Biblioteca digitale (intervista) RAI Educational

Richard S. Kirby

Chicago, 20/07/1998

"Lo spazio della teologia in un mondo tecnologico"

SOMMARIO:

  • Secondo Richard Kirby la teologia acquista spazio in un mondo tecnologico se si traduce in un invito alle chiese - nel senso di comunità - a cambiare il proprio approccio alla scienza, in considerazione della nozione stessa di “scienza” che significa, semplicemente, “conoscenza” (1).
  • Una delle domande fondamentali dell’Etica - dal greco “carattere”, “costume”- è rispondere alla domanda “chi è il mio vicino” per definire, in relazione con l’altro da noi, quello che noi siamo. Le tecnologie della comunicazione, benché portino in sé un pericolo di spersonalizzazione, offrono una grande opportunità per potenziare questo tipo di riflessione etica che nasce dallo scambio con ciò che è vicino a noi (2).
  • Il “futuro tecnologico” deve puntare agli stessi fini dei grandi obbiettivi della civiltà, come la cura dei mali, la prosperità e l’apprezzamento della bellezza (3).
  • I futures studies dovrebbero avere un carattere fondamentalmente morale. Il futurologo che opera con categorie come “futuro possibile”, “preferibile” e “probabile”, ha quali premesse e orizzonte del proprio operato la ricerca del futuro ideale (4).
  • La riflessione morale sui media deve vertere su quali siano le “divinità” dei media, la loro preoccupazione ultima (5).
  • “Religious Futurists” è un gruppo nato 18 anni fa con lo scopo di superare lo iato fra scienza e religione. Le comunità religiose del futuro devono essere competenti di etica del buddismo, induismo, ebraismo. Fine ultimo del gruppo è quello di promuovere un abbandono del neoplatonismo a favore di una teologia dell’agire(6).

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INTERVISTA:

Domanda 1
Quale sarà il ruolo e lo spazio della teologia in quello che si rappresenta comunemente quale futuro presieduto dalla dimensione tecnologica?

