Biblioteca digitale (intervista) RAI Educational

Paul Virilio

Parigi, 20/01/99

Il futuro nello spazio "stereoreale"

SOMMARIO:

  • Secondo Virilio il maggior rischio che si corre con l’eccessivo uso delle nuove tecnologie è la perdita di senso di ciò che è attuale, reale. In sostanza chi usa troppo Internet e in generale chi fa uso del virtuale si viene a trovare nel lungo periodo in una condizione di incertezza fra ciò che esiste in atto, in concreto e ciò che è virtuale (1).
  • Secondo l’intervistato è necessario trovare un equilibrio fra ciò che è reale e ciò che è virtuale ed arrivare ad una “stereo-realtà”, ossia ad un’unità di percezione delle due dimensioni. E’ essenziale che lo spazio attuale e quello virtuale, funzionino come i bassi e gli acuti in stereofonia, o come accade nella stereoscopia, per il fatto che esiste un’unità di percezione del reale (2).
  • Virilio distingue fra tempo locale del passato e tempo globale del presente. La caratteristica del tempo globale è di essere “live”, “in diretta”. Questo è dovuto all’istantaneità del feedback fra la trasmissione e la ricezione (3).
  • Come nel quattrocento fu inventata la prospettiva come modo di vedere il reale, oggi bisogna ricrearne una nuova che Virilio definisce stereoscopica. Il reale va ricostruito tenendo conto delle nuove coordinate spazio-temporali imposte dalla tecnologia (4).
  • Saranno due i modelli di città dominanti. Una reale con un centro e una periferia e una città virtuale parallela fatta di reti informatiche. Ma è ancora prematuro parlare di città virtuale che adesso esiste solo come entità economica e militare ma non ancora politica (5) (6).
  • La città-mondo e la città locale convergeranno in un’ideale sala di regia dove si procederà alla loro gestione. Virilio crede che un controllo registico del flusso di informazioni e non monetario o militare come è adesso possa creare le basi per una democratizzazione della città-mondo virtuale (7).
  • Le tre dimensioni della materia sono la massa, l’energia e l’informazione. Gli architetti moderni finora hanno plasmato la materia, lavorato con l’energia, ma non hanno utilizzato l’informazione. Nel Medioevo si trasmettevano informazioni attraverso le vetrate, le sculture, i tappeti, i mosaici. Ma si trattava di un’informazione fissa, statica. Oggi, invece, stiamo entrando in un’epoca in cui l’informazione è attiva e interattiva, vale a dire che non si tratta soltanto di affreschi sui muri, di sculture nelle nicchie o di vetrate, ma di un luogo di azione e di interazione. Secondo Virilio l’architetto deve applicarsi a questa terza dimensione (8).
  • I “media-building” sono luoghi dove la funzione dell’informazione prevale su quella dell’abitazione. Un esempio di un tale edificio è lo stadio in cui i grandi schermi sono tanto importanti quanto le gradinate, e la ritrasmissione televisiva dell’azione che si svolge nello stadio è una fonte di finanziamento tanto quanto la vendita dei biglietti (9).
  • Viviamo nel mondo dell’accelerazione assoluta. Con i treni a grande velocità, gli aerei supersonici, la realtà è stata accelerata. Si è passati dalla velocità locale e relativa dei trasporti, a quella globale e assoluta delle trasmissioni, ossia a un impiego della velocità della luce nell’agire e nel percepire (10).
  • Dalla velocità assoluta alla immobilità assoluta il passo è breve perché non abbiamo più bisogno di andare incontro alle cose, tutto arriva fino a noi. Virilio teme l’avvento di un senso di claustrofobia dentro questo tipo di mondo che arriva in casa in quanto non si sente più la necessità di esplorarlo realmente (11).
  • La guerra informatica, l’Information Warfare, è uno dei programmi escogitati dal Pentagono per operare una rivoluzione negli affari militari ed è collegata al controllo globale dell’informazione. La guerra dell’informazione è un grave problema che si pone alla democrazia, ed è, secondo Virilio, una delle più grandi minacce che incombono sul mondo contemporaneo (12).
  • L’intervistato spiega quali sono stati i passaggi storici attraverso i quali si è arrivati alla guerra informatica (13).
  • Oggi si può telesentire, teleannusare con l’ausilio di ricettori che poi digitalizzano i segnali inviati dai nostri sensi. Attraverso gli avatar poi siamo in grado di creare dei cloni elettromagnetici di noi stessi, in attesa dei cloni genetici. Secondo Virilio l’informatizzazione dei sensi genera una problematica ontologica enorme di cui è difficile immaginare la portata (14).
  • Per anni c’è stata in Francia, secondo Paul Virilio, una fascistizzazione pubblicitaria di Internet e delle reti informatiche. Ora si comincia finalmente a capire che ci sono cose gravi che succedono su Internet e che la questione di una sua regolamentazione è diventata irrevocabile (15).
  • Secondo Virilio oggi occorre davvero difendere l’uomo contro la tecnologia, le biotecnologie, le ibridazioni, la clonazione che nel lungo periodo possono distruggere l’identità dell’uomo (16).

