Esperti del 20 gennaio 1998
Artisti digitali /3: Piero Gilardi
di Antonio Caronia
L'arte interattiva ha dei rapporti abbastanza scarsi
ed episodici con il mondo dell'arte "ufficiale", e quindi spesso gli artisti
interattivi sono personaggi poco inseriti in quel mondo, che continua a guardarli con un
certo sospetto. Un'eccezione, quasi unica per l'Italia, ma un po' anche a livello
internazionale, è Piero Gilardi.
Questo artista torinese, che è di una generazione precedente rispetto a molti degli
altri protagonisti dell'esperienza interattiva, ha partecipato infatti negli anni Sessanta
a movimenti come il Nouveau Réalisme, la pop art, l'"arte povera".
Poi, negli anni Ottanta, Gilardi si è interessato del rapporto fra arte e tecnoscienza,
fondando a Parigi nel 1989 l'associazione Ars Technica, insieme con Claude Faure
e Piotr Kovalski. Il suo passaggio alle installazioni interattive, però, non è legato
solo a questa prospettiva culturale, ma anche a una componente cognitiva, etica, in senso
lato politica, che è sempre stata centrale in questo artista.
Guardiamo, per
esempio, la sua installazione Survival, che è del 1995. Qui abbiamo, sullo
schermo, la rappresentazione di una metropoli che si sviluppa autonomamente, guidata da un
automa cellulare, cioè da un programma di vita artificiale. Il visitatore, però, può
intervenire in questo sviluppo spostando su una scacchiera reale sei stalagmiti. Le
stalagmiti, che ricordano alcuni degli oggetti costruiti da Gilardi nel suo periodo pop,
corrispondono ad altrettanti edifici chiave della metropoli virtuale, e il loro movimento
non solo si riflette sullo schermo, ma riconfigura anche i parametri su cui lavora
l'automa cellulare.
Il tema della città è al centro anche dell'ultimo lavoro di Gilardi, terminato da
pochi mesi, che si chiama General Intellect. Qui il gioco che Gilardi propone al
pubblico è ancora più complesso e, direi, scopertamente ecologico e politico.I sei partecipanti infatti, indossando una specie di
giubbotto che funziona da sensore, sono invitati a identificarsi con una particolare
cultura etnica (africana, araba, indocinese, latino-americana, slava, europea
occidentale), e con i loro movimenti possono costruire degli edifici virtuali
corrispondenti alla cultura che hanno scelto. In una seconda fase del gioco, però, essi
possono "ibridare" questi edifici e contemporaneamente, in qualche modo,
ibridare se stessi. Alla fine del viaggio, infatti, verranno investiti nel buio da un
fascio di luce e da una musica etnica che dipende in parte dai movimenti e dalle azioni
precedentemente compiute nello spazio virtuale. Quello che Gilardi vuole suggerire con
questo lavoro, mi pare, è che le nostre scelte individuali mettono in moto un processo
collettivo che non è riducibile alla nostra coscienza, che assume un carattere in una
certa misura oggettivo e autonomo. |
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