Biblioteca digitale (intervista) RAI Educational

Jerome Clayton Glenn

Chicago, 21/07/1998

"Il Millennium Project: un progetto di ricerca globale"

SOMMARIO:

  • Glenn descrive il Millennium Project (1).
  • L’intervistato spiega in cosa consista il metodo di ricerca sul futuro “Look out”, un’elaborazione del metodo “Delphi” che fu inventato negli anni ’60, durante la guerra fredda, dalla Rand Corporation, allo scopo di individuare le tecnologie militari strategiche per il futuro (2).
  • Le ricerche sul futuro pongono, secondo l’intervistato, “nodi problematici” e “opportunità”. I “nodi problematici” si riferiscono alle riflessioni che gli studi sul futuro dedicano ai grandi cambiamenti sociali (mondo del lavoro e disoccupazione, ruolo della donna etc), e “le opportunità” si riferiscono agli studi di potenzialità di miglioramento sociale che la tecnologia può apportare (3).
  • L’intervistato crede che il miglior atteggiamento sul futuro sia una posizione moderata e non, quindi, univocamente ottimista o pessimista (4).
  • I media non si interessano agli studi di futurologia, in quanto sono incapaci di dare conto della globalizzazione. I media di solito si focalizzano sui drammi, sui conflitti, sulla polarizzazione bene-male (5).
  • Uno degli imperativi etici di chi si occupa di studi sul futuro è quello di fornire visioni molteplici dei possibili scenari futuri (6).
  • I futurologi sono stati influenzati da un certo determinismo tecnologico nell’elaborazione di scenari possibili (7).
  • Secondo Glenn la rivoluzione tecnologica ha reso nell’insieme più complessa la nostra esistenza (8).
  • Nel giro di 25-30 anni dovremo aspettarci che gli oggetti che ci circondano saranno in grado di comunicare con noi, di apprendere e di adeguarsi ai nostri comportamenti (9).

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INTERVISTA:

Domanda 1
Ci può descrivere il Millennium Project, e indicare quali sono le sue basi, i suoi obbiettivi e le strategie che utilizza? E quali rapporti ha con la United Nations University?

Risposta
Il Millennium Project è un progetto di ricerca globale basato sulla raccolta internazionale di informazioni su temi cruciali quali ad esempio i cambiamenti nelle condizioni di vita, le tecnologie, l’economia e la salute pubblica. Si articola attraverso l’attività di nove nodi, vale a dire di nove gruppi—composti da singoli e da istituzioni—sparsi in tutto il mondo, che traducono i dati raccolti in linguaggio di sviluppo, identificano i principali studiosi del futuro nella loro area di competenza, raccolgono informazioni attraverso questionari e predispongono i dati raccolti in modo tale che possano poi essere utilizzati per ulteriori attività di analisi. Inoltre i nodi hanno anche il compito di presentare la loro attività e i risultati dei loro studi alle classi politiche. In Italia ad esempio credo siano stati interpellati il ministro dell’ambiente Ronchey e anche il presidente della Commissione per le Pari Opportunità, Costa. I dati che noi rendiamo pubblici, attraverso le nostre pubblicazioni e in Internet, non sono dunque solo il risultato di una speculazione teorica ma sono anche l’esito del confronto con i soggetti che sono responsabili delle scelte nei settori più strategici per il futuro.

La United Nations University, che ha il suo quartier generale a Tokyo, è invece il principale organo di ricerca accademica delle Nazioni Unite. Dal punto di vista legale ha lo stesso statuto dell’undp (United Nations Development Program), o dell’Unicef; dal punto di vista scientifico si occupa di ricerca a livello mondiale secondo gli interessi e gli obbiettivi delle Nazioni Unite. Quello della United Nations University è un caso molto interessante. Si tratta infatti del principale organismo di ricerca delle Nazioni Unite, il cui obbiettivo è quello di raccogliere e rendere disponibili a livello mondiale le più importati ricerche internazionali nei settori strategici (da quello dell’alimentazione, al settore dello sviluppo tecnologico e così via).

Il Millenium Project però non è un progetto diretto della United Nations University bensì un progetto dell’American Council, l’organismo che si occupa delle relazioni fra la United Nations University e Washington, e questo ne consente una gestione più flessibile.

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Domanda 2
Ci può descrivere il metodo Delphi e indicare quali sono i più affidabili metodi di ricerca sul futuro?