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INTERVISTA:

Domanda 1
Lei ha parlato del rischio attuale di sdoppiamento della realtà, della confusione fra reale e virtuale. Come si manifesta questa minaccia?

Risposta
E’ la minaccia della perdita di realtà, nel senso che l’impatto delle nuove tecnologie e della realtà virtuale potrebbero assumere un’importanza tale da farci perdere i nostri punti di riferimento nello spazio reale. Proprio come succede con la stereofonia: c’è uno spazio attuale, lo spazio della presenza concreta e c’è uno spazio virtuale. Trovo che queste due dimensioni spaziali interagiscano l’una con l’altra, e che lo spazio virtuale non sia semplicemente come una scena teatrale o un’immagine fantastica, o un sogno. Si tratta di luoghi di azione e di interazione, e per questo è essenziale che questi due spazi, quello attuale e quello virtuale, funzionino come i bassi e gli acuti in stereofonia, per il fatto che esiste un’unità di percezione del reale. Sicché oggi, dinanzi all’affermazione delle nuove tecnologie, il problema è che si rischia di perdere la realtà, di precipitare nel disordine, di arrivare a uno sdoppiamento dell’identità del reale. Di ciò già si vedono segnali anticipatori, quali la diffusione di certe malattie come il cosiddetto I.A.D., Internet Addiction Disorder, stato confusionale da Internet-dipendenza. In sostanza, le persone che usano troppo spesso le tecnologie virtuali perdono il senso del reale, ossia si ritrovano in una condizione di incertezza in rapporto a ciò che esiste in atto, e ciò che è virtuale. E’ uno stato di squilibrio, e la minaccia della perdita della realtà è davvero una minaccia grave, tanto che questa estate in un ospedale di Parigi alcuni psichiatri e psicanalisti si sono riuniti per lavorare insieme a questo tipo di disturbo legato alle nuove tecnologie.

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Domanda 2
Lei ha detto che viviamo in una dimensione di stereo-realtà. Ci può spiegare meglio questo concetto?

Risposta
Si tratta di una prospettiva possibile ma alla quale non siamo ancora giunti. Al momento sussiste però una situazione di squilibrio. Per millenni e in ogni paese del mondo la storia si è costruita all’interno dello spazio attuale, che è quello della geografia, della realtà materiale, e della prospettiva quattrocentesca. Attualmente queste nuove tecnologie hanno acquisito una pregnanza, un potere di suggestione e di condizionamento che sono destinate a modificare i rapporti sociali e politici. Lo si vede nelle vicende che hanno riguardato recentemente Bill Clinton, la principessa Diana e tanti altri personaggi. Perciò ritengo importante riuscire a mettere in equilibrio le due cose, ossia lavorare per realizzare questa dimensione stereo in cui sarà possibile percepire una realtà aumentata, cioè una realtà unificata in cui tutto sarà esito dei due spazi. E’ noto che se vedo la sua immagine in rilievo è perché ho due occhi, se sento la sua voce è perché ho due orecchi, e in tal modo si crea un effetto di campo, di rilievo sonoro e uno di rilievo visivo, una stereofonia e una stereoscopia. Ora, qui non si tratta soltanto di stereofonia e stereoscopia, ma del rapporto con la realtà: con la realtà locale, che è lo spazio concreto in cui mi trovo, e quella globale, nella quale il tempo reale mi consente di comunicare con il mondo intero, con città lontane. Dobbiamo mirare a un equilibrio fra le due dimensioni!

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Domanda 3
Viviamo insomma in una condizione "live", "in diretta": è così che lei ha sempre concepito il tempo globale?

Risposta
Certamente. Le società antiche vivevano in un tempo locale, il tempo passato, presente e futuro, il futuro della cronologia. Era il tempo locale della geografia, delle città, e così via. Oggi cominciamo a vivere nel tempo mondiale, nel tempo globale, e questo non è altro che il tempo "live", è l’istantaneità del feedback fra la trasmissione e la ricezione che favorisce l’interattività e l’interazione. In questo ambito resta da compiere un’opera che può essere paragonata a quella del Brunelleschi, dell’ Alberti, di Piero della Francesca, al fine di costruire una prospettiva stereoscopica che non è più quella del Quattrocento, in quanto si fonda sul tempo reale, sullo spazio-tempo reale nel quale l’azione comincia ad avere luogo. Prendiamo ad esempio l’azione economica che si basa sull’interconnessione delle borse mondiali: ne vediamo gli effetti nelle crisi che attualmente si rincorrono in giro per il mondo, e che davvero non possono venire regolate perché neppure gli stessi agenti di borsa sono in grado di controllare il feedback dei valori. Lo stesso dicasi per l’ambito militare, con il chiaro esempio della crisi irachena; o ancora, in campo sociale, con tutti i problemi dello stato nazionale che ha rimesso in questione la cosiddetta mondializzazione; a livello di imprese e con la delocalizzazione della produzione; e gli esempi potrebbero continuare.

