22/03/99
Comunità virtuali
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Un gruppo di bambini che giocano, un gruppo di adulti intorno ad un tavolo di lavoro,
alcuni ragazzi che ballano insieme in discoteca o fanno festa all'aria aperta. Sono tutte
persone che, in diverso modo, stanno insieme. Insieme concretamente, fisicamente. Persone
che non solo si parlano, ma possono anche guardarsi, toccarsi, spostarsi da un posto
all'altro dell'ambiente. Tutto questo è possibile nel mondo della realtà materiale. In
parte però è possibile ritrovarsi a parlare, a confrontare le proprie idee, le proprie
opinioni anche nel mondo immateriale creato dalle tecnologie di comunicazione digitale.
Nel mondo cosiddetto "virtuale". In questo "altro mondo" le comunità,
i gruppi di persone che si riuniscono per discutere vengono chiamate "comunità
virtuali".
"Le comunità virtuali - secondo Paolo Ferri - isole nella Rete;
nel senso che sono dei luoghi tridimensionali che si aprono all'interno della Rete
telematica e, dove effettivamente come in una piazza, come in un'Agorà come nell'antica
Grecia, la gente si incontra, si trova e stabilisce delle relazioni. Ora, in queste isole
nella Rete le relazioni sono molteplici e, in realtà costituiscono sostanzialmente, per
molti versi, un doppio anche se modificato di tutte le relazioni comunitarie, di tutte le
relazioni sociali e anche affettive e anche, paradossalmente, erotiche che si svolgono
nella vita reale. In queste piazze virtuali si chiacchiera del più e del meno, ci si
seduce e questo nelle chat-line soprattutto, nelle messaggerie on line. Ci sono comunità
virtuali, luoghi nei quali si apprende e ci si scambia sapere; per esempio c'è un grosso
sito americano alla Brown University che si occupa del Decameron e allora, lì c'è chi
studia il Decameron in qualunque parte del mondo, perché questo è l'altro vantaggio
delle comunità virtuali rispetto a quelle reali, che possono essere, diciamo, fruite da
punti molto lontani anche spazialmente".
Il primo ad aver descritto con estrema completezza - e competenza - le comunità virtuali è stato Howard Reinghold, autore di un libro
intitolato appunto "Virtual communities"
"E' questo che io chiamo una comunità virtuale: un gruppo di persone che
comunicano tramite Internet per un certo periodo di tempo. Tante barriere comunicative
vengono meno con questo mezzo di comunicazione. Non si ha una persona reale di fronte e
non la si incontrerà mai. Ecco perché, forse, non si avrà lo stesso senso di
responsabilità che si ha con il vicino di casa. E' anche facile, una volta collegato,
mascherare la propria identità fingendo di essere qualcun altro. Le persone poco gentili
possono fingere di esserlo e viceversa".
Insomma, Reinghold sembra quasi metterci in guardia dal rischio principale legato alle
comunità virtuali: mancando la persona reale è possibile creare, una falsa identità. Marco Villamira, professore di
Psicologia generale, crede che ci possa essere qualcosa di positivo nella comunicazione
virtuale:
"Anche qui, l'identità in Rete che può essere simulata e uno può crearsi mille
identità diverse: l''Uno, Nessuno e Centomila' di Pirandello, può essere da una parte un
qualche cosa di salvifico quasi, terapeutico nel senso che in virtuale uno può trasferire
tutta una serie di identità e con ciò colmare dei vuoti nella sua vita affettiva o
professionale e, può essere invece qualche cosa che dà la stura a delle situazioni
francamente patologiche, anche lì dipende molto dal contesto, cioè non c'è solo
l'individuo e la macchina, ma c'è soprattutto il contesto in cui individuo e macchina si
incontrano e questo è determinante". |
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