Risposta
Il metodo Delphi fu inventato negli anni ‘60, in piena guerra fredda, dalla Rand Corporation al fine di individuare le tecnologie militari strategiche per il futuro. L’idea era quella di raccogliere, in modo economico, le riflessioni dei migliori scienziati e tecnici rispetto a cosa sarebbe potuto accadere nel futuro, a come e quando sarebbe accaduto, e rispetto a quali fossero i migliori metodi di prevenzione di certi rischi, e così via. L’idea era insomma quella di far confluire un sapere diffuso, il miglior sapere disponibile, con una generalizzata attività di elaborazione di inferenze sul futuro a partire da questo sapere.

Per quanto ci riguarda noi usiamo, assieme a molte altre metodologie di ricerca, una elaborazione—chiamata Look Out—del metodo Delphi. Dove il cambiamento di nome non solo sottolinea un sia pure parzialmente diverso assetto metodologico, ma anche un volersi differenziare dalle implicazioni, così fortemente legate alla guerra fredda, che il metodo Delphi porta con sé, nel suo stesso nome. Inoltre, a differenza del metodo Delphi che era stato messo a punto per individuare una convergenza nelle previsioni e in particolare nelle previsioni sullo sviluppo tecnologico, il metodo Look Out, tiene conto di una molteplicità di prospettive. Lavora dunque meno sulla convergenza e più sulle differenze sebbene, come il metodo Delphi, parta da un campione costituito dalle figure più carismatiche in un determinato settore. Ciò che cerchiamo è uno spettro di giudizi rispetto alle tendenze in atto e a quelle future. Il nostro quindi è un approccio inusuale, nel senso che in definitiva quello che stiamo cercando di fare è documentare e, in un certo senso, organizzare, il "pensiero migliore" a livello mondiale.

Noi costruiamo ad esempio scenari, modellizzazioni per il futuro e soprattutto lavoriamo sulle metodologie stesse, spiegando come funziona un metodo di ricerca, quale è la sua storia, quali sono i suoi usi quali i punti di forza e di debolezza Questo lavoro l’abbiamo svolto su circa una ventina di diverse metodologie. E ancora cerchiamo di elaborare nuovi metodi; come ad esempio quello che abbiamo denominato Science Mapping, che utilizziamo per capire quali siano gli orientamenti della ricerca scientifica per poi risalire a quali siano i possibili esiti tecnologici. Insomma di certo non utilizziamo solo dei questionari!

Un metodo che utilizziamo molto, in particolare, è la costruzione di scenari. Questo metodo fu inventato per prevedere, attraverso appunto degli scenari, quali fossero i possibili fattori scatenanti una guerra e quali fossero le possibili modalità di loro gestione. Rispetto all’utilizzo tradizionale degli scenari, che di solito analizzano la globalità dei fattori rispetto a una situazione delimitata (una nazione, una multinazionale ecc.), noi elaboriamo scenari globali su scala globale, rispetto cioè a tutta l’umanità. Il nostro gruppo è l’umanità in generale, non un oggetto in particolare. In questo approccio agli scenari globali, il nostro metodo consiste nel chiedere al nostro campione di isolare quello che a loro parere è il principale, o uno fra i principali, motori del cambiamento rispetto a ciò che verosimilmente potrebbe accadere. Poi chiediamo loro quali sono le norme principali, quali futuri considerano desiderabile, fra quelli che sono valutati, inventati, analizzati, per fornire infine un set di scenari esplorativi e un set di scenari normativi. Nell’elaborare questi scenari, sia esplorativi che normativi, noi teniamo poi conto dei dati che ci vengono dagli studi condotti con Delphi o Look Out; e questa fusione di metodologie, che, da un certo punto di vista ci consente di avere un processo partecipativo globale, è una nostra prerogativa fra gli istituti di ricerca.

Un altro aspetto unico della nostra ricerca a livello metodologico è che per creare scenari non usiamo semplicemente dei modelli informatici come punto di partenza, come si fa normalmente. Noi invertiamo il processo: raccogliamo i dati da tutto il mondo, li investiamo nella creazione di scenari, e poi applichiamo al risultato diversi modelli informatici per verificare quali siano i problemi, le incoerenze, il grado di implausibilità statistica, e dunque la qualità, degli scenari stessi.

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Domanda 3
Quali pensa che siano le maggiori sfide, le più grandi opportunità e i maggiori rischi del nuovo millennio? 

