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Rai Educational
01/06/99

Reale/virtuale

 

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Quando si parla di tecnologie per il virtuale, di mondi virtuali ricostruiti al computer, o, ancora, di ciberspazio, inteso proprio come spazio virtuale, ci si trova di fronte all'opposizione 'reale/virtuale'. Infatti il termine 'virtuale' indica proprio una realtà simulata, riprodotta artificialmente al computer, in qualche modo diversa dal reale vero e proprio, ovvero da ciò che è materiale e tangibile. A questo proposito, allora, si pone la questione di definire quale relazione esiste tra ciò che è reale e ciò che è virtuale. Ma soprattutto quella di comprendere in quali termini si può affermare che il virtuale è anch'esso reale.

Pierre Levy"Credo che sia importante sottolineare, in primo luogo, che virtuale non è il contrario di reale - sostiene Pierre Levy teorico del virtuale. Un oggetto virtuale non è qualcosa di inesistente; ciò che è virtuale esiste senza esser là, esiste senza avere, perciò, delle coordinate spazio-temporali precise. Si può fare un esempio molto semplice: la parola "albero" o la parola "virtuale", non si può dire dove siano. Sono nella lingua, ma dov'è la lingua? E' in uno spazio virtuale. Viceversa, una parola si attualizza ogni volta che qualcuno la pronuncia, ogni volta che qualcuno la scrive, si attualizza ogni volta con un senso diverso in un contesto diverso. In questo senso, il virtuale è qualcosa che esiste potenzialmente, con possibilità di attualizzazione inventiva. A mio avviso il virtuale è assolutamente costitutivo dell'umano, poiché l'essere umano non vive semplicemente; vive anche in un mondo virtuale: il mondo del linguaggio, il mondo dell'organizzazione sociale complessa".

Pierre Levy rivendica, quindi, una realtà anche per il virtuale, qualcosa che "esiste potenzialmente, con possibilità di attualizzazione inventiva". In questo modo stabilisce, quindi, una corrispondenza tra il virtuale e il 'potenziale', dove potenziale sta per ciò che esiste ma non è ancora pienamente attualizzato, realizzato. Philippe Queau, sebbene riconosca al virtuale uno statuto di realtà, sostiene che il virtuale non è esattamente sinonimo di 'potenziale', come sostiene Levy, ma qualcosa di diverso.

Philippe Queau"Aristotele opponeva la potenza e l'atto, il potenziale e l'attuale. Ma il virtuale è una nozione diversa che non viene da Aristotele, ma da Roma, dalla cultura latina. E' la "virtus ". La "virtus " è la forza d'animo. La radice di virtuale e di "virtus " è "vir ", l' "uomo", parola che è affine a "vis ", la "forza". D'altronde per i Romani la "virtus " è ciò che caratterizza più profondamente l'uomo, cioè il progetto, la virtù, il coraggio, la visione. Quindi opporrei la nozione di virtualità alla nozione di potenzialità. La potenzialità - come dice Aristotele - è ciò che non esiste ancora; ma la virtualità per i Romani è ciò che permette di preparare la realtà, è la visione di ciò che deve essere la realtà. Quindi, appartiene piuttosto all'ordine del progetto. Sono due nozioni assai diverse, potenzialità e virtualità, secondo me altrettanto diverse, ancora una volta, quanto lo è la "virtus " della romanità e la "dynamis " che è come un embrione di realtà, mentre nel caso della "virtus " non c'è un embrione, ma un uomo, un "vir ", che, in qualche modo, decide del suo destino. Dunque, per parlare in modo pragmatico, la nozione di virtualità non è una specie di irrealtà, qualcosa che non è ancora reale, ma qualcosa che permette di passare all'atto, e che ne contiene la finalità profonda. Il virtuale è un progetto, un progetto di reale!".




 

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