Biblioteca digitale (intervista) RAI Educational

Pierre Levy

Parigi - European IT Forum, 04/09/95

"L'intelligenza collettiva"

SOMMARIO:

  • Lévy dà una definizione dell'intelligenza collettiva (1),
  • e spiega perché oggi si può perseguire il progetto di emancipazione dell'illuminismo (2).
  • Esiste un'etica dell'intelligenza collettiva, che mette l'individuo al servizio della comunità, permettendogli di esprimersi completamente (3).
  • Le nuove tecniche digitali permettono la comunicazione reciproca di tutti con tutti, che consente la costruzione di una cooperazione globale senza necessitare di un consenso di maggioranza, come richiesto dalla democrazia rappresentativa classica (4).
  • Internet è un fenomeno spontaneo positivo, minacciato parzialmente di essere soverchiato dai governanti o dalle grandi imprese commerciali (5).
  • Internet fornisce un flusso enorme e inorganico di informazione, che richiede degli strumenti di selezione (6).
  • L'appiattimento della conoscenza esiste solo da un punto di vista centralistico, mentre c'è un arricchimento dei differenti paesaggi culturali individuali (7).
  • La difficoltà nell'orientarsi nello spazio virtuale è dovuta dal fatto che la rappresentazione diventa sempre di più la realtà stessa (8).
  • Le nuove tecnologie porteranno a un forte sviluppo dei sensi e alla loro virtualizzazione, e non all'atrofia (9).

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INTERVISTA:

Domanda 1
Pierre Lévy, lei ha dedicato un libro all'intelligenza collettiva, a un'antropologia del cyber-spazio. Che cos'è?

Risposta
Credo che le nuove tecnologie di comunicazione e, in particolare, le tecniche di comunicazione su supporto digitale aprano prospettive completamente nuove. Quello che tento di fare con questo libro è di vedere quali sono, fra tutte le possibilità, quelle più positive da un punto di vista sociale, culturale e politico. E mi sembra che questo dell'intelligenza collettiva sia un vero e proprio progetto di civilizzazione che parte dalle nuove possibilità che si stanno aprendo. Che cos'è l'intelligenza collettiva? In primo luogo bisogna riconoscere che l'intelligenza è distribuita dovunque c'è umanità, e che questa intelligenza, distribuita dappertutto, può essere valorizzata al massimo mediante le nuove tecniche, soprattutto mettendola in sinergia. Oggi, se due persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie, possono davvero entrare in comunicazione l'una con l'altra, scambiare il loro sapere, cooperare. Detto in modo assai generale, per grandi linee, è questa in fondo l'intelligenza collettiva.

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Domanda 2
E' il progetto dell'Illuminismo che si realizza?

Risposta
Sì, in un certo senso io perseguo, tento di perseguire, credo che si possa perseguire oggi il progetto di emancipazione dell'Illuminismo. Perfetto, ma evidentemente senza l'ingenuità degli illuministi di credere che il progresso sia garantito dall'evoluzione scientifica e tecnica. Oggi si sa che la soluzione di questo problema non è garantita e che dipende dalla volontà politica, dipende dagli operatori culturali fare in modo che le possibilità aperte dalla tecnica siano sfruttate in un senso socialmente positivo. Ma non è affatto scontato.

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Domanda 3
Il progresso si trova oggi di fronte ai problemi dell'etica, per esempio al problema dei valori. Ci può essere un'etica dell'intelligenza collettiva?