Risposta
Per non dilungarmi dovrò offrire solo qualche breve cenno, in modo da offrire uno spettro di riflessioni interessanti a questo proposito. Come ho già spiegato noi individuiamo i processi di sviluppo e di cambiamento attraverso un procedimento di registrazione e di categorizzazione in temi che dura un anno; successivamente poi ci chiediamo quali sviluppi a livello globale producano una differenza significativa. Quindi registriamo e categorizziamo in temi questi sviluppi e li trasformiamo in opportunità, li riduciamo a 15 problemi cruciali e a 15 opportunità. E’ insomma un’operazione ad imbuto che porta ad isolare i problemi e le opportunità cruciali. Ovviamente si tratta di una operazione molto complessa, che richiede un grande sforzo di analisi, così come molto delicata è anche la gerarchizzazione (da 1 a 15) fra problemi e opportunità.

Nel rispondere alla domanda, su quali siano i problemi e le opportunità cruciali, inizierò dall’elencare i problemi, seguendo una delle regole della ricerca sul futuro, vale a dire il tener presente, qualunque sia il nostro oggetto di indagine, che esso sarà sicuramente più complesso di quanto si possa credere. Partendo da questo assunto, di consapevolezza della complessità, si sarà sempre abbastanza vicini a quello che effettivamente ci attende.

Un primo tema cruciale è il cambiamento, molto complesso e in corso ovunque, del significato e delle relazioni del lavoro, del tempo libero e della disoccupazione. I cambiamenti di regole, di senso, in questi settori sono più complessi di quanto ci si potrebbe aspettare e lo saranno ancora di più in un futuro dove ciascuno di noi, più che a se stesso come dipendente, dovrà pensare a se stesso come impresa.

Lo scarto fra gli standard di vita fra ricchi e poveri è destinato a diventare ancora più radicale e conflittuale. Certo possiamo intervenire a questo proposito, ma al momento le cose stanno decisamente peggiorando. Si sente più spesso dire che "i ricchi stanno diventando sempre più ricchi e i poveri, a loro volta, sempre più ricchi"; ciò è vero però solo se si considerano due paesi come l’India e la Cina, che stanno di fatto migliorando la loro situazione economica, ma eccezion fatta per queste due realtà il livello di povertà nel mondo è il medesimo, se non è addirittura peggiorato. E’ vitale, inoltre, capire che non si tratta di un problema che riguarda le singole nazioni: il divario fra ricchi e poveri è una questione umana, di diritti umani. Anche nelle nazioni più ricche, il divario fra poveri e ricchi sta crescendo e ogni volta che questa divisione si è radicalizzata ne è risultato il prodursi di conflittualità. Questo dunque è un problema che dobbiamo affrontare molto più seriamente di quanto sia stato finora fatto. E se si pensa che si abbia un atteggiamento estremista, al riguardo, si è fuori posto, perché questa tendenza non ha dato al momento segni di inversione di rotta.

La crescita della popolazione e dell’economia poi si collega alla qualità dell’ambiente. Questo è ormai molto chiaro, anche se non sono chiare le strategie di intervento. L’acqua ad esempio è ormai scarsa in alcune zone del pianeta e questo è uno dei primi elementi di allarme ambientale. Consideriamo il fabbisogno d’acqua, consideriamo le minacce sempre più frequenti di epidemie, naturali o indotte con armi biologiche, consideriamo i problemi di gestione dei grandi impianti idrici. Pensiamo ad una grande città come il Cairo, dotata di impianti obsoleti che non consentono la purificazione dell’acqua. Questo non è un problema semplice da risolvere perché coinvolge non solo la disponibilità di risorse naturali, ma anche la gestione delle risorse stesse.

I piani energetici basati sul nucleare stanno invecchiando, e questo è un problema che dobbiamo tenere in considerazione molto attentamente. Non si tratta semplicemente di eliminare gli impianti nucleari ormai non più efficienti, che di per sé costituisce un problema colossale, dato che circa 500 centrali dovranno essere smantellate nei prossimi 15 anni. Dobbiamo considerare come gestire le scorie radioattive, e gli elementi prodotti dallo smantellamento di queste centrali. E soprattutto ci sarà un deficit di produzione di elettricità. Ciò significa che dobbiamo, oltre che affrontare la dismissione dei vecchi impianti nucleari, creare una nuova fonte di energia, tenendo in considerazione che la popolazione mondiale sta crescendo, e con essa dunque il fabbisogno di energia che nel frattempo dobbiamo penare a gestire.

