solo fino un certo
punto, mentre con la televisione del futuro si potrà fare
sempre di più. Credo che il percorso sia assolutamente questo
però poi serve il motore di ricerca, qualche cosa che aiuti
a sostituire l'editore, perché abbiamo comunque bisogno di
qualcuno che crei un certo tipo di ordine.
Quando è uscito "Il Grande Fratello", ci sono
state molte polemiche a tutti i livelli. Se non sbaglio lei lo ha
dichiarato non adatto alla televisione Pubblica.
Vorrei distinguere in maniera netta il linguaggio, il modello del
Grande Fratello dai contenuti. Io ho criticato il contenuto, in
molti casi l'assenza di contenuti, ma non critico assolutamente
il linguaggio, lo schema concettuale, di cui si è servito
il Grande Fratello per arrivare al pubblico.
Da un punto di vista tecnologico, quindi, "Il Grande fratello"
ha rappresentato l'incrocio tra le diverse tecnologie (televisione
tradizionale, televisione satellitare, webcam, Internet, editoria
cartacea). Ci sono anche altri esempi che possiamo citare - MediaMente
stessa si sviluppa intorno a diversi sistemi di distribuzione dei
contenuti. È questo il modello della televisione del futuro?
Questo è un modo classico di adattare l'ambiente, ancora
prima del singolo programma, ad una capacità di utilizzazione
diversa, che è evidentemente il concetto stesso di multimedialità,
quindi vuol dire sostanzialmente avere delle potenzialità,
come un atleta in grado di esprimere contemporaneamente la corsa
veloce, il salto in alto, il salto in lungo, il mezzo fondo e la
maratona: un decathlon. Questa potenzialità se è espressa
con dei buoni contenuti è apprezzabile, se è espressa
con dei contenuti mediocri è meno apprezzabile, però
il linguaggio è corretto.
È molto costoso mettere in piedi una piattaforma del
genere?
Credo che tute le cose collegate a sfruttamenti molteplici siano
costose, ma il costo non risiede nella cosa in sé, sta in
tutto ciò che a monte della creazione. Prendiamo ad esempio
il pilot, il primo numero di un programma di fiction o di intrattenimento:
è chiaro che per arrivare a quel primo numero bisogna fare
degli investimenti rilevanti prima; una volta trovato questo modello,
poi la gestione è più economica, però è
la creatività che costa. Da questo punto di vista, non ci
sono scorciatoie.
Per quanto riguarda la formazione, quali servizi può
offrire il servizio pubblico?
L'aspetto più concreto è qualcosa che è a
monte della formazione e cioè la raccolta dei materiali che
servono sostanzialmente per insegnare. Quando svolgiamo un'attività
formativa, dobbiamo tener pronta la memoria per recuperare nei vari
settori degli esempi significativi. Il lavoro che abbiamo fatto
intorno alle Teche, cioè tutto l'archivio digitale della
Rai, un progetto partito 3 anni fa e che si concluderà tra
4 anni, è il grande progetto che consente di avere i materiali
pronti per andare poi rapidamente a trovare quello che ci serve
per insegnare. Ad esempio, si forma il Governo: ho bisogno da un
lato di spiegare quali sono le regole costituzionali, magari anche
la Costituente, andare a veder i vari Governi che si sono formati,
spiegare cos'è un programma. Ecco l'archivio, la memoria,
le teche, sono alcuni degli strumenti di predisposizione a questa
formazione su scala ampia e diversificata.
Di recente c'è stato un accordo tra la Rai e l'e.Biscom.
Si può forse pensare che questo tipo di investimento, con
un gruppo consociato e in una realtà territoriale ben definita,
sia una strada per il multipiattaforma?
Questo è un punto chiave. Dato che la Rai è un grande
gruppo europeo e mondiale nel settore, l'unica strada per poter
sviluppare le proprie attività è quello di trovare
sui vari terreni delle forme di alleanze, cioè trovare nei
vari settori, dal cinema alla fiction o dal calcio all'informazione,
dei partner. Il modello e.Biscom è un accordo con un soggetto
che vende sistemi via cavo in alcune parti di Italia e noi gli forniamo
il materiale per il catalogo e il DVD: in pratica, vogliamo sederci
davanti alla televisione, sfogliare un catalogo di cose che ci piacciono,
poterle sceglierle e vederle con eccellente qualità. Prima
lo facevamo con il videoregistratore, ma ora con il sistema e.Biscom
e la larga banda, abbiamo la possibilità di scegliere in
un catalogo sempre attuale e vedere contenuti a qualità elevata.
