23/03/99
Dominio culturale
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Uno dei motivi di resistenza e ostilità istintiva di molti, nei confronti dei
computer, di Internet, della posta elettronica, almeno in Italia, è stato sicuramente la
difficoltà di imbattersi in un mondo che prevalentemente parla in lingua inglese. E
questo è un dato di fatto. Ma oltre a questa egemonia linguistica, c'è anche il fatto
che molti dei prodotti software che invadono il mercato europeo sono americani e
propongono contenuti propri della cultura statunitense. Così sembra proprio che
attraverso questi nuovi media si stia sempre più imponendo un modello culturale
omologante, che è quello anglosassone americano.
Secondo Peppino Ortoleva "la cultura
anglosassone è già dominante nell'universo delle telecomunicazioni - e non da oggi -,
perché ha il fascino che le deriva dal suo presentarsi come una forma, io oserei dire, di
universalismo concreto. Cioè, siamo tutti americani, tutti quanti siamo uguali in alcune
domande di fondo. Negli anni Cinquanta e Sessanta eravamo tutti americani, in nome della
lavatrice, della Coca Cola, cioè del fatto che gli Stati Uniti promettevano ai loro
cittadini - e indirettamente ai cittadini del resto del mondo - consumi, considerati
appetibili da tutti, perché rendevano la vita più veloce, più piacevole, eccetera, oggi
come oggi siamo tutti americani in quanto gli Stati Uniti promettono telecomunicazioni e
una rete senza capi e senza margini, a tutti. [
] Parlare di imperialismo culturale,
a proposito di questa presenza culturale americana, mi sembrerebbe improprio, perché c'è
un elemento di condivisione di questi ideali, magari condivisione mediocre, banale, quello
che vogliamo, da parte di gran parte di quelli che dovrebbero essere i sudditi".
Secondo il professor Ortoleva è ormai acquisito, quindi, un elemento di condivisione che rende la cultura
americana molto meno estranea di quanto potremmo pensare. Eppure resta forte in molti la
convinzione che in realtà il cyberspazio è la porta di ingresso di un'ulteriore forma di
omologazione alla quale dover rispondere cercando nuove risorse nelle culture europee e
non-americane in generale. Sentiamo l'opinione di Furio Colombo:
"Ora è vero che un mondo americano ha dominato il nostro cinema negli ultimi
10-15 anni, e non che per questo siamo diventati americani, non è che per questo si siano
negate le identità nazionali francesi o italiane o spagnole e così via, è vero che la
musica che sentono i nostri ragazzi è prevalentemente musica americana, ma questo non ha
tolto il gusto di sentire i nostri cantautori. Qualcosa di più sottile si nasconde però
nel cyberspazio o potrebbe nascondersi. Questo, se mai, provoca un richiamo: chi ha detto
che, essendo nato americano, il cyberspazio debba rimanere americano? Chi dice che non ci
deve essere una cultura elettronica nazionale o europea o degli altri Continenti, delle
altre parti del Mondo, che entri da protagonista, che faccia sentire la propria voce,
visto che è tipico del software essere facile e costare poco. Noi poi in Italia siamo un
Paese con una sua cultura elettronica e con una sua produzione elettronica. Non resta che
sperare di essere presenti, fra i presenti, invece che essere colonizzati".
Per essere presenti piuttosto che colonizzati è soprattutto necessario saper creare
contenuti propri delle culture nazionali per i diversi supporti: Internet piuttosto che
cd-rom o Tv digitale. E questo è possibile in luoghi specifici come il Parco tecnologico
di Sophia Antipolis, vicino Nizza, fondato da Pierre Laffitte.
"[
]Secondo me la cosa
essenziale, tenuto conto del patrimonio europeo e delle nostre radici culturali profonde,
è non cadere in una condizione di vassallaggio rispetto alla cultura dominante, che
evidentemente nel nostro caso è la cultura americana e direi anzi quella forma degradata
della cultura americana, che è il basic american english. Dunque bisogna assolutamente
lottare perché sia sulle reti, sia nei prodotti della multimedialità si trovino dei
contenuti importanti e di qualità, corrispondenti alle caratteristiche della cultura
francese, italiana, tedesca, della greca, cultura islamica, o di qualsiasi altra, in modo
che quella ricchezza dell'umanità che è la varietà delle culture possa essere in
avvenire preservata. Credo che questo problema meriti lo sforzo di un maggiore impegno sia
da parte degli stati, sia da parte delle collettività locali. So che in Italia certe
collettività locali hanno cominciato già a muoversi: la città di Bologna o la città di
Siena, per esempio, hanno preso molte iniziative in questo senso. Credo che anche la Rai
abbia coscienza che si tratta di una cosa molto importante. Abbiamo dei progetti
multinazionali, ai quali riteniamo che si debbano associare diversi partner". |
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