Off-line del 5 maggio 1998
Nuovi media e didattica. I nuovi media nelle scuole: perché /2
di Gino Roncaglia
Cosa succede quando dal testo si passa a immagini e suoni? Vediamolo insieme.
Partiamo da un'immagine a due colori, in bianco e nero, come questa.
Ebbene, è abbastanza facile: si traccia sull'immagine una griglia, e si rappresentano con
lo 0 tutti i punti 'vuoti' della griglia, e con l'1 tutti i punti pieni.
Evidentemente, più fitte sono le maglie della griglia, maggiore sarà la risoluzione,
e più fedele risulterà la rappresentazione.
E se l'immagine anziché essere avere solo due colori ne ha di più, come accade per
questa fotografia?
Bene, anche in questo caso tracciamo la nostra griglia, ma ogni
singola celletta della griglia, o pixel, sarà rappresentato non da un singolo bit, da uno
zero o da un uno, ma da più bit. Ad esempio, come abbiamo visto nel caso del codice
ASCII, 8 bit ci danno 256 possibili combinazioni. Anziché a caratteri dell'alfabeto,
potremo associare queste combinazioni a sfumature diverse di colori. Avremo così una
immagine a 256 colori.
E per i suoni? Beh, come sapete un'onda sonora può essere rappresentata attraverso una
funzione, così. E rappresentare attraverso bit, punto per punto, i valori di una funzione
è compito relativamente facile.
Nel suo libro 'Essere digitali' Nicholas Negroponte, uno dei fondatori del celebre
Medialab del MIT, presenta il processo di progressiva conversione dell'informazione in
formato digitale attraverso una metafora piuttosto efficace, quella del passaggio dagli
atomi ai bit. Sentiamo da lui perché, e quale può essere un esempio di questa metafora.
(Nicholas Negroponte) "Quando ho cominciato il mio
libro, ho scoperto che la differenza tra bit e atomi è il modo più semplice di
descrivere il cambiamento. Infatti, capiamo molto ma molto bene il mondo degli atomi,
delle cose, della gente, e roba del genere. E di fatto tutte le nostre leggi sono
costruite attorno agli atomi, anche la legge sui diritti d'autore è costruita attorno
agli atomi. Il mondo dei bit è molto interessante - gli uno e gli zero che costituiscono
il mondo dei bit - perché i bit non hanno peso, non hanno dimensioni, non hanno colore,
viaggiano alla velocità della luce. Ma come esseri umani non possiamo avere esperienza
dei bit; in altre parole, non potrete mai conoscere un bit. I bit devono essere riportati
agli atomi, e gli atomi devono essere riportati ai bit.E così, se vi
chiedete che cosa significhi essere digitale, potete considerare la cosa sia solo in
termini di bit sia solo in termini di atomi. Vi darò un esempio specifico - sto cercando
di usare esempi che non troverete nel libro. Tutti concordano sul fatto che una biblioteca
pubblica sia una buona cosa. E' una cosa buona per la cultura, per la società. Una
biblioteca pubblica funziona perché essa si basa su atomi: dovete portare i vostri atomi
alla biblioteca. Alcuni di noi hanno un po' troppi atomi. Allora prendete il libro in
prestito. Non è solo un altro atomo, ma - e questo è così ovvio che non ci pensiamo mai
- il guaio è che quando prendete in prestito un atomo non ci sono atomi rimanenti. Resta
uno spazio vuoto. Voi portate il libro a casa, lo leggete, diciamo in una settimana, lo
riportate alla biblioteca. Magicamente qualcuno lo prende in prestito di nuovo, e lo
riporta indietro dopo una settimana. Così 52 persone avranno letto il libro in un anno.
Ora invece renderò la biblioteca pubblica digitale. Cambierò solo questo: muterò gli
atomi in bit. Non dovrò trasportare i miei atomi alla biblioteca. E' una cosa così
ovvia, ma non viene mai detta a scuola: è che quando prendete in prestito un bit, c'è
sempre un altro bit che rimane.Così ora 20 milioni di persone possono prendere in
prestito questo libro simultaneamente, senza muoversi di casa, giusto battendo alcuni
tasti, e così abbiamo violato le leggi del copyright... Un giudice diceva che era legale
abbattere alberi per farne polpa, per spargere inchiostro sulla carta, persino usare dei
bambini per recapitare queste carte e gettarle aldilà di una traversa dentro casa vostra.
Ma rendere un bit ecologicamente salubre - nessun bit depositato, nessun bit restituito
che rappresenti la stessa informazione e la trasmetta alla velocità della luce fin nella
casa di qualcuno - infrange la legge. E' davvero molto, ma molto interessante considerare
alcuni eventi in termini di bit e di atomi: questo cambierà il vostro modo di vedere quel
tipo di mondo che è il mondo digitale."
A trasformarsi in bit, abbiamo detto, è informazione che tradizionalmente faceva
ricorso a supporti e formati molto diversi: pensiamo al libro o al giornale nel caso dei
testi, alle fotografie, a una cassetta audio: in tutti questi casi, il digitale diventa il
nuovo linguaggio comune. Si parla, a questo proposito, di convergenza al digitale.