Questo è un modello forte di sviluppo.
Secondo lei, la privatizzazione della Rai favorirebbe l'ingresso
della Rai nei mercati nazionali e internazionali in maniera più
libera e più potente?
Secondo me, bisogna procedere su questo terreno con una saggia
prudenza perché noi abbiamo già privatizzato la parte
periferica, strumentale: in questo caso, è molto utile perché
si fanno degli accordi in varie percentuali con soggetti che fanno
da lepre. Per quanto riguarda la parte editoriale, la scelta dei
contenuti da trasmettere, la creatività, credo che il momento
pubblico resti una garanzia di libertà. Vorrei evitare di
assoggettare le scelte dei contenuti a degli interessi di parte
che naturalmente sono importantissimi: ci sono molte televisioni
e molti giornali privati, ma avere un momento pubblico è
una garanzia che non lascerei perdere così troppo in fretta,
ma bilancerei il privato nella parte strumentale e il pubblico nella
parte editoriale.
Il focus nel convegno è stato centrato sull'ingresso
delle tecnologie digitali nella trasmissione del segnale terrestre,
quello che oggi ci fa arrivare nelle case i nove canali che hanno
ottenuto la concessione delle frequenze. In futuro, proprio grazie
al digitale, aumenterà il numero dei canali trasmettibili.
Come cambierà a livello normativo lo scenario del futuro?
Quali problematiche si dovranno affrontare?
Penso che il contesto normativo debba prudentemente seguire l'evoluzione
tecnologica perché se la sorpassa troppo rischia poi di bloccarla.
Ci vogliono alcuni snodi fondamentali: innanzi tutto, bisogna essere
consapevoli che aumentano le possibilità di offerta e di
canali ma non tanti quanto si pensava prima, restando sempre una
certa limitatezza; in secondo luogo, ci vogliono delle disposizione
antitrust per evitare che il più forte, dal punto di vista
economico oltreché tecnologico, possa schiacciare gli altri
e quindi una distinzione tra una parte dei contenuti ben identificabile
e la parte in qualche modo collegata alla trasmissione, il carrier;
in terzo luogo, credo che si debba distinguere tra la possibilità
di avere a disposizione certi canali e la possibilità di
accedere anche per i soggetti che sono meno forti. Credo che questi
siano i tre punti fondamentali della regolamentazione, senza essere
troppo pesante perché questo è un settore in rapida
evoluzione.
In questo scenario, le compagnie telefoniche stanno cercando
di inserirsi nel settore televisivo. È un elemento che crea
un mercato molto diverso?
Il punto fondamentale è che sullo stesso terreno giocano
soggetti piccoli, medi e grandissimi. Le compagnie di telecomunicazione
hanno dei fatturati sono 10-100 volte superiori agli altri: è
chiaro che se c'è un'egemonia sullo strumento ed interviene
lo steso soggetto sui contenuti, si finisce con il demonizzare il
mercato. Ecco perché ci vuole una divisione dei ruoli per
evitare che un soggetto si possa impadronire del tutto. Ben vengano
nuovi soggetti, che però non abbiano la possibilità
di sfruttare una catena più ampia di altri.
Ci troviamo, l'abbiamo visto, di fronte ad anni nei quali i
cambiamenti tecnologici sembrano sopravanzare di molto le capacità
delle norme di tenervi fronte. In questo contesto, lei come immagina
e come sta lavorando al servizio pubblico del domani?
Il ruolo del servizio pubblico rimane centrale, a condizione che
il servizio pubblico abbia le risorse per rimanere centrale perché
abbiamo un canone che decresce progressivamente negli anni. Naturalmente
il cannone serviva a finanziare dei programmi che potremmo definire
di interesse generale; oggi questo tipo di incidenza tende a ridursi.
Di conseguenza, o si intraprende la strada di stipulare alleanze
con altri soggetti, o altrimenti i soggetti che hanno risorse maggiori
perché hanno il controllo dei mezzi di trasmisssione, finiscono
col diventare egemoni, quindi il servizio pubblico diventerà
una piccola cosa rispetto al panorama più ampio. La strada
è quella di un servizio pubblico che abbia la possibilità
di intessere un sistema di alleanze con altri operatori, quindi
portare i suoi valori facendoli transitare ovviamente attraverso
sistemi nuovi. In pratica, creare un sistema pubblico flessibile,
basato su un sistema di alleati nei vari settori nelle varie piattaforma,
rimanendo centrale pur non avendo i mezzi che il sistema di oggi
richiederebbe. Questo è il percorse che sta tentando di realizzare
la Rai.
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