Risposta
La questione è di grande rilievo, ed è fondamentale definirne i termini nel momento in cui ce la si pone. Spesso si parla di teologia in modo vago, intendendo i propri sentimenti religiosi, o una sorta di spiritualità astratta. Voglio onorare quanto possibile la tradizione teologica e dell’educazione teologica, facendo una premessa. La teologia è stata definita come una riflessione sull’esperienza religiosa. Questa definizione in effetti cela più di quanto riveli. Anticamente la si definiva semplicemente “la scienza di Dio”, o ancora, “la regina delle scienze”. Ora, la teologia esiste solo attraverso particolari teologie, così come la vita umana vive solo concretizzata in particolari vite. Pertanto, ritengo che sia importante essere scientifici quando si parla di teologia, e in particolare di teologia in un’epoca scientifica. Ora, benché la teologia sia definita in senso generale la scienza di Dio, quello che ciò all’atto pratico significa è la esposizione ordinata delle dottrine che investono le modalità in cui l’umanità ha conosciuto il divino, quali ad esempio l’incarnazione di Cristo, l’avvento dello Spirito Santo, o nella religione ebraica la salvezza degli ebrei, o ancora nell’Islam l’avvento del Profeta e lo sviluppo di un concetto di civiltà spirituale, e così via. La teologia vive all’interno delle specifiche teologie così come le persone vivono all’interno di specifici spazi, e pertanto se ci domandiamo quale sia il ruolo della teologia in un mondo scientifico dobbiamo avvicinare la questione in una prospettiva scientifica, con la precisione e completezza che si richiedono a uno studioso, a uno scienziato, e dunque a un teologo.
La teologia è composta da numerose branche: la teologia filosofica, che stabilisce una relazione con la filosofia, oppure la teologia sistematica, che ordina le dottrine. E fra i settori più recenti abbiamo la teologia esistenziale, la teologia di liberazione che muove da premesse marxiane, secondo le quali la filosofia dovrebbe cambiare il mondo, e non cercare solo di comprenderlo. In questo caso la teologia trova un esempio interessante di approccio delle scienze. Ma se la teologia è destinata a trovare uno spazio in un mondo scientifico dovrà avere delle affinità con esso. Qualcuno ha detto che “un tetto privo di affinità con il cielo è costantemente esposto al pericolo di crollare”; il che è puntualmente avvenuto nella teologia fin dai tempi di Galileo. L’episodio di Galileo costituisce un eccellente esempio di scisma fra scienza e religione, dato che le sue scoperte furono rifiutate poiché erano in conflitto con la cosmologia teologica del tempo, e quindi non potevano corrispondere a realtà: la prova fattuale cozzava con un ordine mentale costituito come definitivo.
Pertanto, quando parliamo dello spazio della teologia in un mondo scientifico parliamo di una strenua resistenza nei confronti della prima. Ma non si tratta di una partita chiusa, perché esistono diversi gruppi che promuovono un dialogo fra scienza e religione, e fra scienza e teologia, e dunque c’è la possibilità di articolare una teologia scientifica. Ma ritengo che il fattore principale per il futuro della teologia sia il suo essere, come ho detto poc’anzi, incarnata nelle singole teologie, e nelle singole comunità religiose. C’è un antico detto che recita lex orandi, lex credendi, “la legge della preghiera è la legge della fede”, che simbolizza il fatto che le dottrine religiose emergono dall’esperienza religiosa, la quale a sua volta emerge da comunità formative. Pertanto la sua domanda si traduce in un’altra domanda, posta in sintassi teologica, vale a dire quale sia il ruolo delle chiese, delle comunità religiose, sinagoghe, moschee e quant’altro, nel mondo scientifico del domani, cui si può rispondere in chiave molto pratica. Il lavoro che svolgo alla University of Washington e che porto avanti anche partecipando a convegni come quelli della World Future Society è di costituire programmi di educazione scientifica all’interno delle chiese. Ciò comporta un cambiamento di come pensiamo la particolare branca teologica chiamata “ecclesiologia”, che si occupa di studiare la natura della Chiesa. L’etimologia del termine “ecclesiologia”, che rimanda al greco antico col significato di “chiamato fuori da”, ci dice che la comunità religiosa o la casa della teologia è il luogo che si suppone essere emerso dal kosmos, dal mondo, portando valori sacri al suo interno; in questo caso, all’interno del mondo della scienza e della tecnologia. Qualora le chiese non si occupassero di questioni come l’intelligenza artificiale, l’ingegneria genetica o i viaggi spaziali, non avrebbero un grande ruolo in questo mondo. Pertanto, la questione dello spazio della teologia in un mondo tecnologico si traduce in un invito alle chiese a cambiare il proprio approccio alla scienza, il che non è complesso se teniamo in considerazione che la nozione stessa di “scienza” significa, semplicemente, “conoscenza”. Pertanto quella scienza sacra che è la teologia ha l’opportunità di venire incontro, in modo redentivo, ad alcune opere di scienza e tecnologia. Quando mi rivolgo ai miei studenti della University of Washington, utilizzo un ragionamento analogico fra la tavola periodica degli elementi chimici e la tavola periodica della produzione industriale. E, affermando che le teologie vivono nelle chiese così come gli affari vivono nelle industrie, vi è un aspetto industriale, e politico, nella scienza. E le chiese, o ogni tipo di comunità sacra, hanno un messaggio da portare a queste particolari aree di una società, un messaggio che da una dimensione metafisica si trasferisce a una dimensione politica e sociale.

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Domanda 2
Secondo quali modalità ritiene, qualora questo sia il caso, che l’etica possa essere investita dalle nuove tecnologie della comunicazione?