Risposta
Certo, c'è un'etica dell'intelligenza collettiva. Credo che oggi si cerchi di sfruttare, di valorizzare al massimo, per esempio, le ricchezze e i beni economici. Sul piano ecologico si cerca di evitare gli sprechi e ci si rende conto che ciò che più va sprecato, che è meno valorizzato, che è meno preso in considerazione, è forse proprio ciò che è più importante e cioè i valori e le qualità propriamente umane, le qualità degli esseri umani viventi, ed in particolare le loro competenze, ma non soltanto quelle, piuttosto l'insieme delle loro qualità umane. Credo che abbiamo oggi i mezzi tecnici per valorizzare e non sprecare queste ricchezze umane. Se si prende, per esempio, il fenomeno della disoccupazione, si capisce che si tratta di un enorme spreco di competenze umane - lo si potrebbe definire proprio così - ma anche nel lavoro classico, nel lavoro taylorista, in cui si mette una persona a un certo posto per eseguire un compito ben determinato, c'è un enorme spreco di ricchezze umane. L'etica dell'intelligenza collettiva consiste appunto nel riconoscere alle persone l'insieme delle loro qualità umane e fare in modo che essi possano condividerle con altri per farne beneficiare la comunità. Quindi mette l'individuo al servizio della comunità - ma per fare questo bisogna permettere all'individuo di esprimersi completamente - e al tempo stesso la comunità al servizio dell'individuo - poiché ogni individuo può fare appello alle risorse intellettuali e all'insieme delle qualità umane della comunità. A grandi linee è questa la prospettiva dell'intelligenza collettiva, a cui, beninteso, si oppongono tutti i giochi di potere, di oppressione e di dominio. Ritroviamo qui la battaglia per l'emancipazione: se non è possibile rimuovere questo aspetto negativo della vita sociale, bisogna almeno tentare di contenerlo nella giusta misura.

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Domanda 4
Questa etica della comunicazione deve essere basata sul consenso, sul principio maggioritario, sulla discussione?

Risposta
No, proprio non può essere regolata dal principio maggioritario. Per questo bisogna capire bene la natura delle nuove tecniche della comunicazione a supporto digitale. Nella comunicazione mediatica tradizionale, per esempio la stampa, la radio, la televisione, c'è un centro di emissione e un gran numero di ricettori che sono insieme passivi, perché non c'è reciprocità nella comunicazione, e, soprattutto, isolati gli uni dagli altri. Allora, dal punto di vista dell'intelligenza collettiva, questo fatto è interessante, perché tutti partecipano alle stesse rappresentazioni, emesse dal centro, ma non c'è interattività, non c'è costruzione collettiva. Un altro schema di comunicazione possibile è quello del telefono: qui c'è reciprocità nella comunicazione, ma non c'è costruzione collettiva. La comunicazione passa semplicemente da individuo a individuo. Con il cyber-spazio, con i forum di discussione elettronici, con Internet o anche su scala più ridotta con le BBS  su scala di impresa o di associazione o di quartiere c'è la possibilità non solo che uno emetta verso tutti, non solo che uno comunichi facilmente con un altro, come sulla rete telefonica, ma che tutti possano comunicare con tutti. Si crea dunque un contesto comune, ma questo contesto comune non risulta più dall'emissione di un centro, risulta dall'apporto di ciascuno alla discussione collettiva. Credo che il vero, autentico atto di comunicazione è quello che consiste nel costruire in cooperazione un universo di significati comune, nel quale ognuno si può situare. Nessuno è obbligato a condividere le idee degli altri: semplicemente si partecipa allo stesso universo di significati, allo stesso contesto. Secondo il mio modo di pensare, non si tratta affatto di arrivare a un consenso, per fare in modo che la maggioranza governi. Questa è in un certo modo la democrazia rappresentativa classica. Credo invece che ognuno può, mediante questo sistema, prendere posizione, sviluppando una argomentazione assolutamente singolare. Si potranno formare anche delle maggioranze, tante maggioranze per quanti sono i problemi. E questo farà sì che un individuo possa avere su un dato problema una certa posizione e su un altro problema un'altra posizione e non essere semplicemente incluso in una grande categoria massiccia di persone che condividono tutte le stesse idee. Al contrario si può arrivare a differenziazioni molto sottili.

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Domanda 5
Quali sono tuttavia i pericoli di questa tendenza?