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Domanda 4
Ma se il tempo si riduce e riduce la vita, i problemi dello spazio diventano problemi quotidiani, poiché siamo comunque obbligati a vivere un’esistenza corporea. In che modo allora è possibile gestire lo spazio in una dimensione temporale "live", come lei l’ha definita? In sostanza, come si può coniugare e trovare un equilibrio fra la necessità di vivere nel corpo e nella realtà, e questa nuova dimensione virtuale?

Risposta
I pittori e gli architetti del Rinascimento non hanno creato opere, bensì un rapporto con la nuova realtà. La prospettiva è una nuova relazione con il reale: in altri termini, personaggi come Alberti, e altri artisti italiani a Roma, prima di costruire edifici e prima che Brunelleschi realizzasse i suoi capolavori, hanno tentato con la prospettiva di ricostruire la realtà matematicamente, attraverso la geometria. Oggi occorre accingersi alla medesima impresa, ma al livello di prospettiva stereoscopica, vale a dire di una prospettiva che sia al contempo quella dello spazio reale, come nel Quattrocento, e d’altro canto quella del tempo reale, del "live". Bisogna fare in modo che le due cose convergano per dar vita a una prospettiva stereoscopica, e in quel momento potremo ritrovarci nella mondializzazione, così come nella realtà.

Il reale non è mai dato, ma viene sempre costruito. C’è a Parigi una grande libreria che venne aperta negli anni Cinquanta o Sessanta da un uomo che di professione faceva l’etnologo. Ora, per inaugurare la sua libreria, accanto alla chiesa di Saint-Germain des Pres, - era il periodo degli esistenzialisti - questo signore portò dall’Amazzonia due Indios appena usciti dalla foresta profonda, cioè dallo stadio neolitico della civiltà. Così, per celebrare l’inaugurazione e la pubblicazione dei suoi libri di etnologia, fece venire questi capi-tribù, due ragazzotti muscolosi. Quando li mise dinanzi alla prospettiva del boulevard Saint-Germain, con i suoi palazzi verticali, quelli vomitarono, proprio in senso fisico, e quando li fece salire su per quegli alti edifici i due furono presi da una vertigine spaventosa. Ciò accadde perché si trattava di un reale che non conoscevano: per loro la realtà era il sottobosco, l’ombra attraversata dai raggi di luce, i rumori, gli odori. Con il reale essi avevano un rapporto che non aveva niente a che vedere con quello costruito dal Rinascimento e dai "prospettivisti". A Parigi i due Indios ebbero reazioni fisiche di vomito, apertamente, e fu necessario bendare loro gli occhi. Il senso della realtà è dunque qualcosa che si apprende, che si eredita, e che poi si modifica, e così via. Oggi siamo in una fase di modificazione della realtà, che viene accelerata per mezzo delle tecnologie e al contempo incrementata. Bisognerà costruire quel tipo di realtà, e gli architetti sono in ottime condizioni per farlo. Ma prima di costruire le case sarà necessario che ricostruiscano il reale insieme ad altri specialisti, perché evidentemente non è compito dei soli architetti.

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Domanda 5
E lei pensa che sarà ancora la città la scena entro cui si realizzerà questa commistione di reale e virtuale? Oppure sarà la volta di qualche altra entità?

Risposta
Ci saranno due città coesistenti: la città reale col suo centro, la sua periferia e i tremendi problemi che conosciamo nel presente, e la città virtuale, a essa coesistente, di cui abbiamo già un esempio nei sistemi di interconnessione, nelle le regie e nelle reti tipo Cnn. Due città, dunque: una concreta, e una virtuale che esercita un’enorme influenza su quella reale.

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Domanda 6
Lei pensa che la virtualità e tutte le nuove tecnologie possano contribuire a risolvere i problemi sociali attuali della città reale, o c’è una incompatibilità al riguardo, come fossero due realtà parallele?

Risposta
E’ troppo presto per parlare di città virtuali. La città virtuale è un progetto, la cui natura non è ancora politica ma economica e militare. Direi pertanto che è ancora decisamente troppo presto, e che dobbiamo continuare a occuparci di architettura, poiché la questione urbana è talmente complessa in relazione alla mondializzazione che non si può dire nulla al riguardo. Si può dire piuttosto che la città-mondo, con la sua iperdirezionalità che è dappertutto e in nessun luogo, e la città locale dovranno anch’esse coesistere nella stereorealtà, e non semplicemente nei calcoli delle borse o nelle situazioni di telesorveglianza di polizia.

Se si intende progredire verso la visione politica di una simile città, bisognerà lavorare parecchio agli incidenti, ai disordini, in altre parole, al dramma della città contemporanea. Occorre tentare di comprendere ciò che sta per accadere, e non saranno certo gli informatici a risolvere questi problemi.

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Domanda 7
Vorrei chiederle di parlarci del mito della caverna di Platone, con il quale lei stabilisce sempre un parallelo in relazione al mondo virtuale, e inoltre di darci un’idea dei rischi corsi da Prometeo, o meglio del mito di Prometeo come efficace metafora dell’uomo tecnologico che crede di essere onnipotente grazie all’uso delle macchine.

