17/05/99
Universalità senza totalità
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Una delle caratteristiche peculiari della cultura legata allo sviluppo del nuovo spazio
comunicativo della rete Internet è la sua potenziale 'universalità'. Fra gli elementi
più evidenti di questa idea di universalità c'è il fatto che nel cyberspazio si può
comunicare da qualunque luogo fisico ci si trovi con qualunque altro. In questo senso la
cultura che si sviluppa nel cyberspazio, la cosiddetta cybercultura, è universale -
rispetto allo spazio - perché mette in condizione di superare qualsiasi limite fisico o
territoriale della comunicazione. Pierre
Levy, filosofo francese autore di numerosi saggi in cui analizza proprio la nuova
cultura della Rete, ha riflettuto su questa idea di universalità della cybercultura ed è
arrivato ad una definizione estremamente interessante, quella di "universalità senza
totalità".
"L'idea dell'universale senza totalità
mi è venuta quando ho tentato di comprendere quale fosse l'essenza della cybercultura.
Per me la cybercultura non è la cultura dei fanatici della Rete o della gente che passa
il suo tempo a navigare sul Web. E' piuttosto lo stato della cultura quando il cyberspazio
diventa il mezzo di comunicazione dominante. Probabilmente tra qualche anno - ma già un
po' fin d'ora - il cyberspazio diventerà il centro di gravità nell'ecologia della
comunicazione. Parlo di "universale" in primo luogo perché una delle idee-forza
della cybercultura è l'interconnessione tra tutti i computer.
Il genere di comunicazione che si stabilisce nella cybercultura è al tempo stesso
reciproco, interattivo e comunitario. Dunque questa comunicazione è universale perché
tende all'universalità, per cui chiunque può virtualmente diventare emittente, non in
direzione di un singolo individuo, ma di tutta una serie di individui. L'estensione
dell'interconnessione manifesta il fatto che l'umanità è una. Questo è
l'"universale".
Chiarito cos'è l'universale resta però ancora poco chiaro cosa significhi l'altra
parte del termine 'universalità senza totalità'. Per capirlo leggiamo un passo di
'Cybercultura', dello stesso Levy: "Quando Noè, vale a dire ognuno di noi, guarda
attraverso l'oblò della sua arca, vede altre arche, a perdita d'occhio, sull'oceano mosso
della comunicazione digitale. E ognuna di queste arche contiene una selezione differente.
Ognuna vuole salvare la diversità. Ognuna vuole trasmettere qualcosa".
Dunque, pur prendendo parte a dinamiche universali, ciascun 'navigatore', in realtà,
rivendica la propria specificità e singolarità, senza pretendere che questa diventi
totalità, cioè diventi una prospettiva valida per tutti. E' quindi proprio questa
rivendicazione del particolare, il fondamento di quella 'universalità senza totalità'
che caratterizza la cultura e la comunicazione del cyberspazio.
"Perché allora parlo di universale senza totalità? Perché quanto più si
estende l'interconnessione, tante più cose diverse ed eterogenee sono messe in
circolazione sulla Rete e non c'è un'istanza che regoli o controlli dal centro, che sia
in grado di avere un controllo globale. Parlo dunque di universalità nel senso che
l'umanità comincia a prendere coscienza di sé, ma questa presa di coscienza non ha un
senso unico e non passa per un punto centrale e non sta sotto un'unica legge, come nella
scienza, in cui, per esempio, la gravitazione universale è la stessa ovunque. Nella
cybercultura ciò che è interessante è la messa in contatto di tutte le differenze e di
tutte le eterogeneità. Perciò parlo di universalità senza totalità". |
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