Risposta
Anche in questo caso devo fare una premessa di definizione della questione dell’etica, che spesso anche fra coloro che discutono di nethics, di etica della Rete, danno per assunto in modo semplicistico. L’etica, tradizionalmente, è una branca della filosofia, a fianco di metafisica, epistemologia, e così via, e riguarda la teoria della condotta, e il carattere. In effetti, la parola “etica” deriva da ethos, parola dell’antico greco che significa fra l’altro, appunto, “carattere”, così come abbiamo un carattere stampigliato su una moneta. Ciò significa che l’etica di una situazione corrisponde alla sua identità morale - e identità morale, carattere, condotta, i principi dell’esistere, sono gli oggetti propri dell’etica. Erroneamente a volte si afferma che la scienza riguarda la realtà delle cose, mentre l’etica di come dovrebbe essere questa realtà. Su questa base, e data la separazione fra scienza e religione, ci si trova ad affrontare una serie, direbbe Kant, di antinomie, di dilemmi morali circa il nostro esistere quotidiano che sottraggono energia e spesso lasciano le cose come stavano. Se al contrario non assumiamo l’etica solo come scienza normativa ma anche come scienza progressiva, al pari di ogni altra scienza, possiamo restituire l’etica al suo proprio statuto di scienza della condotta e della vita umana. Ciò ha una veste sia “pura” sia “applicata”; quando ci poniamo questioni di etica “pura”, ci chiediamo ad esempio quali siano le nostre responsabilità verso le generazioni future. Con l’etica applicata, investiamo questioni che riguardano, ad esempio, l’etica medica e finanziaria, come chi abbia diritto a una priorità nei trapianti. Non dobbiamo privilegiare i dilemmi dell’etica quali suoi elementi di definizione, bensì considerarla la scienza del nostro progresso individuale, dell’espressione di noi in quanto esseri morali, e agenti etici. In questo senso, ritengo che le nuove tecnologie di comunicazione abbiano offerto una eccellente opportunità al mondo dell’etica, perché quest’ultima, così come ogni altra scienza, deve esprimersi attraverso un mezzo di comunicazione, e a questo mezzo soggiace una filosofia con sue categorie proprie, perché senza queste categorie - così ci insegnano i filosofi da Aristotele in poi - non abbiamo possibilità di articolare il nostro pensiero.
Ora, qualcuno ha detto che per secoli la filosofia è stata in larga misura costituita da una serie di glosse a Platone, con un dominio assoluto di categorie come essenza, sostanza, basate sull’idea di permanenza. Ma il nostro secolo ha accettato interamente quanto insegnatoci dalla rivoluzione epistemologica del rinascimento, ossia che il mondo scientifico è un mondo di cambiamento. In volumi come Process and Reality e Science and the Modern World, Alfred North Whitehead ha affermato sistematicamente l’idea del processo come categoria metafisica cardinale. Il che ci porta, attraverso un percorso complesso, alla nostra attuale situazione: qual è l’etica del processo, come investe la tecnologia di comunicazione, e viceversa. Un esempio può essere l’etica della velocità. Chiunque può comprendere il bisogno di rapidità. E se prendiamo in considerazione la velocità della comunicazione istantanea, ci è utile adottare la nozione di vettore, di “forza” o “velocità dotata di direzione”. Ho lavorato, infatti, nell’ambito della filosofia vettoriale quale approccio a etica, tecnologia e comunicazione. E con l’etica vettoriale siamo in grado di raggiungere in modo istantaneo gli altri, e in tutto il mondo, e di allargare la coscienza collettiva dell’umanità. Pertanto, l’intelligenza collettiva che possiamo conseguire attraverso la comunicazione multipla e simultanea, ad esempio sul Web, dimostra come le possibilità di intervento etico siano state ampliate significativamente dalle tecnologie di comunicazione. Le questioni della privacy, ad esempio, sono risolte nel proprio portato di dilemma etico dalla libera circolazione di coscienza morale su Internet. Abbiamo fra le mani una grande opportunità di usare le tecnologie di comunicazione per potenziare la riflessione etica, e dunque di aiutare la gente a ottenere la risposta a una domanda etica fondamentale, “chi è il mio vicino?”, forse la domanda in assoluto prioritaria se ci si muove nell’etica personalistica, una particolare scuola di etica che riguarda i rapporti umani, che del resto è molto pertinente ai nostri tempi. Le tecnologie della comunicazione possono spersonalizzare, ma portano in sé anche la potenzialità opposta. In definitiva, anche se l’etica non è investita dalle tecnologie di comunicazione più di altre discipline, essa può trarre un beneficio dal loro dispiegarsi attraverso la loro potenziale espansione e cambiamento delle categorie stesse attraverso le quali pensiamo.

