05/05/99
Futuro
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Spesso l'uomo interroga il futuro ricorrendo a strumenti 'poco scientifici' ma che
possono, secondo alcuni, fornire dei segni, delle tracce di quello che accadrà nel futuro
prossimo e remoto. Insomma strumenti che, apparentemente, soddisfano appieno la innata
esigenza dell'uomo di poter anticipare, di poter conoscere prima il suo destino, per poter
provvedere in tempo al suo avvenire. Pur rispondendo alla stessa esigenza c'è chi,
invece, fa del futuro un oggetto di studio scientifico: in America esiste, dal 1966, una
organizzazione no-profit, la World Future Society, che
raccoglie e diffonde previsioni, anticipazioni e studi sulle tendenze del futuro dell'uomo
e che annualmente riunisce gli esperti che si occupano prorio di Futures Studies, di studi
di futurologia.
"Per stabilire quali ne siano i
fondamenti, io amo stabilire un parallelo fra Futures Studies e storiografia - spiega il
professor Peter Bishop. C'era un
tempo nel quale non si registrava la storia nel modo in cui lo facciamo oggi: le storia
era essenzialmente mito e leggenda, e aveva il fine di insegnare lezioni morali, e di
mantenere la coerenza e coesione della società. Nel passato remoto ci fu comunque il
desiderio di documentare gli eventi e di stabilire un principio di veridicità dei
documenti. Il che costituì un pensiero rivoluzionario, all'epoca. Potremmo trovarci in
una contingenza analoga, oggi, nella quale ci si chiede, dato che il futuro ci interessa
in modo decisivo, ne siamo preoccupati, se ne discute, se non si possa fare qualcosa per
orientarlo. Il gruppo della University of Houston di cui faccio parte ritiene sia
necessario studiare il futuro con la stesso impegno e serietà che si investono nello
studio della storia, utilizzando le tendenze storiche, e una dose salutare di
immaginazione per comprendere non solo ciò che probabilmente avrà luogo, ma anche ciò
che potrebbe avvenire in un futuro veramente nuovo e diverso.
L'origine dei Futures Studies può essere identificata nel momento in cui ci si è
interrogati sul futuro, ossia fin dalla notte dei tempi. Ma in effetti il diciassettesimo
secolo è stato il periodo in cui si è iniziato a porre un'esplicita attenzione sul
futuro in quanto tale, attraverso la scrittura utopica e il pensiero dell'Illuminismo. Con
l'Illuminismo francese si produsse una nuova forma di utopia, ambientata nel futuro.
Lemercier per primo scrisse un volume sull'anno 2200, nel quale, con un tipico ottimismo
illuminista, delineò uno scenario di società resa perfetta dall'applicazione di principi
scientifici".
Un ottimismo, quello di ispirazione illuminista, che è ormai smentito dalla
constatazione che non sempre la
tecnologia è ragione sufficiente di un progresso in positivo. "I grandi obbiettivi
della civiltà, come la cura dei mali, la prosperità, l'apprezzamento della bellezza,
costituiscono gli stessi fini cui dobbiamo orientare il futuro tecnologico - afferma Richard S.Kirby. Anche in questo caso,
è importante definire i termini della questione del "futuro tecnologico".
Esiste un assunto dominante di cui dobbiamo assolutamente sbarazzarci, vale a dire che la
tecnologia investa deterministicamente la nostra vita, quasi fossimo su binari che
inesorabilmente ci condurranno a un futuro tecnologico. Si tratta di un falso assunto, di
una erronea analisi della condizione umana, e della nostra capacità di scelta".