Risposta
Pericoli certo ve ne sono. Direi che questa prospettiva dell'intelligenza collettiva, che permette alle persone di unire le loro forze intellettuali, la loro immaginazione, le loro conoscenze, eccetera, era la prospettiva di coloro che hanno costruito questo sistema e si potrebbe dire che, in un certo senso, è il risultato di un vero movimento sociale. Non c'è nessuna grande società, nessun governo che ha deciso di costruire Internet: è un fenomeno del tutto spontaneo, è il movimento sociale di una gioventù cosmopolita di diplomati, che si interessano ai fenomeni dell'intelligenza collettiva. Ciò che accade oggi è che il cyber-spazio, costruito da un movimento sociale di gente che condivideva questa utopia, è recuperato dai governi che ne vogliono fare una specie di apparato collettivo, di grande televisione, e che spesso non capiscono che la televisione interattiva è una contraddizione in termini: la televisione non può essere interattiva, se no non è più televisione; o ha una interattività estremamente limitata. Oppure è recuperato dai commercianti, dalle grandi imprese, che vedono in esso l'occasione di sviluppare un immenso mercato, un nuovo spazio di vendite, uno spazio mobile, in definitiva. Non credo affatto che sia qualcosa di puramente negativo il fatto che sia investito dal mercato capitalistico. Ma sarebbe veramente un peccato che questo aspetto commerciale sopprimesse o si sostituisse completamente all'altra dimensione. Sarebbe un po' come nei paesi dell'Est quando dicono: ci siamo battuti per la democrazia e abbiamo ottenuto il capitalismo. Io dico che ci vuole il formaggio e la frutta. Perché non sviluppare nuovi mercati? Ma a condizione che il mercato non faccia passare in secondo piano le altre dimensioni, che sono l'aumento di ricchezze umane e di civiltà. Per me questo è il pericolo principale. Altri, in un'ottica un po' paranoica, parlano di controllo eccetera. Non sono molto sensibile a questo aspetto, in primo luogo perché tutti i sistemi di comunicazione sono stati usati dalla polizia, a cominciare dalle poste: si sa che le lettere sono state sempre aperte dalla polizia. Oggi se un servizio di spionaggio o di contro-spionaggio vuole intercettare le comunicazioni telefoniche lo fa. Si può fare anche nel cyber-spazio, ma da questo punto di vista non c'è nessuna novità qualitativa secondo me. Anzi forse è più difficile, a causa della pratica del linguaggio cifrato.

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Domanda 6
Nelle reti si trovano miliardi di informazioni e una pletora di dati. Ma l'educazione che i Greci chiamavano "paideia " e i tedeschi "Bildung " era qualcosa di più dell'informazione, era un coinvolgimento diretto.

Risposta
Certo l'educazione è qualcosa di costruito, di organico, animato da un certo spirito, eccetera. Ciò che succede qui è che si ha un'enorme massa di informazioni, anzi non soltanto una massa, un flusso di informazioni, ma un vero e proprio diluvio. Ho un mio amico che dice: stiamo vivendo il secondo diluvio. Il primo diluvio è stato di acqua, il secondo è il diluvio dell'informazione. Dunque il problema è di sapere che cosa si deve salvare, che cosa si deve mettere nell'arca, come dovremo navigare. Il problema della navigazione nel cyber-spazio si presenta come navigazione dell'arca nel diluvio informazionale. E' bene esserne coscienti. Non potremo usare validamente tutti questi sistemi se non avremo degli strumenti per orientarci e filtrare l'informazione. Ma ce ne sono sempre di più, e questo è molto importante. In secondo luogo credo che il rapporto con il sapere sia completamente cambiato: viviamo in un'epoca in cui una persona, un piccolo gruppo, non può più controllare l'insieme delle conoscenze e farne un tutto organico. E' divenuto impossibile anche per un gruppo umano importante. Ciò vuol dire che la ricostituzione di un tutto organico, che abbia senso, non può essere fatta da individui o da piccoli gruppi. Dobbiamo imparare a costruire un rapporto con la conoscenza completamente nuovo. In un certo senso non è un male: dà molta più libertà all'individuo o al piccolo gruppo, ma certo è molto più difficile. Bisogna soltanto saper prendere partito. Se si resta con la nostalgia di una cultura ben costituita, organica, con la nostalgia di una totalità culturale, non se ne esce. La conoscenza, la cultura, è qualcosa che si sta definitivamente detotalizzando. Vi dicono: potrete avere accesso a tutte le informazioni, alla totalità delle informazioni, ma è proprio il contrario: adesso sapete che non avrete mai accesso alla totalità. Questo è il messaggio del cyber-spazio e voi dovete saper selezionare. Ritorno sull'intelligenza collettiva. Voi e il piccolo gruppo a cui appartenete e con cui avete uno scambio più stretto non potrete mai sapere tutto e quindi sarete, necessariamente, obbligati a fare appello ad altri, alle conoscenze d'altri e alle loro capacità di navigazione: i messaggi che hanno più valore nel cyber-spazio sono quelli che vi aiutano a trovare dei riferimenti, a orientarvi, quelli che hanno meno valore sono quelli che aumentano la massa senza dare visibilità o trasparenza alle conoscenze disponibili. Vediamo il Word Wide Web, che è un caso molto interessante. Se mettete un documento sul Word Wide Web, fate due cose insieme: primo, aumentate l'informazione disponibile, ma in secondo luogo, fate anche un'altra cosa: con i nessi che stabilite tra il vostro documento e l'insieme degli altri, voi offrite al navigatore che arriverà su quel documento il vostro punto di vista. Quindi non soltanto aumentate l'informazione, ma inoltre offrite un punto di vista sull'insieme dell'informazione. Il Word Wide Web non è soltanto una enorme massa di informazione, è l'articolazione di migliaia di punti di vista diversi. Bisogna considerarlo anche sotto questo aspetto.