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Domanda 3
In quale modo è possibile orientare, su basi etiche, il dispiegarsi di un futuro tecnologico?

Risposta
Chiaramente quando orientiamo qualcosa è importante sapere verso quale fine. Teologia, etica e filosofia in generale condividono un interesse di studio per i fini dell’esistenza. Teologia e filosofia condividono un orizzonte altissimo, poiché ci conducono alla nozione dell’assoluto, ma persino i settori più elementari di analisi filosofica ci spingono a pensare le nostre azioni quale serie di azioni stratificate verso fini superiori. Alcuni ritengono che l’eredità aristotelica delle cosiddette cause ultime, o l’idea che ci muoviamo verso un fine, sia ormai definitivamente superata, ma ciò contrasta con il fatto che il mondo degli affari, i governi, le società, si orientano tutti verso qualcosa. Nessun amministratore delegato, nessun leader di governo può affermare di aver completamente raggiunto il proprio scopo ultimo; e infatti il linguaggio di queste figure è interamente orientato al futuro. Pertanto, chiedendosi quali siano le basi etiche del futuro tecnologico, lo studioso di etica si chiede anche a quale scopo.
I grandi obbiettivi della civiltà, come la cura dei mali, la prosperità, l’apprezzamento della bellezza, costituiscono gli stessi fini cui dobbiamo orientare il futuro tecnologico. Anche in questo caso, è importante definire i termini della questione del “futuro tecnologico”. Esiste un assunto dominante di cui dobbiamo assolutamente sbarazzarci, vale a dire che la tecnologia investa deterministicamente la nostra vita, quasi fossimo su binari che inesorabilmente ci condurranno a un futuro tecnologico. Si tratta di un falso assunto, di una erronea analisi della condizione umana, e della nostra capacità di scelta. Ma chiariamo anche l’aspetto della tecnologia. La parola techne, da cui deriva “tecnologia”, è una parola molto complessa: nell’antichità significava “abilità, mestiere”, e implicava una valenza artistica, creativa, del manufatto. La tecnologia, altrimenti detto, è figlia di due genitori, arte e scienza, anche se normalmente si privilegia solo il secondo termine.
Pertanto, se vogliamo parlare della base etica su cui orientare il futuro tecnologico, questa sarà innanzitutto nella predilezione dei fini implicati dallo studio dell’etica, e questi fini sono i grandi obbiettivi della vita umana, come la liberazione dal dolore e dalla malattia, dalle brutture e dallo squallore, dalla povertà, ad esempio. Lo studioso di etica può dare un contributo nello sviluppo di computer e intelligenza artificiale orientato verso questi obbiettivi ricordando quali sono i nostri fini, mobilitando la coscienza e le energie morali nel modo che ho detto. E ciò va fatto, se si eccettuano pochissimi casi di “genialità morale”, all’interno di una comunità etica. Chi si occupa di questioni etiche può aiutare a focalizzare i problemi, e dunque a raffinare lo sviluppo di un futuro tecnologico. Spesso, studiando i fini dell’esistenza, veri o supposti tali, scopriamo che sono conflittuali fra loro o radicalmente aporetici. Il caso della “macchina pensante” implica infatti una serie di fini e nozioni, di scienza e umanità, molto precarie; chiarire queste nozioni e questi fini, chiarendo la nostra coscienza etica, è un modo di intervenire sulla qualità umana del futuro tecnologico.
Un esempio, in merito, ci giunge dal futuro dell’automobile. Credo che chi si occupa di etica abbia molto da dire sull’argomento. Io studio fra l’altro la teoria sociale dell’automobile, che fra le sue premesse afferma che l’auto sia un mondo, un kosmos, l’esito di una costante creazione, e non un evento definitivo. In quanto realtà sociale, l’auto può e dovrebbe esprimere un’intera gerarchia di valori umani. Dovremmo chiederci se la nostra auto sia in costante cambiamento per servire i nostri scopi, e se verso questi scopi si compiano dei viaggi di eccellenza morale. Possiamo insomma orientare la tecnologia del futuro orientando i nostri viaggi, e possiamo orientare la qualità morale dei nostri viaggi orientando la tecnologia che li consente - in questo caso, le auto.