Un’altra area problematica è quella dell’Information Technology, che—al pari della crescita economica—ha in sé valenze positive e potenzialmente negative; e molte persone sono ovviamente preoccupate per le implicazioni culturali di questo cambiamento globale. Per cui dobbiamo imparare a gestire anche questo fattore. Al momento, sì, si è prodotto un software che blocca il caricamento di pagine Web offensive per certi utenti. Una soluzione del genere risponde senz’altro ad alcuni problemi, ma non si può dire che ci si sia confrontati in modo articolato con le implicazioni culturali della tecnologia informatica.

Anche lo status delle donne sta cambiando nel mondo, e non si tratta semplicemente di un processo di crescita della autonomia sociale ed economica della donna, non si tratta solo di maggiori libertà e di nuove responsabilità, si tratta di un cambiamento dei ruoli maschili e femminili che non implica una semplice crescita di uno rispetto all’altro. Sono i ruoli stessi a rinnovarsi. Sono in corso di sperimentazione nuovi sistemi di fecondazione, si stanno diffondendo nuovi modi di vivere, si stanno costruendo nuove relazioni, mai così complesse in precedenza.

Fin qui, i nodi problematici. Ma abbiamo anche delle opportunità, come ho detto. Una fra le più significative a nostro avviso è che si va raggiungendo il consenso sul fatto che la sostenibilità dello sviluppo è un fine primario rispetto a ogni altro. Si tratta di un segno di speranza molto importante, con le conferenze di Rio, o quella sul cambiamento climatico a Kyoto, il confrontarsi con questioni come l’assottigliarsi dello strato di ozono. In quanto specie stiamo prendendo coscienza del fatto che lo sviluppo sostenibile è un obbiettivo possibile e doveroso; si tratta solo di studiarne le modalità. Ed è fondamentale che l’umanità possa trovarsi d’accordo su qualcosa. Non è importante l’orientamento politico: ciò di cui abbiamo bisogno, e qui sta la grande opportunità, è un incitamento all’intervento, al dialogo, a reagire. La lezione storica è chiara in tal senso: quando la gente ha un generale sentire ma non vi è scintilla, non si produce cambiamento. Non vi è ancora stata la scintilla che renderà concreto lo sviluppo sostenibile, in parte forse perché l’idea della gestione di un patrimonio, che presiede a questa sostenibilità, non è troppo eccitante. Perché sostenibile, si potrebbe chiedere. Forse la scintilla verrà da un nuovo orientamento dell’umanità, oltre l’orizzonte della guerra fredda, oltre i nazionalismi, verso un nuovo grado di civiltà; o forse verrà prodotta da qualcosa d’altro. Ma in ogni caso, dobbiamo determinare come muoverci in chiave di sostenibilità, e poi produrre quella scintilla che renda concreto lo sviluppo sostenibile. Se ne sta parlando, senza dubbio, ma manca ancora un azione decisiva in tal senso.

Muovendoci verso un’altra opportunità—non posso dilungarmi in un elenco completo, che si trova del resto nel volume State of the Future 1998, che ho curato con Ted Gordon—troviamo la possibilità di cambiare le istituzioni. Si tratta di un’opportunità straordinaria, e spesso si sottovaluta la rapidità con cui cambino le istituzioni, e il nostro sapere su questo processo. Da un lato la gente si lamenta di sistemi istituzionali sorpassati, che producono un irrigidimento dell’università, dell’ordinamento governativo, o di quant’altro. Ma sappiamo anche che le istituzioni possono essere modificate. Un esempio. L’anno scorso, in California, ha avuto origine un evento chiamato net day. Il net day è stato una giornata nel corso della quale 25000 scuole si sono interconnesse. Questo evento non aveva una segreteria organizzativa, e non aveva finanziamenti di sorta. Si è trattato di un’attività in Internet organizzata dallo stesso popolo della Rete, e ha investito milioni di persone. Ed è un esempio di nuove forme istituzionali. Abbiamo dunque, a fronte di problemi estremamente significativi, delle enormi opportunità, e le capacità di affrontare i problemi. Dobbiamo solo trovare la volontà di farlo.

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Domanda 4
Alcuni ci chiedono di moderare le nostre aspettative sul futuro. Ritiene che delle aspettative più modeste giustifichino un maggior ottimismo sulla loro concretizzazione?