Questo falso assunto a cui si riferisce Richard S.Kirby è, però, un'eredità
che l'uomo contemporaneo riceve dal passato come spiega Joseph Coates: "Uno dei concetti
che hanno segnato l'800, credo nato nel Regno Unito ma adottato nell'Europa occidentale e
negli Stati Uniti, fu quello di progresso, in base al quale si riteneva che gli sviluppi
tecnologici in larga misura portassero grandi benefici alla gente e alla società. Oggi,
la fiducia in quel progresso ha perso parte della propria forza, dato che nelle nazioni
sviluppate all'incremento di prosperità, ai benefici di quelle prime spinte di progresso,
è corrisposta un'attenzione crescente agli elementi negativi, alle inadequatezze, ai
fallimenti, alle difficoltà connesse con il progresso, e la vecchia nozione di progresso
si è resa ormai inattuale". Un altro attento studioso di futurologia, Seshadri
Velamoor, a questo punto ci spiega secondo quale paradigma si dovrebbe impostare uno
studio proficuo del futuro. "Il paradigma attuale affronta il futuro in chiave di
soluzioni, la prima delle quali è quella offerta dalla scienza e dalla tecnologia, che
vengono assunte come risposta definitiva a qualsiasi problema, senza tenere in
considerazione alcun altro fattore. Scienza e tecnologia sono investite di questo ruolo
perché sono razionali, fattuali, prevedibili, e a dispetto di alcuni problemi legati al
loro utilizzo, non bisogna ostacolarne l'incedere. Questo è il primo imperativo; il
secondo è invece quello che pone l'enfasi su come risolvere le questioni di
sovrappopolazione della terra, di gestione delle risorse, di semplificazione
dell'esistenza, che propone un sistema di valori nel quale l'uomo non è opposto alla
natura ma ne è al contrario parte. Vi sono poi discussioni su come rendere inclusive, a
livello politico, sociale e culturale, le soluzioni proposte, in modo che chiunque sia
rappresentato nel rispetto della diversità. Tutte queste soluzioni presuppongono una
prospettiva agonistica, mossa da un elemento interno alla lotta. Chi sostiene
agonisticamente scienza e tecnologia la indica come soluzione a ogni problema, mentre chi
gli si contrappone privilegia elementi opposti. La risposta, a mio avviso, risiede nella
combinazione di questi fattori, non nella loro contrapposizione, e nell'analisi del come e
perché di questa commistione".
La convinzione, quindi, che lo sviluppo tecnologico sia sufficiente garanzia di una
crescita della società verso il meglio è ormai considerata superata da molti
'futurologi'. Eppure resta la tentazione di cedere al fascino che alcune sorprendenti
applicazioni tecnologiche possono esercitare, a tal punto da convincersi che la tecnologia
saprà davvero migliorare il mondo. Ma se tra chi resta vittima di tale 'incanto' ci fosse
anche qualcuno degli studiosi che si occupano della materia 'futuro', esiste forse il
rischio che possano in qualche modo 'orientare' in una direzione piuttosto che in un'altra
non tanto il futuro stesso ma piuttosto il sentire comune, le aspettative comuni, su
quello che accadrà? "Io credo che uno degli imperativi etici di chi si occupa di
studi sul futuro - sostiene lo studioso Jerome Glenn - sia quello di fornire visioni
molteplici del futuro e una molteplicità di riflessioni su di esso, per poi spingere
ciascuno di noi a elaborare una propria riflessione personale. Conosciamo bene i rischi
della massificazione e io credo che la possibilità di elaborare differenti immagini del
futuro sia una grande possibilità che mi rende molto ottimista, anche perché sempre più
gente sta sfruttando questa possibilità. Finché ci saranno molte immagini del futuro,
noi potremo assumere un atteggiamento ecologico nei loro confronti e questo ci consentirà
di vivere una vita migliore. Ma se invece pensiamo in termini semplici, troppo semplici,
al futuro, affermando ad esempio che ci aspetta la fine del mondo, o che avremo una guerra
nucleare, o che i bioterroristi invaderanno gli aeroporti, se pensiamo solo in termini di
futuri monotematici, che tutto sarà buono o cattivo, bene in questo modo faremo un
pessimo servizio a noi stessi e agli altri. Elaborare una molteplicità di visioni porta
la mente a riflettere, a porsi delle domande sulle scelte da compiere, sulle cose da fare.
Elaborate le vostre immagini del futuro, partecipate alla loro costruzione. Gli studiosi
del futuro hanno in questo una grande responsabilità e proprio per questo devono
impegnarsi ad elaborare visioni molteplici del futuro". |
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