Approfondimento del 15 dicembre 1997
Censura o auto-regolamentazione?
Con la bocciatura del Communications Decency Act negli Usa, il rischio censura su
Internet sembra allontanarsi. Ma la partita non è chiusa e vengono studiate forme di
auto-regolamentazione dei contenuti. Secondo alcuni sono anche peggio della censura.
Non tutte le pagine Web sono adatte a tutti i navigatori della rete. Certo, uno dei
punti di forza di Internet è proprio la sua ricchezza di contenuti e la loro grande
diversità. Chiunque con un computer e un modem può pubblicare una pagina Web. E chiunque
può trovare sul Web pagine dedicate a ciò che gli interessa. Ma accanto a questa enorme
libertà, che è uno dei cardini della rivoluzione di Internet e quindi va difesa, c'è
anche l'esigenza di tutelare gli utenti più deboli. Soprattutto i bambini.
Ormai navigare nel World Wide Web è appunto un gioco da bambini. Ma cliccando
cliccando può succedere che i piccoli cybernauti arrivino in siti non proprio adatti a
loro. E non si tratta solo dei siti pornografici. Che dire di quelli gestiti da gruppi
neo-nazisti o razzisti (il Ku Klux Klan per dirne uno)? O dei tanti siti cosiddetti
tasteless, pieni di immagini raccapriccianti? E di quelli dove si può giocare d'azzardo?
Se è giusto che un adulto possa trovare in rete ciò che cerca, sarebbe bene che un
bambino godesse invece di una certa protezione. Già, ma come?
Censura. E' una parola che in genere i cybernauti temono e combattono strenuamente. Ma
entra inevitabilmente in campo ogni volta che si discute su come regolare il contenuto
delle pagine Web.
Nei mesi scorsi, negli Stati Unti, c'è stato un aspro confronto sulla possibilità di
censurare Internet. Alcuni gruppi avevano proposto il cosiddetto Communications Decency
Act, una legge che avrebbe stabilito cosa poteva o non poteva essere pubblicato su una
pagina Web. Ma la Corte Suprema lo ha bocciato, affermando che Internet, al pari della
carta stampata, è tutelato dal Primo Emendamento che garantisce la massima libertà di
espressione.
Dunque il partito anti-censura ha vinto il primo round. Ma la partita non è affatto
conclusa. E per evitare il rischio di nuovi tentativi di censura dall'esterno, molti
fornitori di pagine Web stanno cercando un modo per auto-regolare il loro contenuto.
Così colossi come America On Line, Disney, Microsoft e Netscape sono favorevoli
all'adozione di PICS, cioè Platform for Internet Content Selection: un criterio per
selezionare i contenuti di Internet.
Il sistema si basa
sulla capacità dei programmi di navigazione, come Navigator o Explorer, di filtrare le
pagine Web in base a criteri stabiliti dall'utente. Chiunque pubblichi una pagina dovrebbe
inserire una sorta di etichetta nascosta che ne classifichi il contenuto. Per esempio una
"S" per le pagine di sport o una "X" per quelle riservate agli adulti.
I genitori preoccupati per le navigazioni telematiche dei loro figli potrebbero
programmare i loro browser per leggere solo pagine di un certo tipo e ignorare le altre.
Ma chi stabilisce come classificare le pagine? Vi sono diverse organizzazioni che
offrono questo servizio: Net Shepherd o Cyber Patrol per
esempio. Ma gli standard più comuni sono quelli dello RSAC, il
Recreational Software Advisory Council on the Internet, gestito da un gruppo di produttori
di sofware; e SafeSurf ideato da un gruppo di educatori.
Per auto-classificare le proprie pagine, il gestore
di un sito deve compilare un questionario sui loro contenuti. In base alle risposte viene
assegnata la fatidica etichetta. Secondo SafeSurf, solo 35 mila dei circa 50 milioni di
siti Web hanno adottato qualche sistema di auto-classificazione. Ma il loro numero
potrebbe aumentare, soprattutto se i motori di ricerca cominciassero a ignorare i siti non
classificati.
Una buona soluzione? Non tutti sono d'accordo. Se per esempio a Playboy preferiscono
l'auto-regolamentazione a una censura esterna, al concorrente Penthouse dichiarano che
solo aggiungere le etichette alle oltre 20 mila pagine del loro sito sarebbe un bel
problema.
Ma i più critici sono gli editori dei
giornali on-line. Gruppi del calibro del New York Times, Reuters e Cnn. Per esempio, come
sarebbero stati classificati i servizi sulla guerra in Bosnia, con immagini crude e
violente? E un articolo sul tumore al seno? Non correrebbe il rischio di finire nella
stessa categoria della "Coniglietta del mese"?
E non basta. Anche qui fa capolino il problema della privacy. Imporre a qualcuno di
classificare il proprio sito, o la propria posta elettronica, è come pretendere di
dichiarare il contenuto delle proprie lettere o delle proprie telefonate. Infine, secondo
i critici, il sistema di classificazione sarebbe lungo, farraginoso e finirebbe per
congelare gran parte della libertà e della creatività elettronica. Né più né meno che
l'odiata censura. |