INTERVISTA:
Domanda 1
Ci sono sempre più dei legami fra la televisione e Internet. Su Internet si possono già
trovare dei servizi che cercano di avvicinarsi alla televisione. Lei crede, come sostiene
George Gilder, che la televisione è destinata a morire per essere sostituita da Internet?
Risposta
E' un problema che non mi pongo mai perché credo che la televisione sia già morta; lo
penso anche del cinema, nel senso che entrambi i mezzi sono nati morti. Se pensiamo a
questa televisione, ovviamente forzatamente e fisicamente controllata da pochi poteri
economici e/o, di solito, governativi, la risposta dovrebbe essere superata; da sempre la
televisione, ma anche il cinema ci hanno fatto entrare in un universo del sentire più
ancora che del comunicare, un universo che va alla velocità della luce in rapporto alla
lentezza dei governi e alla pesantezza leggera del capitale. In questa prospettiva, la
risposta, ripeto, alla sua domanda dovrebbe essere affermativa. Invece credo che non
morirà, perché anche questa televisione, la più vecchia, quella generalista è quella
paradossalmente più vicina al tipo di desiderio indistinto dell'individuo. Credo,
inoltre, che proprio questa sorta di bisogno religioso che si solidifica nella vecchia
televisione sia attivo nel nostro desiderio verso questo orizzonte di rete dove dovrebbero
essere inghiottite parte di queste pesantezze da essere dissolte.
Domanda 2
La televisione che si avvicina ad Internet crede che possa offrire una maggiore libertà
per l'utente?
Risposta
Questa presunta "libertà" è qualcosa a cui credo pochissimo, una libertà che
un individuo si dà anche contro le costrizioni e contro i poteri. E' vero che Internet ci
offre una impressione di maggiore flessibilità, però si sostituisce, probabilmente, alla
libertà che non possediamo realmente, che altrettanto realmente non abbiamo su Internet e
che non possediamo in generale. In questo senso, di nuovo, la televisione è così palese
che il "poterino", il giochino di libertà del telecomando è pressoché nullo,
poiché la libertà televisiva è più palesemente inesistente e nello stesso tempo,
però, pur essendo così vecchia, sembra eccedere le capacità, per esempio, dei regimi
democratici di giudicarsi. Non credo molto nel discorso: "più libertà, meno
libertà". A mio avviso, il senso della rete può essere quello di un orizzonte e
soprattutto una zona di linguaggio dei linguaggi, quello, cioè, di mettere il linguaggio
come vogliamo, oltre la pubblicità, oltre il visivo; anche se adesso ci si riprecipita,
con Internet, dentro con tutto il visivo, con tutto il televisivo, con tutto il filmico,
con tutte le forme di scrittura possibili, dovremmo, comunque, dubitare di tutto il
linguaggio che abbiamo potuto parlare fino ad oggi, in una sorta di azzeramento, più
ancora che di superamento, appunto, dell'illusione di nuovi valori, di nuove libertà,
nuove comunità. La vera illusione che abbiamo, e a volte è insita anche nelle domande
che ci poniamo su Internet, è quella sull'importanza della comunicazione: finché ci
poniamo in un universo di comunicazione, certo che Internet risulta più potente di altri
mezzi, certo che concentra tutti i modi usati fino ad oggi per comunicare. E' più
interessante riflettere su quello che non è Internet di quello che è; quello che non è,
è sbarazzarci anche della necessità di dovere accedere a una rete, sentirsi in rete,
senza abbonarsi, senza avere i mezzi, superare questi mezzi che sono leggeri, ma che
invece sono ancora pesanti e io la pesantezza la trovo tutta nei tempi, in questi due,
tre, quattro, cinque secondi di attesa che sono insopportabili perché quello che ti
promette la rete è l'istante, essere all'istante in rete, all'istante ovunque, e poi,
invece, questi due secondi sono quelli che ti allontanano dall'eternità del presente.
Domanda 3
L'interattività può nascondere una limitazione, in realtà, della libertà?
Risposta
Non c'è dubbio che l'interattività idolatrata come linguaggio, come parola non ha alcun
senso; direi, anzi, che nel suo senso più spinto sia una sorta di negazione della
libertà. E' come quando avvertiamo - perfino in televisione in certi stacchi, in certi
piani d'ascolto, in programmi tradizionalissimi, nei talk show più pesanti nazional-
popolari, nelle prime serate di Santoro - un piano di ascolto che non ci aspettiamo, e poi
scompare. Oppure il piano di ascolto della persona che ha un trasalimento vedendosi un
attimo nel monitor di controllo che c'è in studio e si vede inquadrata: c'è un momento
di incertezza; in quel momento è come se la persona stessa, e noi che guardiamo,
sentissimo il potenziale anche solo in quello studio, ci sembra assurdo che non ci siano
tanti canali, o tante inquadrature, più banalmente, o tante telecamere quante sono le
persone presenti nello studio. Poi, ognuna di queste persone ne meriterebbe e ne
sopporterebbe migliaia, milioni di telecamere, tante quanti sono i modi infiniti di
perforare lo spazio. Allora, se uno si sente trafitto dall'infinito possibile della
comunicazione, ha almeno qualche possibilità di sentirsi nudo, di non sapere cosa sia la
libertà. Cosa è la libertà di scegliere quando un individuo può intravedere due o tre
di questi canali (sottolineo "canali"), o di questi modi di essere sapendo che
sei attraversato da migliaia, milioni di altri che non controlli, che non conosci, che non
sai come funzionano? E' lo stesso discorso della comunicazione. Quello che mi interessa
molto e mi affascina, e forse mi spaventa anche, di questo orizzonte della rete, è,
invece, questo riportarci a quel grado zero che dicevo, per cui non si ha bisogno di
volere comunicare ma, in qualche modo, si comunica automaticamente. Io credo che tale
automatismo sia sempre esistito nella storia dell'umanità, ma adesso, avendone coscienza,
crea in me una fortissima sensazione di disagio, il disagio della tecnologia vita, della
vita che in parte, forse in toto, è tecnologia essa stessa; però, non ho più bisogno di
accedere a una schermata: muovo velocemente la testa e sono collegato con milioni di altri
esseri, di altri soggetti, di altre parti di macchine, di altri sistemi comunicanti.
