Approfondimento del 3 dicembre 1997
La realtà virtuale contro le fobie
di Antonio Leonardi
Le tecniche della realtà virtuale vengono usate da alcuni psicologi per curare
fobie come la paura dei ragni e le vertigini. Oggi si usa la realtà virtuale soprattutto
per divertimento, per creare videogiochi e filmati che proiettano il giocatore in un
ambiente fantastico elaborato dal computer. Basta indossare il casco e qualunque gesto
diventa possibile, anche volare o cambiare forma.
Ma le tecniche della realtà virtuale servono anche a scopi più seri. Per esempio,
vengono impiegate nei simulatori di volo per addestrare i piloti d'aereo. E forse tra
qualche anno i medici useranno un visore tridimensionale montato su un casco, al posto del
monitor, per seguire le operazioni chirurgiche.
Ma anche gli psicologi si
servono dell'immersione in ambiente virtuale. Se ne servono per curare i pazienti affetti
da fobie, come la paura del vuoto, la claustrofobia o la paura dei ragni. Vediamo di cosa
si tratta.
Leggiamo questa storia, pubblicata qualche mese fa sul sito Internet della rivista
Wired. Miss Muffet soffriva di aracnofobia, una paura ossessiva dei ragni. Puliva la sua
macchina due volte al giorno.
Di notte sigillava le finestre della sua camera col nastro adesivo e infilava
asciugamani sotto la porta, per paura che gli animaletti potessero entrare mentre dormiva.
La scorsa primavera, Miss Muffett è stata sottoposta ad una cura sperimentale, ideata
dallo Human Interface Technology Lab, un centro di ricerca dell'Università di Washington.
Il trattamento prevede l'immersione in un ambiente virtuale che rappresenta una cucina
infestata da ragni. Le immagini generate da un computer sono inviate ai display contenuti
in un casco. La sequenza trasmessa all'occhio destro è leggermente diversa da quella
trasmessa all'occhio sinistro e questo crea l'effetto della tridimensionalità.
Dei sensori nel casco registrano i movimenti della testa del paziente e adeguano la
scena che si vede nei display. Ma c'è di più: dei piccoli ragni di gomma mobili sono
collegati al sistema e sincronizzati alle immagini. Servono a dare al paziente anche la
sensazione tattile della presenza degli animaletti.
Il
trattamento funziona. Il paziente viene esposto via via a scene sempre più spaventose per
lui e la sua mente reagisce abituandosi.
L'epilogo della storia raccontata su Wired è che, dopo un certo numero di sedute con
il casco, le condizioni della signora Muffet sono migliorate. Oggi la donna non è più
ossessionata dalla sua paura e può vivere una vita normale.
La terapia ha successo nella cura dell'aracnofobia, la paura dei ragni, ma viene
applicata per curare anche altre fobie. Per esempio, gli psicologi della Emory University
di Atlanta usano la realtà virtuale dal 1993 per curare chi soffre di vertigini.
Il sistema è lo stesso: il paziente indossa il casco e si trova su un ascensore
panoramico che sale sempre di più, oppure deve attraversare un ponte sospeso su un
precipizio.
Il soggetto sa che si tratta di una finzione e se ne accorge perché la grafica non è
perfetta. Eppure, reagisce alle immagini come se fossero reali: i suoi battiti cardiaci
aumentano, le mani cominciano a sudare e sente di perdere l'equilibrio. Dopo sette sedute
di circa trentacinque minuti l'una, i pazienti si abituano all'altezza e poi, anche nella
vita reale, riescono a dominare la paura del vuoto.
L'idea che sta alla base di questo metodo non è nuova. Gli psicologi, nella terapia
tradizionale delle fobie, chiedono ai pazienti di immaginare le situazioni che li
angosciano. Ma l'imaginazione arriva fino a un certo punto e sicuramente è più efficace
vivere di persona un'esperienza, piuttosto che viverla nella mente.
In certi casi lo psicologo
aiuta il paziente a fare esperienze dirette, come affacciarsi a un balcone per chi soffre
di vertigini, o attraversare una piazza per chi ha paura dei luoghi aperti. Ma non sempre
questo è possibile o facile da realizzare.
Per esempio, procurarsi dei ragni veri per curare chi soffre di aracnofobia può creare
qualche problema. La realtà virtuale offre una soluzione sicura e anche economica,
perché non c'è bisogno di attrezzature fantascientifiche e costose.
Basta un comune personal computer, con i programmi adatti e alcune interfacce, come il
casco e il guanto. Gli ambienti virtuali offrono un vantaggio in più: si può regolare il
livello dell'ansia provocata dalle immagini modificando i parametri dell'animazione e
aumentarlo in modo graduale.
Ma siamo sicuri che l'esposizione prolungata alla realtà virtuale non dia problemi
all'organismo? Di certo, portare il casco ininterrottamente per più di mezz'ora può far
venire il mal di testa a chi è predisposto all'emicrania.
Chi si sottopone al trattamento per la prima volta può sentirsi disorientato dai
movimenti innaturali e perdere l'equilibrio o provare qualcosa di molto simile al mal di
mare. In più, ci sono i problemi alla vista. Normalmente, nella realtà, quando spostiamo
lo sguardo da un oggetto all'altro, cambia la messa a fuoco e cambia anche la convergenza
dei nostri occhi. Ma le immagini proiettate nel casco sono tutte alla stessa distanza,
anche se c'è la sensazione di profondità e di tridimensionalità.
Così, in uno scenario virtuale, quando spostiamo lo sguardo da un oggetto all'altro,
la convergenza degli occhi non cambia, ma rimane fissa per tutto il tempo. E se le
immagini non sono di buona qualità e ben sincronizzate, gli occhi possono essere forzati
ad assumere un allineamento innaturale. Per un po' di tempo, dopo una seduta di realtà
virtuale, è difficile mettere a fuoco gli oggetti, ma gli esperti assicurano che
l'effetto è solo temporaneo e non provoca conseguenze permanenti alla vista.
L'interazione dei movimenti del corpo con la grafica può provocare effetti collaterali
anche al vestibolo, quella parte dell'orecchio interno che ci da il senso dell'equilibrio.
Dopo aver tolto il casco, può rimanere la curiosa sensazione di ruotare su se stessi ogni
volta che si gira la testa. Anche in questo caso, l'effetto è solo temporaneo, ma è bene
saperlo e fare attenzione, stare fermi a riposare per un po'. Non è una buona idea
guidare la macchina quando la percezione dei nostri movimenti è confusa. |