Risposta
Non starò a descrivere di nuovo la caverna di Platone; piuttosto, potrei parlare della regia video. Esiste un luogo di prefigurazione, - in verità ne esistono molti - ma ce n’è uno in cui si prefigura lo spazio "stereoreale", ed è la regia: la regia dell’immagine, la regia del suono, qualunque sia il suo ambito, dalla televisione alla telesorveglianza, perché qui si tratta di visione, non di trasmissioni televisive. Lo stesso dicasi per le postazioni di controllo della guerra elettronica, basti pensare alla sala comandi dell’Enterprise, la portaerei che fungeva da torre di controllo nell’ultima operazione dell’aviazione statunitense: qui appare evidente quanto questa regia sia responsabile del successo o del fallimento di un’operazione militare. Questo significa che in quel luogo il mondo è tele-presente, è presente attraverso chi siede alla consolle. Ma al contempo si può destinare un qualsiasi luogo a questa funzione di snodo. In questo snodo convergono la città-mondo e la città locale, e qui si procederà alla loro gestione. Io credo che una simile gestione, riferita non più a flussi monetari ma a flussi di informazione, sia destinata a diventare un fatto democratico, cosa che oggi non succede poiché il fenomeno è ancora soltanto militare o di polizia o borsistico e non di natura democratica. Esiste perciò il grave rischio di una tirannide della cibernetica e del controllo, ed è un rischio oggi realmente esistente. Cito ad esempio la National Security Agency, l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale, di cui non si sente mai parlare. Si parla di Cia, di Fbi, ma non della Nsa, la quale invece tiene sotto controllo il mondo intero, fa uso di satelliti spia e di video-sorveglianza. E’ una specie di occhio di Dio: siamo dunque ben lontani da una concezione democratica della città virtuale.

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Domanda 8
Lei ha parlato di una realtà composta di materia, massa, energia e informazione. Cosa intende dire?

Risposta
La materia ha tre dimensioni, non nel senso di superficie o di volume, o meglio non solo in questo senso. In fisica, le tre dimensioni della materia sono la massa, l’energia e l’informazione. Ora, gli architetti hanno plasmato la massa fin dalla notte dei tempi, con le costruzioni megalitiche, le piramidi, e tutta la storia dell’architettura. Hanno applicato l’idraulica e la balistica, e perciò nel caso tanto del ponte del Gard quanto degli acquedotti romani e delle fortezze, hanno lavorato con l’energia, ad esempio l’energia dell’acqua con tutti i problemi connessi alla capillarità e al deflusso, fino a Galileo, ai piani inclinati eccetera. Allo stesso modo hanno impiegato la balistica, poi naturalmente l’elettricità, ad esempio per affrontare problemi di climatizzazione, e infine l’energia come la si conosce oggi. Come ho detto, la terza dimensione dopo la massa e l’energia è l’informazione, che l’architettura non ha ancora realmente adoperato. Se prendiamo una cattedrale, essa costituisce un mezzo di comunicazione di massa. Nel Medioevo si trasmettevano informazioni attraverso le sue vetrate, le sculture, i tappeti, i mosaici come quello di Ravenna. Ma si tratta di un’informazione fissa, statica, perenne, che non si rinnova se non per opera del linguaggio e dei canti. Oggi, invece, stiamo entrando in un’epoca in cui l’informazione è attiva e interattiva, vale a dire che non si tratta soltanto di affreschi sui muri, di sculture nelle nicchie o di vetrate, ma di un luogo di azione e di interazione. Perciò l’architetto deve applicarsi a questa terza dimensione; resta sempre la massa, in quanto l’edificio ha una sua densità, resta l’energia in quanto esso è climatizzato e illuminato artificialmente, ma ormai l’informazione è interattiva, non più passiva come quella degli affreschi e delle sculture. Io credo che tale discorso non sia ancora stato recepito dagli architetti, ed è questo, che gli architetti intendono quando dicono: "l’architettura ha molto in comune col cinema".

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Domanda 9
Ci vuole spiegare il concetto di "media-building" di palazzo mediale a proposito della necessità che gli edifici si trasformino in mass media?

Risposta
L’architettura è fondamentalmente legata all’idea di alloggio, ossia alla funzione dell’abitare. Ora, la funzione abitativa è stata soppiantata oggigiorno da quella dell’informazione, come dimostrano i "media-building", numerosissimi a Shanghai, la città dove se ne contano di più, e poi c’è Time Square, una piazza che si può già chiamare un "media-building". Sono luoghi dove la funzione dell’informazione prevale su quella dell’abitazione. Perché avviene questo? Perché in questo modo la redditività è garantita. Ad esempio, il costo di un ufficio o di un appartamento o la redditività di un edificio non hanno nulla a che vedere con i costi della ritrasmissione di programmi televisivi. Il costo dell’informazione è così alto che per mezzo di essa si può rendere redditizio un fabbricato molto più in fretta che tramite l’abitazione. Siamo dunque di fronte a un nuovo profilo dell’architettura, ovvero quello dell’affissione. L’architettura deve alloggiare meno persone e funzioni che informazione, ma si tratta di un’informazione di dimensioni urbane, non è più soltanto il piccolo schermo o il telefono portatile. E’ un’informazione collettiva, e io credo che qui stia il germe di una trasformazione dell’architettura e della città, di cui si ha un esempio in un "media-building" di cui nessuno parla e che è veramente stereoreale: lo stadio. Lo Stade de France, dove si è giocata la finale dei mondiali di calcio, è un "media-building" in cui i grandi schermi sono tanto importanti quanto le gradinate, e la ritrasmissione televisiva dell’azione che si svolge nello stadio stesso è una fonte di finanziamento tanto quanto la vendita dei biglietti. Ecco dunque una funzione di informazione che sta per sopravanzare quella di abitazione, e al limite non ci sarà più pubblico nello stadio quando si arriverà a diffondere le immagini nel mondo intero. Qui insomma si fanno i giochi, e così è il "media-building": un edificio che alloggia preferibilmente informazione piuttosto che abitazione, di qualunque tipo questa sia.

