Approfondimento del 5 marzo 1998
Architettura - Città / 1
di Tiziana Alterio
"Il mio nome è wjm@mit.edu e sono un flàneur elettronico. Vivo
nella rete globale . La tastiera è il mio bar e ogni mattina per aprire la posta
elettronica, mi collego alla rete tramite qualsiasi computer si trovi nei dintorni..
Faccio clic su un'icona per aprire la mia inbox e trovo una casella piena di messaggi
provenienti da tutto il mondo. Il rituale si ripete poi durante la giornata ogni volta che
mi è possibile".
Sono le
parole di un architetto americano, William J. Mitchell ma potrebbero essere quelle di una
qualunque persona sia proiettata nel prossimo millennio. Ancora oggi per comunicare
bisogna andare nei luoghi deputati a ciò, un bar, nel centro commerciale, in palestra, in
ufficio.
La rapidissima evoluzione tecnologica sta però sovvertendo e spostando le nostre
nozioni di spazio, di luoghi di incontro, di comunità e quindi di vita urbana. Ci si
chiede allora, come sarà la città del prossimo millennio. Sarà una città stradicata da
ogni punto definito sulla superficie della terra, i suoi luoghi cioè saranno virtuali o
saranno ancora fatte di pietre e di mattoni.
Che ruolo avranno gli architetti , continueranno a modellare e a sistemare gli spazi o
gli sarà richiesto qualcosa di diverso?
Siamo partiti da Napoli dove all'istituto Suor Orsola Benincasa è stata allestita
Fotocittà, una mostra fotografica sul tema della trasformazione della città.
Siamo in uno
spazio della mostra davvero singolare pensato dall'architetto Stefano Boeri. Le immagini
che mi circondano sono 120 fotografie in bianco e nero di Gabriele Basilico. E il nostro
viaggio parte proprio da qui per una ragione precisa : le immagini ci invitano,
infatti, a prendere atto di quanto è accaduto negli ultimi 20 anni nel territorio
italiano.
Ad accompagnarci in questo viaggio, il fotografo Francesco Iodice.
"Questa composizione sembra sottolineare 2 caratteristiche . L'omologazione e il
particolarismo. L'omologazione perche' da Venezia a Reggio Calabria ritroviamo
continuamente ripetute sul territorio un catalogo di pezzi assolutamente simili.
Questi
elementi li troviamo reiterati come se fossero degli oggetti ripetibili dovunque. A
contrapporsi a questa idea dell'omologazione il particolarismo. Ogni manufatto a seconda
del luogo dove viene fatto risente, viene permeato del folklorismo locale cioe' della
capacita' del territorio, della cultura indigena autoctona di renderlo parte del paesaggio
locale".
Questa trasformazione del paesaggio verso quale modello di città ci conduce?
"Quando sentiamo parlare di città virtuale, diffusa o di città cablata, di
città tangenziale o di no luoghi o ancora di parchi a tema mi sembra che venga fuori non
solo la messa in crisi di un pensiero della città storica, della città tradizionale ma
anche del bisogno di capire in qualche modo come questa nuova città si sta trasformando.
Ecco che
allora una sorta di aforisma di Paolo Costantini ci suggerisce non tanto l'osservazione
della modificazione di un paesaggio quanto l'osservazione di un nuovo paesaggio delle
modificazioni cioè in qualche modo è proprio la tipologia, la struttura della
trasformazione moderna che sembra trasformare la città.
In qualche modo la città cablata sembra essere l'unico spazio in grado di modificarsi,
di spiegarsi attraverso la sua cultura multimediale attraverso la fibra ottica, attraverso
l'informatizzazione".
In questa ottica, la trattazione dei temi dello spazio non diventa più un discorso
esclusivo degli architetti o degli urbanisti. I nuovi modelli di città hanno bisogno di
un approccio pluridisciplinare, di un approccio che sarà facilitato anche dalle nuove
tecnologie digitali della comunicazione. L'architetto avrà sempre più bisogno allora di
connettere il suo sapere con quello del geologo, del sociologo o anche del botanico. |