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Domanda 4
Quando si chiama in causa la futurologia si presuppone anche una possibile dimensione imperativa - come praticare un’opzione di futuro preferibile. In tal senso, è possibile sostenere che l’etica abbia un ruolo vitale all’interno degli studi sul futuro?

Risposta
Se si rimuove la coscienza morale, e l’ordine di valori dallo studio di una qualsiasi cosa, il risultato è, tecnicamente, la psicosi. Se dobbiamo studiare un oggetto, foss’anche il futuro, presumibilmente lo faremo con la nostra coscienza più luminosa per chiarire l’oggetto di studio, con il massimo dispiegamento di strumenti. E dunque, se qualcuno volesse studiare il futuro solo con alcune virtù, o tralasciando la dimensione della verità, della bontà, o della bellezza, non produrrebbe un risultato ottimale: non avremmo un risultato veritiero, né un futuro attraente.
Siamo figli delle nostre scelte, e anche le nostre investigazioni sul futuro sono figlie delle scelte cognitive che operiamo. Chi si occupa di etica ci insegna che il dato cognitivo, la conoscenza e la scoperta sono, o dovrebbero essere, fondati dalla coscienza morale. Ciò implica che i futures studies dovrebbero avere un carattere fondamentalmente morale. Di tanto in tanto avviene che i futurologi dimostrino una simile consapevolezza, ma la questione può essere posta anche in termini metodologici. Il futurologo che opera con categorie come “futuro possibile”, “preferibile” e “probabile”, ha quali premesse e orizzonte del proprio operato la ricerca del futuro ideale, ossia la ricerca di possibilità di una società ideale - analogamente del resto a quanto emerge da una categoria centrale dell’etica, vale a dire lo studio e la ricerca dell’ideale - e della strada che può condurci a essa. Fa parte della natura stessa dell’ideale l’essere un qualcosa di irraggiungibile, ma se questo qualcosa non ci chiamasse, non perderemmo tempo a cercarlo. E invece di subire il futuro come inesorabile, dovremmo prepararci - secondo quanto ci insegna la filosofia esistenziale - a crearlo attraverso le nostre scelte. Una fra le prime scelte che possiamo operare in quanto futurologi è quella di studiare l’orizzonte della nostra coscienza come riflettori etici, e in quanto agenti morali è quella di studiare la possibilità di noi stessi in quanto motori dello sviluppo del futuro.
La particolare vocazione del futurologo in chiave etica è quella di articolare la natura dello studio dell’ideale nel futuro, e credo che futurologi e studiosi di etica debbano far convergere i propri sforzi nello studio della cosmologia scientifica. John Barrow e Frank Tipler nel loro volume dal titolo The Anthropic Cosmological Principle, pubblicato nel 1988 da Oxford University Press, disegnano il futuro a lungo termine dell’evoluzione umana, e in modo discutibile lo indicano in un automa in grado di autoprogrammarsi; uno scenario, insomma, nel quale i computer si impadroniscono del mondo. Può anche essere un’idea barbara dal punto di vista dell’etica personalistica, ma se non altro è uno studio del mondo scientifico. Altri studiosi, come Bertrand Russell nel suo Icarus or the Future of Science, si sono chiesti se la futura civiltà sarà in grado di essere veramente scientifica e al contempo durevole. Qui si indica un ruolo fondativo dell’etica nel pensare il futuro scientifico, attraverso un’articolazione di una cosmologia scientifica nel nostro modo di pensare.

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Domanda 5
Quale ruolo può essere assunto dai media e dalla comunicazione come strumento per le comunità che fanno capo a realtà difficili, come le missioni?

Risposta
Credo che ovviamente il ruolo molto pratico dei media in tal senso sia di assicurare la comunicazione con le comunità svantaggiate, ma a tal scopo ritengo anche che l’etica dei media debba fare diversi passi in avanti. Una fra le cose che la riflessione morale porta allo studio dei media è di pensare quali siano le "divinità" dei media, ossia la loro preoccupazione ultima. Molti additano una preoccupazione in negativo, con "divinità" quali lascivia, sensazionalismo, voyeurismo, una teoria consumista della conoscenza, che promuove passività e incapacità di agire, pur a fronte di una crescita di informazione. Al contempo, si possono evidenziare delle "divinità" positive, vale a dire la comunicazione di opportunità e di sollecito all’intervento e allo scambio.