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Domanda 10
Quali sono, secondo lei, le forze che alimenteranno l’accelerazione della realtà nel mondo di oggi?

Risposta
"Forza" è un termine molto importante. Direi che non si può parlare di economia politica senza parlare di un’economia politica della velocità. Esiste un’economia politica della ricchezza che è stata innovata dai fisiocratici, nel senso che l’economia è stata messa in rapporto con il corpo e il benessere. Non dimentichiamocelo, è sorprendente notare che sono stati i fisiocratici a trasformare l’economia politica della ricchezza, come si intende oggi l’economia. Ora, con l’accelerazione delle tecnologie propria del ventesimo secolo - ripensiamo a Marinetti, ai Futuristi - è evidente che c’è bisogno di un’economia politica della velocità. Il nostro è il mondo dell’accelerazione assoluta; le società antiche acceleravano in modo relativo, mettevano quattro cavalli al posto di due, aggiungevano vele alle navi, e così via. A partire dall’invenzione della macchina a vapore, dell’aviazione, dei treni a grande velocità, degli aerei supersonici, la realtà è stata accelerata. Non è solo la storia, ma la stessa realtà storica ad aver subito un’accelerazione. Come mai? Perché si è passati dalla velocità locale e relativa dei trasporti, a quella globale e assoluta delle trasmissioni, ossia a un impiego della velocità della luce nell’agire e nel percepire. E’ perciò evidente che in futuro non si potrà dar vita a una politica mondiale, e lo dimostrano già i "crack" delle borse che fanno il giro del pianeta. Non si è capaci di gestire l’interattività del mercato, e di qui derivano squilibri, effetti di feedback che non si riesce a controllare, neanche nei mercati finanziari, per non parlare di altre dimensioni. Per questo credo che il nostro mondo ormai al tramonto affidi al ventunesimo secolo il problema di un’economia politica della velocità.

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Domanda 11
Una relazione assoluta può però divenire un’immobilità assoluta, un’incapacità assoluta di partecipare al dialogo estremo. Cosa ne pensa?

Risposta
Ecco, è evidente che la realizzazione della velocità assoluta significhi l’inerzia assoluta, perché non abbiamo più bisogno di andare incontro alle cose, tutto arriva fino a noi. E’ ciò che ho chiamato l’arrivo generalizzato: in passato l’arrivo era relativizzato dalla durata dello spostamento, dai mezzi di trasporto; da una parte c’era Marco Polo, e dall’altra le due ore di volo del Concorde per raggiungere New York. Oggi, invece, noi mettiamo in opera la velocità assoluta, la velocità limite, e così non abbiamo più bisogno di spostarci, tutto ci arriva, l’arrivo è generalizzato, non è più circoscritto dalla durata di un trasporto. E’ generalizzato dal "live", dalla cosiddetta "diretta". L’idea della fissità su scala mondiale è già oggi una delle minacce ecologiche. Com’è noto, ci sono due tipi di ecologie: l’una si occupa delle sostanze, e l’altra delle distanze. L’ecologia delle sostanze tratta l’inquinamento della fauna, della flora, eccetera; l’ecologia delle distanze affronta il problema dell’inquinamento delle distanze ad opera di questa velocità assoluta che ci risparmia lo spostamento, ma che ci paralizza e ci mette in una situazione di inerzia, un’inerzia definitiva. Temo per l’avvenire il diffondersi di un sentimento di reclusione nel mondo: non più in una prigione, come intendeva Michel Foucault quando parlava di campi di reclusione, ma nel mondo stesso, ossia di un mondo talmente accessibile, talmente déjà-vu, talmente già alla portata di tutti che i viaggi non formeranno più la gioventù, e si avvertirà una sorta di claustrofobia dentro a questo mondo. A cominciare da un’accelerazione, che potrebbe essere quella degli aerei supersonici o quella delle telecomunicazioni "in diretta", temo l’avvento di un senso di claustrofobia globale, e come ho detto questa è una delle grandi questioni ecologiche che riguardano le future generazioni. La terra è troppo piccola per la velocità assoluta.

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Domanda 12
Lei ha parlato di una guerra informatica già in atto. Potrebbe spiegarci in cosa essa consiste e quali sono i principali protagonisti?

