18/03/99
Città digitale
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Anche chi non usa il computer, chi non "naviga in Internet" o non comunica
via posta elettronica, è ormai posto di fronte ad una serie di cambiamenti evidenti che
alcuni luoghi di vita quotidiana subiscono in seguito alla diffusione delle nuove
tecnologie della comunicazione. Il telefono, il fax, Internet, ma anche la radio o la
televisione tengono molti degli abitanti della terra costantemente informati o comunque in
continua comunicazione. Se pensiamo, per esempio, alle nostre città, in Italia come nel
resto dell'Europa e del mondo, ci accorgiamo che molte delle comunicazioni tra le persone
si svolgono sempre più spesso su reti di comunicazione a distanza. E lo stesso avviene
per le comunicazioni cosiddette "di servizio": quelle tra amministrazioni e
cittadini, per esempio, o tra aziende e clienti.
In Internet si possono cercare informazioni. Si possono prenotare servizi vari, dai
biglietti aerei alle vacanze estive. E su reti dello stesso tipo viaggiano le informazioni
relative ai nostri conti in banca e alla disponibilità delle nostre carte di credito.
Molti luoghi di comunicazione diventano non-luoghi, piazze e vie fatte di atomi diventano
immateriali e fatte di bit. Ma cosa significa tutto questo? Sta forse venendo meno
l'elemento di aggregazione sociale che la città ha sempre rappresentato, sin dai suoi
albori?
Abbiamo
chiesto il parere di un architetto, William Mitchell, un sociologo, Guido Martinotti, un
filosofo della scienza, Silvano Tagliagambe e un affascinante fotografo americano, Lewis
Baltz. Iniziamo allora da William
Mitchell, autore di un libro intitolato 'La città dei bit'. Ma cos'è questa città
fatta di bit?
"La città dei bit è una città nella quale le interazioni non avvengono
unicamente faccia a faccia ma anche elettronicamente, una città dove le transazioni
commerciali avvengono elettronicamente, dove anche una buona parte delle interazioni
sociali avviene elettronicamente, dove la cultura è supportata dall'elettronica; e allo
stesso modo tutto ciò avviene anche fisicamente. Una cosa non sostituisce l'altra, ma i
due mondi lavorano congiuntamente: il mondo fisico e quello elettronico".
Nella
città dei bit, quindi, convivono due mondi. Quello fatto di materia concreta e quello
immateriale, fatto di bit, cioè di comunicazione trasmessa attraverso le tecnologie
digitali. Alla città si sovrappone sempre più la città digitale. Sentiamo su questo il
parere del sociologo Guido Martinotti:
"La città digitale è sicuramente la città in cui c'è una scissione, che non ha
nulla di drammatico in sé, fra la fisicità delle comunità tradizionali, che erano fatte
appunto di una parte sociale: di norme, di rapporti, di cultura, e una parte, come dicono
i sociologi, "biotica", cioè di "fisicità", di "bios", di
essere vicini, di essere parenti, di toccarsi e sentirsi, eccetera, che è la comunità
come lo è stata per milioni d'anni, fino alla fine del secolo scorso, è una nuova forma
di società, in cui questa fisicità non è che scompaia, ma sta in alcuni luoghi, che
sono scissi dai luoghi di altro tipo di comunicazione. [
] Cioè è una società che
non ha perso la sua fisicità continua a rimanere, ma che per porzioni crescenti del
comportamento, vive in un altro spazio. La chiamiamo "cyberspace", possiamo
chiamarla come vogliamo. Siamo appena agli inizi dell'apprendimento di cosa succederà o
cosa sta succedendo in questa nuova, affascinante società, che non sarà né bella né
brutta, o forse né peggio né meglio della nostra, non lo sappiamo, certamente sarà
diversa da quella a cui noi siamo abituati".
E' chiaro, quindi, che dobbiamo abituarci ad una serie di cambiamenti profondi che
implicano una ridefinizione profonda dello spazio di vita cittadino. Eppure non è detto
che questa trasformazione significhi necessariamente perdita di qualcosa.
"
[
] Pensiamo al fatto che le città della fine dell'Ottocento o dell'inizio del
Novecento avevano dei luoghi, le piazze, i porticati, che erano adibite e finalizzate allo
scambio sociale all'incontro, e favorivano la costruzione di una comunità sociale - ha
detto Tagliagambe in un'intervista
rilasciata a MediaMente. Oggi nelle nostre città spazi di questo genere vengono a
mancare. Le piazze sono sempre più intasate dalle macchine, certamente non sono luoghi di
incontro e di scambio inter-individuale. Da questo punto di vista le piazze virtuali, come
quella che si sta pensando di costituire a Napoli, possono essere luoghi, che per quanto
virtuali, possono favorire l'incontro, lo scambio, il costituirsi di esperienze in comune,
e quindi possono segnare una inversione di tendenza rispetto al progressivo venire meno
del tessuto sociale".
Dunque luoghi di incontri virtuali,
immateriali, che potrebbero potenziare la comunicazione e lo scambio tra individui. Ma
fino a che punto? Sentiamo Lewis Baltz
che, come fotografo, segue il modificarsi dei nostri ambienti urbani molto da vicino.
"La tecnologia digitale potrebbe rendere possibile, per lo meno teoricamente, che
ciascuno sia dovunque in ogni momento. Questo, in un certo senso, si oppone a quanto dice
il post modernismo parlando della scomparsa del soggetto. Al contrario, si può parlare di
moltiplicazione del soggetto. Il soggetto non è più "uno" solo. Il soggetto è
due, è quattro, è molti miliardi". |
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