Le comunità svantaggiate, nel momento in cui vengono raggiunte dai mass media, devono essere avvicinate come risultato di un processo di cambiamento nei media stessi. Non voglio con ciò enfatizzare solo l’aspetto negativo dei media, che hanno il potere di ispirare e sollecitare ad esempio i giovani a recarsi nelle comunità in questione, magari sulla spinta dell’informazione offerta da un giornale virtuale. Credo che il fine dello sviluppo sociale sia la ridistribuzione dei privilegi, e dunque responsabilità dei media è innanzitutto il mostrare la condizione ineguale delle società e di offrire l’opportunità ai giovani e a chi ha potere decisionale di raggiungere coloro che sono meno fortunati, e di promuovere un significativo miglioramento delle loro condizioni.

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Domanda 6
Chi sono, e come operano, i “Religious Futurists”?

Risposta
La comunità dei "Religious Futurists", di cui faccio parte, ha ormai raggiunto la maggiore età, essendo nata 18 anni fa con lo scopo di superare lo iato fra scienza e religione. Siamo un gruppo di studiosi che cercano un’interfaccia fra futures studies e studi religiosi: come portare la religione nel futuro, e il futuro nelle religioni. Un’interfaccia che intende lo studio del futuro quale opportunità per un intervento morale, una visione delle chiese di domani quali comunità scientifiche. Da un punto di vista operativo, abbiamo sezioni in vari paesi del mondo, un annuale riconoscimento al merito, un sito Web che può essere raggiunto all’indirizzo www.wnrf.org, lavoriamo in diversi settori come la fantascienza, e lo sviluppo attraverso di essa di una coscienza spirituale. Io, inoltre, sono attivo presso la University of Washington come consigliere di un gruppo locale di nome The Youth Futurist Academy, e del forum di membri professionisti della World Future Society.

Vorrei concludere con una nota di celebrazione e di invito. La nostra Youth Futurist Academy sta organizzando quello che chiamiamo il motore di ricerca del milione di giovani, che raggruppa mille città del mondo, con l’obbiettivo di formare i giovani con abilità per accedere al mondo dell’alta tecnologia, dei computer, per affrontare il millennium bug, lo sviluppo dei media e dei trasporti del futuro, in un modo che onori la migliore tradizione etica, con il miglior contributo dei futures studies, della fantascienza e della religione. Ci sono molte questioni che si offrono all’attenzione dei Youth Futurists. Ad esempio, qual è il capitolo di etica per lo spazio profondo? Produzioni come Star Trek ci pongono quesiti interessanti: ad esempio, non ci sono ministri religiosi nel futuro, secondo Star Trek. Forse, Dio non esiste nello spazio profondo, o nel futuro remoto, ma se ciò corrisponde a una falsa affermazione abbiamo bisogno che qualche giovane studioso ce lo dimostri.

Anni fa, la chiesa episcopale mi ha chiesto di scrivere una storia sul primo cappellano della luna, e con piacere dico che si trattava di una donna. Dobbiamo far tesoro, nei futures studies, del pensiero femminista, e di tradizioni etiche che non siano esclusivamente quella cristiana; personalmente, sto scrivendo un libro dal titolo The Tao of Driving. Le nostre comunità religiose devono essere adepte, e competenti, di etica del buddismo, induismo, ebraismo e così via, nel cercare un’integrazione di scienza e religione. Il fine ultimo dell’associazione di futurologi religiosi di cui faccio parte è di promuovere un abbandono del neoplatonismo, con la sua filosofia basata sulle idee, e di rimpiazzarlo con una teologia dell’agire, con una teologia di persone che fondano il futuro religioso attraverso comunità di persone, giovani e anziane, sagge. Il fine dei "Religious Futurists" è di mobilitare le energie etiche in ogni gruppo, in persone di ogni età, e di portare alla massima espressione la saggezza operativa nel mondo.

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