Risposta
Anzitutto, la guerra informatica, l’Information Warfare, è uno dei programmi escogitati dal Pentagono per operare una rivoluzione negli affari militari. Non si tratta più di guerra elettronica: l’Electronic Warfare è la guerra del Vietnam, o la guerra del Golfo, cioè l’impiego di missili, armi sofisticatissime, satelliti. Oggi abbiamo ormai a che fare con la guerra informatica, una guerra emergente in quanto non esiste ancora, ma è in gestazione, ed è collegata al controllo globale dell’informazione. Di qui il riferimento alla National Security Agency e alla sua grande rete che sorveglia e ascolta tutto il mondo già da molto tempo. Siamo dunque dinanzi a un fenomeno mai visto prima. Lo spionaggio è vecchio come la guerra: la guerra è distruzione, attacco, difesa e soprattutto spionaggio, perché se si riesce a sapere tutto del nemico, questi non ha alcuna possibilità di vincere. Come nel pugilato: se sai in che momento esattamente il tuo avversario sferrerà il suo destro, puoi parare il colpo. La guerra dell’informazione è un grave problema che si pone alla democrazia, ed è una delle più grandi minacce che incombono sul mondo contemporaneo: è la minaccia di un controllo orwelliano dell’informatica. Se ne hanno già esempi con gli archivi intercomunicanti, e c’è stata in passato una specie di preparazione, di prova generale, con l’operazione Cattedrale dell’Interpol finalizzata all’arresto dei pedofili: in ventiquattr’ore, in tutto il mondo nel medesimo istante, all’ora X, grazie a Internet e a certi programmi di delazione, sono stati effettuati arresti in tutto il mondo, e si è creata una polizia cibernetica. Non voglio certo difendere i pedofili, per me non c’è niente di peggio, ma voglio dire: attenzione, abbiamo innescato un sistema perverso di informazione, quello che utilizza tutte le tecnologie, ivi comprese quelle della delazione, per agire allo stesso momento su scala mondiale. E’ peggio della guerra del Golfo, perché questa ha un fronte, ha i Desert storm, per non parlare dei missili. Desert storm è stata ancora una guerra elettronica, e anche se la Cnn ha già cominciato a raccontarne vari aspetti attraverso la televisione, si tratta sempre di informazioni incentrate sull’economia, la salute, la memoria. E’ insomma una guerra biblica. La guerra informatica, invece, è una guerra babelica, una baraonda totale e una confusione mai vista prima. Le faccio un esempio: il problema del Bug dell’anno 2000 nei computer può valere come prefigurazione di una catastrofe dell’informatica, ovvero di un crollo del sistema, di un cataclisma che si verifica con le modalità della cibernetica. Tornerò fra poco su questo incidente. La storia del Titanic può sembrare una burla: il grande transatlantico cola a picco proprio perché galleggia. Ha tutta l’aria di essere un’aberrazione, in quanto implica che responsabile dell’incidente sia l’elemento stesso su cui il Titanic si muove, e non la nave. La nave affonda, ma resta una nave: è il rapporto fra essa e l’acqua che determina il naufragio. Lo stesso dicasi per gli aerei: un aereo precipita proprio perché vola. Ora, la cibernetica è l’elemento dell’informatica e dell’informazione via Internet, e dunque al suo interno avremo incidenti cibernetici. Capisce? Credo, pertanto, che non si sia ancora ben compreso in cosa possa consistere un incidente cibernetico, ma lo vedremo con il Bug, ed è evidente che in quell’occasione si avrà un primo assaggio di ciò che potrà essere la guerra dell’informatica, cioè una guerra cibernetica che riguarderà l’informatica, ma allo stesso tempo gli ascensori, i conti in banca, eccetera. E’ un avvenimento senza precedenti. Io ho studiato a lungo la realtà della guerra, e ho pubblicato numerosi saggi a proposito: è un evento senza punti di riferimento, e per questo bisogna che lassù, a livello di governi democratici, si presti la dovuta attenzione a questa enorme minaccia. Per concludere, le citerò una frase di Goebbles: "Chi sa tutto non ha paura di niente, guardiamoci da chi vuole sapere tutto".

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Domanda 13
Quali sono, a suo avviso, le implicazioni politiche di questa guerra informatica?

Risposta
In passato sono esistiti due tipi di guerra: la guerra di ostruzione, quella cioè in cui dominavano le armi di impedimento in cui le mura di cinta erano più potenti delle frecce e impedivano alla cavalleria di fare irruzione in città, e simile funzione svolgevano altre armi di ostruzione come lo scudo, la testuggine, i bastioni cittadini che circondavano tutti gli agglomerati urbani. Queste armi di ostruzione erano più potenti di quelle di distruzione. Poi, un giorno, qualcuno ha inventato il cannone, che ha fatto saltare in aria le armi di ostruzione, e si è passati dalla guerra di assedio, giacché le armi di ostruzione non erano più sufficienti per resistere alle armi di distruzione dell’artiglieria. Questa supremazia delle armi di distruzione è perdurata fino alla bomba atomica. Si sono costruiti proiettili sempre più grandi, bombe sempre più pesanti, e infine si è inventata una bomba termonucleare talmente devastante da non potersene servire. Sicché non ci si poteva fare la guerra, e per quarant’anni ha dominato il principio della dissuasione, vale a dire la non-guerra, né pace né guerra.

