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Rai Educational
18/05/99 

Tecno-apartheid

 

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Uno degli aspetti su cui più si riflette a proposito dello sviluppo delle nuove tecnologie della comunicazione è quello della loro diffusione ‘parziale’ e del rischio che da questo derivi una nuova forma di ‘discriminazione’.

Basta prendere in considerazione dei semplici dati relativi alla diffusione delle linee telefoniche. In Africa, per esempio, solo una famiglia su cento ha un telefono, mentre in Europa la diffusione è ormai quasi del 100%. E’ quindi evidente che una zona come l’Africa resta esclusa dalla rivoluzione della rete Internet. E’ questa la classica divisione e discriminazione tra Nord e Sud del mondo.

Armand MattelartUna classificazione che in parte oggi però non è più sufficiente a descrivere i termini della discriminazione tecnologica. Su questa forma di ‘esclusione’ ha riflettuto il massmediologo francese Armand Mattelart arrivando ad usare il termine ‘tecno-apartheid’. Secondo Mattelart questo fenomeno attraversa trasversalmente il mondo coinvolgendo aree geografiche e fasce sociali presenti in ogni regione.

"Mi sembra che i modelli di comunicazione che vengono attualmente realizzati siano modelli che favoriscono la segregazione. Questo del resto corrisponde a una nuova teoria dello sviluppo del pianeta. Prova ne è che negli ultimi quindici anni abbiamo visto comparire nozioni che in precedenza non esistevano. Ad esempio, quella della triade, formata dai Paesi europei, dall’America del Nord e dall’Asia Orientale, come polo di sviluppo del nuovo ordine mondiale. Io credo che i modelli di comunicazione propri delle nuove tecnologie dell’informazione siano contrassegnati da quello che potremmo definire un arcipelago tecnologico o, meglio, un apartheid, un tecno-apartheid. Effettivamente le tecnologie si concentrano inizialmente all’interno di nuclei, di regioni che rappresentano veri e propri nodi in cui si concentrano tecnologie e capitali, tanto nel Nord quanto nel Sud".

La posizione di Mattelart è, quindi, chiara. Il rischio attuale è quello di una sorta di techno-apartheid. E, contrariamente a quanto è accaduto in altri periodi storici, questa discriminazione non segue precisamente la tradizionale geografia Nord-Sud del mondo. Questa forma di esclusione ‘informatica’ si distingue cioè da altre forme di esclusione e discriminazione sociale che hanno accompagnato la storia dell’umanità.

"Questo è estremamente importante: si va affermando un pensiero della segregazione che, a differenza di quanto avveniva nel XIX secolo e nei decenni precedenti, rompe con la cosiddetta ideologia della lotta, il cui obiettivo era la giustizia sociale. Al giorno d’oggi è come se il contesto portasse a pensare che il modello attuale non è in grado di integrare la maggioranza. Da questo deriva anche la creazione di barriere non solo tecnologiche ma architettoniche, come accade per esempio in Brasile o in Messico, dove i centri commerciali, gli Shopping Center, sono costruiti come vere e proprie fortezze riservate a coloro che possono consumare e che davvero fanno parte di una classe globale. Perciò, come stupirsi del fatto che le tecnologie seguano questi modelli? Le tecnologie si adattano a modelli sociali che esse non hanno modo di esaminare. I modelli di impianto della tecnologia corrispondono alle logiche sociali e il grande problema di oggi per quanto concerne le tecno-utopie è che vogliono convincerci che attraverso la tecnica potremo rimediare agli squilibri sociali ed economici. Tutti i discorsi che si fanno convergono in questa direzione. Albert Gore, ad esempio, quando inaugurò le autostrade dell’informazione a Buenos Aires agli inizi del 1994, disse: "Le autostrade dell’informazione renderanno possibile l’Agorà mondiale, la conversazione universale e permetteranno di risolvere i problemi legati a ineguaglianze sociali ed economiche". A mio parere, invece, si tratta di un’utopia, di una tecno-utopia".




 

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