Risposta
Questa è una domanda cui è difficile rispondere in modo semplice, perché gli studiosi del futuro sono un po’ come un medico personale. Ad esempio, se il governo, l’azienda o l’istituzione per cui si sta lavorando, ha un atteggiamento molto pessimista il futurologo deve, un po’ come un buon medico, mostrare quali sono le opportunità; se invece il cliente è troppo ottimista, noi cerchiamo, beh, di terrorizzarli. L’essere ottimisti o pessimisti dunque è un concetto piuttosto relativo e dipende molto da chi si ha di fronte. Ma dato che non so chi ascolterà queste mie parole, non posso applicare questa regola.

Mi limiterò pertanto a dare un piccolo consiglio. Negli anni 60, in Africa, la prospettiva di affrancarsi dallo statuto coloniale, sbarazzandosi delle presenze europee e in genere di chi non era africano, sembrava offrire solo pace, prosperità, crescita. Sappiamo che le cose non sono andate così, e fra le conseguenze di ciò vi è la grave condizione depressiva di questo continente, la mancanza di fiducia nel futuro, e dunque una comprensibile rassegnazione a non apprendere, a non prendere iniziative. Questo è il risultato delle eccessive speranze, che hanno creato un risultato diametralmente opposto, un profondo pessimismo. E allora si rende necessario oggi dare iniezioni di fiducia all’Africa. Un altro esempio è offerto dall’esperienza degli Stati Uniti durante la guerra fredda, quando attraverso dei sondaggi vidi che la gran parte delle persone ritenevano probabile l’eventualità di una guerra nucleare con l’Unione Sovietica. Ciò significava che l’inconscio collettivo di quella civiltà non poteva prendere seriamente in considerazione un futuro a lungo termine, e che pertanto non fosse ragionevole investire energie mentali su tale lungo termine. Ora, un atteggiamento catastrofista, come il sostenere che la terra sia destinata a una lenta ma inesorabile distruzione, non può non produrre i medesimi effetti sull’inconscio collettivo. A mio avviso una posizione responsabile è di prendere coscienza dei problemi—le quindici categorie cui ho fatto prima riferimento—con cui ci confrontiamo, ciascuno dei quali ci può spazzare via. Ma un atteggiamento responsabile focalizzerà anche le opportunità che abbiamo, gli elementi che ci possono consentire di risolvere i problemi. Al bando insomma le posizioni univocamente ottimiste o pessimiste: abbiamo dei problemi concreti, abbiamo alcune risposte su come affrontarli; mettiamoci al lavoro.

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Domanda 5
Lei ritiene che questi metodi e queste previsioni siano sufficientemente noti al grande pubblico? Quale visibilità hanno sui media?

Risposta
I media sono incapaci di dare conto della globalizzazione; è un compito molto impegnativo. La televisione è un medium a una direzione. Io vi sto parlando ma non so che cosa voi stiate pensando. Il risultato è che i media di solito si focalizzano sui conflitti, sui drammi, sulla polarizzazione bene/male. Fortunatamente con i media interattivi, Internet ad esempio, il modo per catturare e mantenere l’attenzione del pubblico passa attraverso la cooperazione. Da questo punto di vista le cose sono molto diverse rispetto ai media tradizionali. E’ difficile per i media tradizionali fornire grandi affreschi del futuro, dal momento che il futuro è un oggetto troppo grande, troppo complesso per i mass media, per le loro modalità comunicative. Questo ovviamente ci rende poco presenti sui media tradizionali e al contempo ci chiede di intensificare la nostra collaborazione a livello di interazione con essi. Al momento infatti non abbiamo una grande visibilità, ma certo speriamo di ottenerne sempre di più.

Per quanto riguarda invece la metodologia di ricerca, vorrei far notare come la maggior parte delle metafore, delle idee tipiche della riflessione sul futuro siano divenute parte del sapere collettivo, si siano normalizzate, in tutto il mondo. Pensiamo agli anni ’60 o ’70: nessuno avrebbe chiesto, in quegli anni, "fammi uno scenario rispetto a questa cosa", o "quale è il peggior scenario ipotizzabile". Nessuno avrebbe usato frasi del tipo "fare di più con meno" e "come possiamo coniugare queste due realtà" o, ancora, usato termini come "sinergia".