E’ in quel periodo che si è sviluppata l’informatica. Visto che non si poteva fare la guerra, si sono lanciati in orbita i satelliti. Perché? Perché la dissuasione non è possibile senza informazione, è strettamente legata ad essa e alla sua negazione. La dissuasione è un divieto di sapere, e al contempo un’informazione. Il discorso era posto in questi termini: "io ti dico che ho una bomba, ti dimostro che può esplodere, vedi Hiroshima e Nagasaki". Visto che queste armi non si possono più impiegare, ebbene, si ricorre all’arma dell’informazione e della comunicazione, e cosa ne nascerà? Arpanet, vale a dire Internet: giacché esiste la bomba atomica, si procede a inventare l’embrione della bomba informatica, ossia di una potenza dell’informazione che basti da sola a destabilizzare il nemico. Siamo perciò davvero entrati nella terza età della guerra: dopo la supremazia delle armi di ostruzione, ossia la guerra-assedio, la guerra statica con una cavalleria che non prende mai il sopravvento, viene la guerra di movimento, stavolta basata sulla cavalleria e l’artiglieria, io stesso sono un artigliere, che dura fino alla bomba atomica; qui ci si arresta perché si rischia di far esplodere l’intero pianeta, e così si entra nell’era della guerra di comunicazione elettronica, con il warfare, i missili telecomandati, i missili crociera, eccetera. E così prende il via, nell’informatica o nel warfare, la tentazione di arrivare a un sapere totale di cui al momento la Nsa rappresenta il luogo specifico. Lei avrà notato che non se ne parla mai, ma vada ad esempio a vedere il film "Nemico Pubblico", che arriva alquanto in ritardo rispetto alla realtà, oppure "Snake eye", altro film di Brian de Palma: sono entrambi film popolari, ma molto istruttivi.

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Domanda 14
Potrebbe descrivere in che modo si evolve attualmente il concetto della dimensione spazio-temporale nelle situazioni della vita virtuale?

Risposta
E’ una domanda da un milione di dollari! E’ il problema della clonazione. Tutti i sensi vengono trasferiti a dei ricettori. Oggi si può televedere con la televisione, teleascoltare con la radio, con gli audiovisivi, e si può telesentire con il teletatto, ossia il data-glove, il guanto elettronico, o il data-suit, l’abito elettronico, un costume che consente di telesentire, non soltanto teletoccando, ma anche teleannusando grazie a dei ricettori olfattivi che consentono di digitalizzare non soltanto la vista, l’udito, il tatto, ma anche l’olfatto. L’ultimo senso è quello del gusto, e qui la cosa non funziona, perché non si può digitalizzare il Bordeaux e bere un Bordeaux digitale. Siamo dunque di fronte a uno sdoppiamento dell’esistenza al mondo, c’è una presenza concreta e una virtuale, e c’è persino la telesessualità, che è già praticata grazie a dei sensori sistemati appropriatamente. Da una parte, insomma, abbiamo la realtà fisica, un uomo e una donna in carne e ossa, e poi, accanto a loro, un avatar: un tempo si diceva un clone, ma ormai si parla di avatar per non confonderlo con la biotecnologia. L’avatar è un essere virtuale che ci rappresenta, è il nostro doppione, una copia elettromagnetica, la quale però può agire in maniera terribile o ludica nell’una dimensione o nell’altra. Abbiamo dunque effettivamente uno sdoppiamento del corpo: il corpo concreto, di carne e ossa, e il corpo virtuale, l’avatar, con la possibilità di teletrasferire quest’ultimo da un livello all’altro. Allo stesso modo, da una lato esiste la regia video per il suono e l’immagine, e dall’altro ci sono già portoni virtuali attraverso cui ricevere lo spettro dell’avatar del proprio visitatore. Qualcuno suona a casa vostra, voi siete in una specie di sala di ingresso, sapete che è arrivato uno spettro, l’avatar, e sapete di chi si tratta, ad esempio è la vostra fidanzata; indossate l’abito digitale e vi fate avanti col vostro videocasco, entrate nel portone e vedete l’avatar della vostra ragazza, potete abbracciarla, stringerle la mano, vederla, parlarle, ascoltarla, sentire il suo profumo digitalizzato, anche se non potete assaggiare il profumo, in quanto con il gusto la cosa non funziona. Quel che intendo dire è che questo sdoppiamento fa sì che se prima si inventavano finestre virtuali, ossia i grandi schermi televisivi e le finestre virtuali della telesorveglianza, oggi si inventano porte virtuali per il telespostamento degli avatar e degli spettri elettromagnetici che rappresentano i nostri doppioni, i nostri cloni elettromagnetici, in attesa dei cloni genetici. Qui si genera una problematica ontologica enorme, che non voglio affrontare perché è davvero una domanda da un miliardo di dollari.

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Domanda 15
La rivoluzione informatica comincia a mostrare i suoi limiti in rapporto alle grandi promesse iniziali?