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Domanda 7
Forse siamo di fronte a un paradosso, perché, se abbiamo paura che si possa realizzare il Grande Fratello di Orwell, può darsi che oggi dobbiamo combattere, al contrario, l'appiattimento, il fatto che ogni controversia sarà appianata e che non ci saranno più padroni del pensiero.

Risposta
Io trovo molto positivo che non ci siano più padroni del pensiero. C'è un fenomeno di appiattimento, ma è soltanto mettendosi dal punto di vista di Dio che c'è propriamente appiattimento, perché non c'è più centro, non c'è più controllo, non c'è più istanza di controllo. Viceversa, da ciascun punto di vista individuale, bisogna ricostituire un paesaggio differenziato con superfici concave e convesse, eccetera. E' una forma di dualismo. Ma per ogni individuo o per ogni microgruppo è un paesaggio diverso. Parlo al futuro, ma succede già oggi.

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Domanda 8
Ma gli uomini non troveranno difficoltà a orientarsi in uno spazio in cui non c'è più il prima o il dopo, il fuori o il dentro, l'interno o l'esterno?

Risposta
Lo spazio in cui ci situeremo sarà uno spazio alla Moebius, in cui l'interno passa all'esterno e l'esterno all'interno. Ma non soltanto perché lo spazio virtuale sfrutta le onde dello spazio fisico. E' molto più profondo. Si dice normalmente: l'informazione informa su una realtà. Per questo deve essere possibile distinguere tra la carta e il territorio. Ma oggi il territorio principale è l'insieme delle carte e dunque il passaggio dall'interno all'esterno e dall'esterno all'interno non avviene più soltanto nello spazio fisico, avviene nello spazio ontologico, per così dire, della realtà della rappresentazione. La realtà passa continuamente nella rappresentazione, e la rappresentazione diventa continuamente la realtà stessa. In ciò risiede la difficoltà con cui ci dobbiamo confrontare. In un certo senso è stato sempre così, perché, beninteso, non c'è realtà al di fuori del linguaggio, della cultura che la pone. Ma oggi è diventato assolutamente evidente: non è più il risultato di argomenti filosofici, è una cosa che possiamo vivere, al limite, tecnicamente e socialmente, ogni giorno, e un gran numero di persone ha cominciato a rendersene conto.

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Domanda 9
Ma non ci sarà un'atrofia della percezione sensibile, in un mondo in cui non servono più i sensi?

Risposta
Di questo non sarei talmente sicuro: in primo luogo perché penso che ci sia un'enorme sviluppo della vista, con tutti questi sistemi di comunicazione che permettono di vedere cose che gli occhi non vedevano. Voi vedete con i satelliti, con gli infrarossi, con gli scanner, che hanno permesso, in medicina, la produzione delle lastre eccetera, eccetera. Anche il tatto, l'interazione sensorio-motrice con la telepresenza si sta sviluppando enormemente, come l'udito con il telefono, le nuove musiche e simili. Non so se si possa parlare veramente di un'atrofia dei sensi, perché si ha piuttosto una virtualizzazione e uno sviluppo dei sensi con tutti questi sistemi di telepresenza e di virtualità. Non è l'atrofia, ma la virtualizzazione delle percezioni, la loro estensione, la loro trasformazione e, in un certo senso, la loro messa in comune. La loro messa in comune perché la televisione, come dice la parola, è un modo di vedere lontano, ma la cosa più interessante della televisione è che tutti vedono con lo stesso occhio; e, del telefono, che tutti, per ascoltare, usano lo stesso sistema uditivo. Invece l'intelligenza collettiva è fatta di tutte le dimensioni dell'intelligenza, della memoria e della percezione.

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