Se si guarda al passato, ai discorsi del passato, alla letteratura, ai media, non si troveranno affermazioni ed espressioni come quelle che ho appena citato. Io credo invece che oggi molti dei concetti tipici degli studi sul futuro stiano permeando l’intera società. Oggi parliamo di "tendenze", di "impatti", eppure molti di coloro che usano questi termini e molti di coloro che addirittura costruiscono scenari del futuro non conoscono neppure le parola "futurologo". Pensiamo ad esempio a quanti fanno monitoraggio ambientale o monitoraggio dei media; queste persone guardano al cambiamento, usano concetti tipici dei Futures Studies eppure non li riconoscono come tali, spesso non conoscono neppure la disciplina. L’idea stessa del monitorare il cambiamento non esisteva negli anni ’60. L’idea che il cambiamento fosse un processo costante, e che ciascuno inventa il proprio futuro, era incredibile. Inoltre l’idea dei futuri normativi era prerogativa dei teologi, o comunque di una visione ideologica del mondo. Il comunismo offriva una visone del futuro, il cristianesimo ne offriva un’altra, ma l’idea che si potessero creare e inventare delle visioni del futuro era assolutamente sconosciuta. Ora l’idea diffusa è che ciascuno si deve inventare la propria vita, il tipo di vita che desidera. Ciò per noi è normale, ma non lo era per i nostri nonni.

In conclusione dunque direi che sebbene molte delle tecniche utilizzate dagli studiosi del futuro non siano note al largo pubblico e nonostante sia davvero difficile ottenere una copertura mediale adeguata, io credo che, anche grazie ai media, molti dei concetti proprio degli studi sul futuro siano ormai normali per tutti noi, siano parte della nostra quotidianità, e ora noi guardiamo in avanti molto di più di quanto non si facesse un tempo.

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Domanda 6
Quale è il ruolo dell’immaginario nei Futures Studies? In altri termini, che potere e responsabilità si hanno quando si elaborano le rappresentazioni del futuro?

Risposta
Quella che mi si pone è una domanda fondamentale, una domanda che dovrebbe essere sempre posta anche dopo aver avuto una buona risposta.

Chi controlla la nostra visione del futuro controlla il nostro comportamento. Questo meccanismo è evidente nella pubblicità. Dunque, io prendo un’auto, le metto vicino una persona attraente, e ciò che scatta è un meccanismo che porta a pensare che chi compra l’auto avrà anche la persona. Questo è un meccanismo di controllo delle nostre rappresentazione del futuro. Proprio per questo motivo io credo sia stato fondamentale il processo, avvenuto negli anni ’70 e ’80, di diffusione dell’idea che noi siamo padroni del nostro futuro, che noi possiamo crearlo.

Io credo che uno degli imperativi etici di chi si occupa di studi sul futuro sia quello di fornire visioni molteplici del futuro e una molteplicità di riflessioni su di esso, per poi spingere ciascuno di noi a elaborare una propria riflessione personale. Conosciamo bene i rischi della massificazione e io credo che la possibilità di elaborare differenti immagini del futuro sia una grande possibilità che mi rende molto ottimista, anche perché sempre più gente sta sfruttando questa possibilità. Finché ci saranno molte immagini del futuro, noi potremo assumere un atteggiamento ecologico nei loro confronti e questo ci consentirà di vivere una vita migliore. Ma se invece pensiamo in termini semplici, troppo semplici, al futuro, affermando ad esempio che ci aspetta la fine del mondo, o che avremo una guerra nucleare, o che i bioterroristi invaderanno gli aeroporti, se pensiamo solo in termini di futuri monotematici, che tutto sarà buono o cattivo, bene in questo modo faremo un pessimo servizio a noi stessi e agli altri. Elaborare una molteplicità di visioni porta la mente a riflettere, a porsi delle domande sulle scelte da compiere, sulle cose da fare. Elaborate le vostre immagini del futuro, partecipate alla loro costruzione. Gli studiosi del futuro hanno in questo una grande responsabilità e proprio per questo devono impegnarsi ad elaborare visioni molteplici del futuro.

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Domanda 7
Lei pensa che un certo determinismo tecnologico possa in qualche modo influire o aver influito sui Futures Studies?

Risposta
Certamente, è molto più facile prevedere un cambiamento nell’efficacia dei computer che un cambiamento nell’efficacia della mente umana, o il modificarsi del sistema valoriale di una società in cambiamento. Si, direi che può succedere, che è sicuramente successo, eppure la tecnologia è ovviamente solo una delle forze del futuro, non è di sicuro l’unico elemento da tenere in considerazione.