Risposta
Sì, è certo che dal 1995 in poi siamo stati rimpinzati di propaganda pubblicitaria, per il motivo che Bill Gates e altri, la Microsoft, la Sun Microsystems e poi altri ancora, volendo lanciare prodotti come Windows su scala mondiale hanno avuto bisogno di una colossale macchina di informazione pubblicitaria. Perciò ci hanno ingozzati di pubblicità. Ora, però, credo che si cominci a uscire fuori da tutto questo. In effetti, il processo a Bill Gates è un processo utile, direi quasi che somiglia al processo a Galileo nel senso che la condanna era perversa, ma il processo in sé era un fatto molto positivo. Ovviamente non so quale sarà l’esito del processo a Bill Gates, ma mi appare simile a quello di Galileo. E’ una fortuna che lo si sia celebrato, e che la questione del monopolio mondiale si ponga adesso, a tre o quattro anni dal lancio monopolistico di Windows e dei prodotti Microsoft. Perciò è vero che cominciamo a svegliarci da questo intorpidimento pubblicitario da cervello globale. Non voglio parlare di quelle brave persone che dicono "Ma è meraviglioso, non saremo più uomini e donne, ma neuroni, e saremo interconnessi! E’ geniale, è la Parusia, è la Gerusalemme celeste!" Io non sono per nulla d’accordo. Ho sessantasette anni, ho vissuto il totalitarismo e non posso concordare con questo punto di vista che per me è abominevole, è da nazisti, da fascisti. In effetti, per tre anni c’è stata, e parlo ora della Francia, una fascistizzazione pubblicitaria di Internet e delle reti informatiche, che ora comincia a scomparire a vantaggio dell’aspetto caotico e, direi, babelico di Internet. Si comincia finalmente a capire che ci sono cose gravi che succedono su Internet, che la questione di una sua regolamentazione ormai si pone, anche se forse in maniera diversa da come la si era immaginata all’inizio. C’è dunque davvero un risveglio dell’opinione pubblica e della gente a questo riguardo, siamo più disincantati e me ne rallegro molto: ben venga il processo a Bill Gates, che per me è più importante, ma se ne parla assai meno, di quello a Bill Clinton di cui non sappiamo che farcene, essendo evidentemente un affare truccato. Il processo a Bill Gates, invece, è un vero processo politico al modo in cui lo fu il processo a Galileo.

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Domanda 16
A suo avviso, l’uomo si trova ancora in una condizione di forza per poter controllare lo sviluppo delle tecnologie?

Risposta
Vorrei riprendere una frase di Santa Hildegarda, grande musicista e poetessa, personaggio unico nel panorama del Medio Evo meraviglioso, della quale fra l’altro si sta celebrando il novecentenario essendo nata nel 1098. Hildegarda era solita dire, in latino: "Homo est clausura mirabilium dei", l’uomo è la chiusura delle meraviglie di Dio. Attraverso di lei parlava la Francia che si opponeva all’eugenismo, e questo suo detto riconosceva come l’uomo non sia affatto il centro del mondo, ma ne rappresenti piuttosto la fine: non c’è un aldilà che trascenda l’uomo, e l’essere umano è il perfetto compimento di ciò che vive. Pertanto, quelli che oggi vanno affermando "noi miglioreremo l’uomo! Lo cloneremo, lo ibrideremo, lo mescoleremo con altre realtà", in certo modo pongono una questione: "è proprio vero che l’uomo è la fine, ossia il compimento della dignità del vivere a prescindere da ogni distinzione di razza oppure non è che un prodotto, come un topo di laboratorio che si possa migliorare?". E’ su questo che si incentrava il dibattito lanciato da Galton, con l’eugenetica anglosassone che poi ispirerà i campi di concentramento. Oggi, dunque, occorre davvero difendere questa meraviglia che è l’uomo, per sempre, contro la tecnologia, le biotecnologie, le ibridazioni, la clonazione. Pensi che in questo momento negli Stati Uniti si lavora a una creatura ibrida, per metà mucca e per metà uomo. Poi si parla di Auschwitz: ma Auschwitz continua ancora oggi, e chi si ribella? Nessuno reagisce alla ibridazione degli esseri viventi, e lo stesso dicasi per la clonazione. Esiste dunque una problematica che le nuove tecnologie traspongono a loro volta sul piano delle tecnologie informatiche: da una parte abbiamo gli avatar, gli spettri di cui si è parlato poc’anzi, e la telesessualità, cioè il preservativo universale in quanto tutto è elettronico e non si rischia niente. Ci si chiede insomma: che cosa è l’uomo? Io, per parte mia, do la risposta di Santa Hildegarda. L’uomo è la fine del mondo, e non c’è un aldilà, siamo noi che ci miglioreremo, e non la scienza. Ad ogni modo, è una questione di enorme portata, e su tali altezze filosofiche io non intendo soffermarmi. Riguardano ormai le nuove generazioni. Io sono al termine della mia esistenza, ho 67 anni, e lascio ai giovani di risolvere questi problemi. Ma non dimenticate che già cinquant’anni fa certe persone se li sono posti, quando in Germania si parlava di fare intrugli con gli esseri viventi.

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