Sappiamo bene che tra i compiti della scuola è quello di educare al reperimento, alla
valutazione critica, all'elaborazione creativa dell'informazione. Nel momento in cui tanta
parte dell'informazione viene convertita o prodotta direttamente in formato digitale, e
viene elaborata e fatta circolare in formato digitale, diventa essenziale che la scuola
abbia la capacità ad educare anche all'uso di informazione in questo formato. Di educare
dunque all'uso di tutti gli strumenti che permettono di gestire e manipolare informazione
in formato digitale, in primo luogo il computer, e di tutti gli strumenti di comunicazione
utilizzati per far circolare informazione in formato digitale, e in primo luogo delle
grandi reti telematiche come Internet.
Ma in che modo va affrontata questa sfida? E con quali obiettivi? L'Ispettore Mario
Fierli è il coordinatore dei progetti di informatizzazione delle scuole portati avanti
dal Ministero della Pubblica Istruzione, e ci accompagnerà in queste puntate di
MediaMente dedicate alla scuola per spiegarci come si sta muovendo il Ministero in questo
settore.
E' chiaro che per riuscire a raggiungere gli obiettivi delineati da Fierli fondamentale
è il ruolo dei docenti.
Per gli insegnanti, lo sappiamo bene, le nuove tecnologie rappresentano una sfida non
sempre facile. Eppure è proprio da loro che possono e devono emergere nuovi modelli
didattici, capaci di utilizzare le nuove tecnologie non come una sorta di medicina
universale per ogni problema di insegnamento, ma in maniera critica e attiva.
Il tipo tradizionale di lezione scolastica, la lezione per eccellenza, è quella che
viene chiamata in genere 'lezione frontale': l'insegnante parla ai ragazzi, è fisicamente
presente in aula, la lezione, e dunque la trasmissione del contenuto didattico, è tutta
affidata alle sue conoscenze, alla sua capacità di farsi comprendere, di suscitare
interesse.
Pensare che le nuove tecnologie propongano un abbandono della lezione frontale sarebbe
profondamente sbagliato: in tutti i casi di didattica in presenza, la comunicazione
diretta, interpersonale, fra insegnante e studenti e la capacità dell'insegnante di
coinvolgere i propri studenti nel dialogo didattico restano fondamentali. E tuttavia
indubbiamente le nuove tecnologie allargano il ventaglio di possibilità che possono
essere affiancate alla lezione frontale, o integrate con essa. L'uso di materiali
multimediali, di software didattico, la costruzione e la strutturazione collaborativa di
un contenuto informativo (ad esempio creando ipertesti, magari nella forma di pagine per
Internet), l'integrazione di didattica a distanza e didattica in presenza, costituiscono
altrettanti esempi di situazioni in cui la lezione frontale viene affiancata da pratiche
didattiche di tipo diverso.
Un aspetto interessante di questo cambiamento, al quale assistiamo del resto ormai già
da diversi anni, è che in campo didattico acquista progressivamente sempre più
importanza un tipo di comunicazione che non è puramente verticale, da un singolo
emittente, l'insegnante, a molti destinatari, gli studenti, ma che è piuttosto
comunicazione circolare, nella quale più voci comprese quelle degli studenti -
sono contemporaneamente e attivamente coinvolte. Un buon insegnante sa che già la stessa
lezione frontale, se è fatta bene, non è mai basata su una comunicazione puramente
verticale, dall'alto in basso, ma è comunque una forma di dialogo. Molto spesso, l'uso
delle nuove tecnologie può consentire di accentuare questo aspetto di dialogo proprio
della comunicazione didattica.
(Franco Torriani)Sulla didattica sono convinto
che la multimedialità fornisca delle possibilità assolutamente impensabili fino a non
molti anni fa, perché, per quanto mi riguarda la didattica deve essere assolutamente
basata sul dialogo. Il dialogo è un qualcosa che la multimedialità, lo sappiamo tutti,
sarà banale, ma, diciamolo, è un qualcosa che viene molto accresciuto da questo,
diciamo, ambiente e sistema integrato, che la multimedialità consente. La grossa
differenza è che, non facciamoci illusioni, questo tipo di possibilità, che la
multimedialità offre, spiazza i tutori, spiazza quindi i docenti e spiazza naturalmente
gli studenti. C'è un adeguamento che va fatto - credo sia abbastanza lungo -, ma il modo
migliore per farlo è in qualche misura realizzare subito - o quasi subito - una sorta di
didattica applicata, in cui effettivamente si usano i media. Questo credo sia l'unico
sistema, cioè passare attraverso la concretezza dell'uso dei media.
Ecco, la conclusione dell'intervento di Torriani, l'idea secondo cui questa rivoluzione
- o evoluzione - della didattica deve passare attraverso la concretezza dell'uso dei
media, vorrebbe essere un po' anche il filo conduttore di queste puntate di MediaMente.
Tenendo presente che ogni medium - e dunque anche i nuovi media - ha le proprie
caratteristiche, il proprio linguaggio. Sappiamo ad esempio che i nuovi media catturano
l'attenzione in modo diverso, sia rispetto alla parola di un'insegnate, sia rispetto alla
lettura di un testo. Evidentemente, per capire in quali casi è utile usare un medium
piuttosto che un altro serve comprendere queste differenze, capire quali sono gli
strumenti che di volta in volta possiamo utilizzare e quali sono i loro linguaggi. |
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