Da qualche anno la
fantascienza italiana ha acquisito una forte credibilità sul mercato editoriale. Nomi
come Luca Masali, Valerio Evangelisti e Vittorio Curtoni riescono a raggiungere oggi il
grande pubblico italiano e straniero. Eppure la storia della fantascienza nostrana è
fatta di percorsi anche durissimi per la legittimazione di un genere letterario a lungo
considerato di serie B.
Lo dimostra il fatto che, per tutti gli anni Sessanta, molti autori italiani sono stati
costretti ad acquisire uno pseudonimo straniero, perlopiù anglofono, per riuscire a
essere pubblicati.
Con Vittorio
Curtoni, autore dell'importantissima antologia storica "Retrofuturo",
ripercorriamo le tappe principali della fantascienza "made in Italy".
"La fantascienza arriva in Italia nel 1952 con la rivista "Scienza
Fantastica"; nell'ottobre dello stesso anno esce "I romanzi d'Urania". Gli
autori italiani cominciano subito a scrivere ma essendo la produzione essenzialmente
americana, il pubblico si è abituato a vedere nomi stranieri, in particolare anglofoni,
sulle copertine. Gli autori italiani, dunque, sono costretti a ricorrere ad alcuni
sotterfugi, forse ridicoli, ma che diventano l'unica possibilità di pubblicare. Nelle
celebri riviste degli anni '50, "I narratori dell'Alfa Tau" e "I più
grandi scrittori del futuro", gli autori italiani comparivano con degli pseudonimi
stranieri; siamo arrivati a dei casi veramente incredibili, come quello della famosa
collana "I romanzi del cosmo" di Ponzoni che pubblicava romanzi di Louis Navire,
un autore che sembrerebbe francese ma che, in realtà, è fiorentino e si chiama Luigi
Naviglio. In questi libri, addirittura, c'erano i titoli originali e i nomi dei traduttori
che, poi, in genere, erano gli stessi autori. Tutto questo ha rappresentato la regola
negli anni '50 e '60: un asservimento degli autori italiani alla preponderanza e alla
prepotenza, enormi, degli autori stranieri".
Al diffondersi dell'interesse di pubblico nel genere fantascientifico è corrisposta
una proliferazione di riviste, che hanno giocato un ruolo fondamentale nella diffusione
del movimento.
"Le più importanti - dice Curtoni - sono
state "Oltre il cielo" che, nata nel '57, è stata pubblicata fino agli anni
Settanta e "Futuro", nata nel '63. Due anni prima, nel '61 era uscita
"Galassia", la rivista che, poi, negli anni Settanta, sotto la cura mia e di
Gianni Montanari, ha pubblicato moltissimi autori italiani. Nella metà degli anni
Settanta, ho fondato e diretto per tre anni e mezzo la rivista "Robot" che ospitava regolarmente
gli autori italiani; lo stesso feci, qualche anno più tardi, con "Aliens".
Altri titoli che hanno avuto un'importanza storica notevole sono "Galaxy", che
altro non era che l'edizione italiana di una rivista americana e "Gamma" che,
già negli anni '70, dava spazio agli scrittori italiani".
Negli ultimi anni l'editoria fantascientifica è entrata in crisi. "Il fenomeno -
lamenta Curtoni - è evidente: dagli anni '80 in poi le riviste sono totalmente scomparse.
Oggi in edicola sono rimaste solo "Urania" e "I Classici di Urania";
non c'è più nulla e questo, a mio avviso, è un pessimo segno".
Dagli autori ai lettori: all'inizio gli appassionati di fantascienza si riunivano
attorno a una comunità chiamata "fandom"
e fino a non molto tempo fa affrontavano, pur con grande entusiasmo, lunghissimi viaggi su
treni di seconda classe solo per incontrasi qualche ora. Oggi la comunità costituisce un
vitale ambiente che gli stessi autori amano frequentare e gestisce due siti internet tra i
più frequentati d'Italia; e proprio sulla Rete il pubblico trova occasioni per
partecipare a dibattiti e newsgroup sull'argomento.
"La parola "fandom" - spiega Curtoni - deriva dalla locuzione inglese
"fan kingdom", regno dei fan: che poi si costituiscono nelle cosiddette
"fanzine", riviste per gli appassionati. Il primo "fandom" italiano
nasce nel 1965 con tutta una serie di rivistine ciclostilate, come
"L'Aspidistra", "Nuovi Orizzonti" e "Verso le stelle" e si
estingue nel 1968. Ritornerà a vivere negli anni '70 con al suo attivo numerose altre
fanzine, quali "Conus" e "THX 11 38" e di nuovo morirà negli anni '80
e '90". Alcune di queste fanzine, in particolare "Terzo
Millennio" o "Settimo Inchiostro", non hanno nulla da invidiare alle vere
riviste se non, ovviamente, la tiratura e la diffusione. Recentemente, la novità più
positiva in questo campo è rappresentata dal caso di "Carmilla", la ex fanzine che si sta
trasformando in rivista: è già uscito il primo numero. Mi auguro che sia il primo passo
verso la ripresa del mercato delle riviste italiane del settore".
La rivista "Urania" è stata ed è un punto di riferimento fondamentale per
la fantascienza in Italia. Il suo direttore, Giuseppe Lippi, è tuttora un entusiasta
membro del "fandom", intrattenitore degli incontri dei fan e animatore di vivaci
discussioni sui newsgroup della Rete.
"Urania - dice Lippi- è una collana edita da Mondadori ed è l'unica pubblicazione storica
rimasta".
Nata come rivista sperimentale nell'ottobre del 1952, è ormai la più popolare raccolta
di fantascienza esistente in Italia. Esce in edicola due volte al mese e generalmente su
circa 54 numeri l'anno; il numero degli autori italiani è una minoranza, anche se un
tempo la situazione era per loro ancora più sfavorevole. Oggi le cose vanno molto meglio
grazie ad autori come Luca Masali, Valerio Evangelisti e altri che riescono ad essere
pubblicati anche all'estero.Fantascienza
significa immaginazione. Le copertine dei libri di fantascienza sono spesso lo spunto per
i voli di fantasia del lettore. Giuseppe Festino illustra le riviste e le copertine dei
libri di fantascienza da oltre trent'anni. La sua matita ha fatto sognare tantissimi
giovani su incredibili e futuribili tecnologie. E' uno dei rari illustratori che legge
interamente un testo prima di progettarne la copertina.
Nel suo studio di Milano, Festino utilizza ancora matite e colori. Dopo aver letto un
testo, cerca di esprimere le linee fondamentali del racconto, attraverso un disegno
interamente fatto a mano e senza l'ausilio di alcuna tecnologia. "Il disegno
computerizzato - dice - mi sembra possa portare ad un certo appiattimento del risultato
finale e a una minore riconoscibilità del tratto".
di Cristina Bigongiali |
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