Personalmente sono più portato a vedere e a sentire questo lato, che è il lato, se
vogliamo, dell'esperienza estetica in sé, in cui si risolve o, se qualcuno pensa che sia
troppo nichilistico il dirlo, si ridissolve tutta la vita. La comunicazione è frenetica.
Rispetto a quale scala sia frenetica io non lo so dire... Ma mi sembra troppo aspettare un
secondo in questa dimensione, mentre mi piace aspettare sette ore angosciato una persona
amata. Mi piace o mi terrorizza.
Domanda 4
Adesso si parla molto di TV tematica. Quali sono i settori su cui si deve puntare per
avere dei canali tematici di successo?
Risposta
I canali tematici di successo, purtroppo, si può intuire quali siano. Ci sono diverse
gamme di "canali nostalgia" che potrebbero avere un ottimo successo, anche di
nostalgia dell'immediato, nostalgia dell'anno prima, addirittura canali indicati
dall'anno, in un certo senso. E poi è sufficiente scegliere i, le discipline più
preesistenti in diversi settori; nel campo televisivo, per esempio, può essere lo sport.
Io credo che esistano diverse forme di collezionismo che sopporterebbero e supporterebbero
un canale tematico, e trovo che il canale tematico arrivi tardissimo non solo in Italia,
ma, in generale, come servizio. Il canale tematico aveva senso nel momento di trionfo
della televisione generalista, non nel momento del suo declino. Nel momento del declino,
viceversa, questo sviluppo è in ritardo rispetto a quello che i mezzi già vecchi ci
avevano fatto intravedere. Ripeto: il canale tematico è vecchio rispetto alla TV
generalista, perché si tratta, ora, di spezzettare, di sistemare, mettere, sugli
scaffali, in vendita quello che prima era un po' più confusamente venduto. Credo che si
tratti di una banale risistemazione del mercato. A mio avviso ciò che manca è
l'intensità televisiva, il fascino del pericolo televisivo. La televisione, di nuovo, è
abbastanza indifferente all'intensità come io la intendo. Se io avessi in mano un canale
tematico cercherei di inventare, di scrivere un'altra televisione, già sapendo, però,
che ho in mano un vecchio strumento di comunicazione, una cosa tramontata prima ancora di
apparire.
Domanda 5
Non crede che con queste tecnologie, sia delle forme di televisione più avanzata, sia
Internet, rischino di creare una classe di esclusi?
Risposta
Sicuramente! E ciò anche prescindendo dalla formazione culturale e dalle stratificazioni
di classe. Per rispondere esattamente alla domanda, credo che gli esclusi sarebbero,
paradossalmente, i privilegiati, i privilegiati e gli esclusi si toccherebbero, si
darebbero davvero la mano. In un futuro immediato, neanche prossimo, il privilegio dei
potenti o di individui particolarmente liberi rispetto agli obblighi della comunicazione e
alla comunicazione come obbligo, come dovere sociale (che è veramente l'idolo più
orripilante del nostro tempo), trovo, sia quello di non dovere comunicare, di essere
liberi da quest'obbligo. Naturalmente, per altri la cosa terribile sarà non potere
neanche accedere a quei quindici minuti o secondi "warholiani" di celebrità, di
sicurezza del passaggio televisivo che dà il senso d'identità o che conferma il bollino
sulla carta di identità. Mi piace pensare che tra dieci anni si richiedano case senza
cavi di nessun genere, poiché, in maniera forse utopica, ridicola o fantascientifica, non
si ha bisogno di cavi! Così come, in qualche modo e con alcune persone, quelle che si
amano o si odiano di più, si ha un contatto che prescinde dalle lettere, dalle
telefonate; non si ha bisogno del telefono, non si ha bisogno del cavo. A volte sembra
davvero di essere in contatto; rarissimamente, ma succede. Io credo che di ciò Internet
sia il simulacro, non delle nostre forme di reazioni già avvenute, storicamente
depositate, ma di qualche cosa che non conosciamo bene ancora: di un tipo di comunione,
comunanza più che comunicazione dove non c'è bisogno del mezzo, del feticcio.
|
|