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Domanda 8
E’ d’accordo con chi saluta la rivoluzione tecnologica quale fattore decisivo nella semplificazione dell’esistenza?

Risposta
Di fatto io credo che le tecnologie abbiano reso, al contrario, le cose più complesse. Basta pensare alla molteplicità di scelte che dobbiamo effettuare. Io credo che la tecnologia non semplifichi le condizioni di vita, forse può renderci la vita più semplice nel senso ad esempio che non mi devo lavare a mano i vestiti, ma in senso più ampio ha reso la nostra vita estremamente complessa. Ora ad esempio è molto facile per chiunque inondare il mondo di notizie e di informazioni, cosa impossibile sino a non molto tempo fa. La tecnologia a mio parere è uno dei fattori di complessità, ma questo non ci deve rendere ostili verso la tecnologia stessa e neppure deve portarci a chiamarci fuori; questo sarebbe infatti davvero irresponsabile. Recentemente, negli ultimi due anni, c’è stata una diffusa lamentela a proposito del fatto che solo il 2% di tutti i siti Web era scritto in una lingua che non fosse l’inglese. L’anno scorso la percentuale è salita al 18% e adesso esistono diversi programmi, distribuiti dalle ditte produttrici di software, che consentono di tradurre automaticamente i siti Web in altre lingue. Questo ci insegna, a mio parere, che le campagne vuote, le lamentele sono inutili: insomma, piuttosto che imprecare contro il vento, costruiamo dei mulini.

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Domanda 9
Che cambiamenti dobbiamo aspettarci nel settore delle comunicazioni?

Risposta
Io credo si debbano tenere in mente un paio di cose. La prima è che arriveremo ad avere cose che sembrano vive. Mi spiego: pensate al vostro videoregistratore, se fosse più "vivo" non solo vi permetterebbe di registrare e di vedere una cassetta, ma si ricorderebbe anche i vostri gusti, risponderebbe ai vostri comandi dati a voce e così via. Bene guardiamoci intorno, guardiamo tutti gli oggetti che ci circondano, dalla televisione agli abiti, dai gioielli ai mobili, e pensiamo che nel giro di 25-30 anni questi oggetti saranno in grado di parlarci, di ascoltarci, di apprendere, di adeguarsi ai nostri comportamenti.

Come avverrà tutto ciò? Uno dei motori di questo cambiamento è sicuramente il processo di miniaturizzazione già in corso. Noi stiamo costruendo computer sempre più piccoli e saremo in grado di rimpicciolire ulteriormente le nostre tecnologie. Ad esempio, io potrei avere un computer negli occhiali, con il processore nelle stanghette, e potrei comunicare, attivando il collegamento con una parola chiave, con un amico che sta dall’altra parte del mondo, e poi, stabilire la connessione con un’altra persona visualizzandola sull’altra lente. Potrei comunicare con entrambe queste persone e al contempo parlare con voi e nessuno di voi saprebbe cosa sta succedendo. Con lo sviluppo delle nanotecnologie, noi possiamo avere computer, sistemi di trasmissione, sistemi di riconoscimento vocale, microfoni, sempre più piccoli, e potremo avere molte comunicazione in contemporanea.

Ho già fatto io stesso delle sperimentazioni in questo senso, che confermano come ciò possa avvenire normalmente. Certo è difficile immaginare che ci sia possibile condurre 3 o 4 conversazioni contemporaneamente, ma cercherò di spiegarmi con un’analogia. Stiamo guidando una vecchia auto la quale, raggiunta una certa velocità, inizia a vibrare. Spesso però, accelerando ulteriormente, le vibrazioni cessano. Una cosa simile avviene con la comunicazione multipla, o con altri fattori di complessità, che con la consuetudine e l’adattamento possono produrre un nuovo senso di stabilità. Si dice spesso che utilizziamo solo il 10% delle nostre capacità mentali, ed è un’affermazione facile perché non teme smentita, ma senza dubbio abbiamo la possibilità di imparare a gestire una condizione di maggior complessità. Ecco, se non altro in parte, perché prima ho affermato che bisognerà pensare a se stessi non più quali "dipendenti" ma come "imprese": perché saremo noi stessi, attraverso l’intervento della Information Technology e delle nuove tecnologie di comunicazione, dei sistemi con un’esistenza infinitamente più complessa.

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