INTERVISTA:
Domanda 1
Professor Luciano Gallino, secondo lei, stiamo andando verso una forma di disoccupazione
tecnologica? In altre parole, è possibile che le nuove tecnologie portino non a un
aumento, ma a una riduzione delle opportunità di lavoro?
Risposta
Bisogna intendersi: la tecnologia è essenzialmente un mezzo per fare due cose diverse. Da
un lato si può cercare di produrre di più, anche molto di più, utilizzando la stessa
quantità di forze di lavoro. D'altra parte, si può cercare di utilizzare le
potenzialità della tecnologia per ridurre le forze di lavoro impiegate per produrre un
determinato volume di beni o di servizi. E di qui viene fuori unequazione molto
semplice: fintanto che si riesce ad aumentare la produzione, il che vuol dire fintanto che
si riescono ad allargare i mercati, la tecnologia non produce disoccupazione, perché la
forza lavoro rimane costante e quello che si allarga sono i volumi di produzione, sono i
mercati. I mercati, però, diversi tra di loro, variati come sono, non possono in generale
espandersi all'infinito. Quando i mercati non possono più espandersi, la tecnologia viene
impiegata prevalentemente per ridurre le forze di lavoro e incomincia a profilarsi lo
spettro della disoccupazione tecnologica. Per evitare di ridurre le forze di lavoro e
quindi di imboccare troppo rapidamente la strada della disoccupazione tecnologica, è
stato inventato da più di un secolo lo strumento della riduzione degli orari di lavoro.
Un tempo, all'inizio secolo, si lavorava 3000 ore l'anno, a metà del secolo circa 2500, e
oggi la maggior parte dei lavoratori ha un orario medio annuo di 1600-1700 ore di lavoro.
Questo è uno dei vantaggi della tecnologia, di poter mantenere occupate le persone
riducendone la prestazione. Però lequazione che ho sommariamente ricordato ha anche
delle rigidità che non si possono ignorare. Se i mercati sono saturi, in qualche modo si
tende a ridurre le ore di lavoro impiegate per realizzare quella tale produzione.
Domanda 2
Come risponde a coloro secondo i quali per ogni posto di lavoro perduto le nuove
tecnologie ne creano almeno in altro?
Risposta
Bisogna vedere quale capacità di resistenza hanno coloro che perdono il posto a causa
dell'introduzione di una certa tecnologia, in attesa di trovare un posto che sia generato
da una tecnologia diversa perché, questa corrispondenza, che si trova in tutti i libri di
testo, in certi casi ha funzionato. Però se un tale o una tale perde il posto nel 1999 a
causa di una innovazione tecnologica e lo ritrova a fine anno o magari l'anno prossimo, è
possibile che possa resistere tanto, ma se il nuovo posto viene creato da nuove tecnologie
nel 2005 o nel 2010, l'equazione nella sua ovvietà rimane valida, però quel tizio avrà
avuto tempi molto duri e probabilmente si sarà ritirato dal mercato del lavoro da
parecchio tempo. Aggiungo che questa equazione da libricino di testo regge molto meno
nelletà dell'automazione spinta, quella che io chiamo lautomazione
ricorsiva. I posti che la tecnologia creava nuovamente dopo averne soppressi una
certa quantità erano recuperati in parte dall'allargamento dei mercati ma in parte anche
producendo mezzi tecnologici, cioè producendo le stesse macchine produttrici di beni e
servizi che i mercati fino ad un certo punto assorbivano. Con l'automazione applicata a se
stessa, le macchine producono altre macchine per fare l'automazione, il processo di
automazione raggiunge livelli altissimi e quindi non c'è più nessuna speranza o
perlomeno si riducono di molto le speranze di trovare prima o poi un nuovo posto di lavoro
nei settori che producono la tecnologia che ha eliminato il posto originario, il posto di
partenza.
Domanda 3
Dove incidono di più le innovazioni? Sul lavoro industriale, su quello impiegatizio o su
quello professionale?
Risposta
Con diverse modalità e in diversa misura incidono su tutti e tre i campi. Per quanto
riguarda i tassi di occupazione in senso stretto, si può dire che così come l'industria
ha imboccato la strada dell'agricoltura, che porta ad avere pochi punti percentuali di
addetti sul totale della popolazione, così i servizi, o perlomeno gran parte dei servizi
del terziario, stanno imboccando la strada dell'industria e quella precedente
dell'agricoltura. Questo perché le tecnologie producono servizi di moltissimi tipi
differenti con tassi di produttività rilevantissimi. Per quanto riguarda l'ambito
strettamente professionale, che so, l'ambito del medico, dell'architetto, del designer,
eccetera, forse sono meno rilevanti gli incrementi di produttività ed è invece rilevante
la profonda trasformazione della professione in qualcosa di molto diverso in presenza
della disponibilità di nuove tecnologie. Quello che è certo, è che non si può sperare
di recuperare nei servizi quello che l'automazione sta eliminando in termini di forza
lavoro nell'industria, perché i servizi sono automatizzabili esattamente come è
automatizzabile la produzione di beni. Non tutti i servizi sono automatizzabili ma nemmeno
tutti i beni sono automatizzabili, noi ci tagliamo ancora i capelli grazie ai servizi di
un artigiano e nei due ambiti le cose continueranno ad essere in parte affidate alla mano
umana, ma sta di fatto che una grandissima parte dei servizi è destinata a seguire la
strada dell'automazione, esattamente come quella della produzione di beni.
Domanda 4
Pensa che questi processi determineranno nuove forme di conflitto sociale e di che tipo?
Risposta
Certamente sì, anche conflitti variamente incrociati. Per intanto, il conflitto a cui
stiamo assistendo, è il conflitto dovuto a crescenti diseguaglianze. In tutti i paesi
industriali, compreso il nostro (e il nostro ancora in misura più limitata di altri) lo
sviluppo tecnologico degli ultimi 20 o 30 anni, ha voluto dire un fortissimo incremento
delle disuguaglianze tra il quinto che guadagna meno e il quinto che guadagna di più
delle forze lavoro. Se poi si prendono delle percentuali più piccole, le differenze sono
ancora più grandi, soprattutto negli Stati Uniti ma anche in paesi come la Gran Bretagna,
come la Francia, come il nostro, ma perfino in Cina, dove le disuguaglianze sono cresciute
moltissimo. Questo è un conflitto vecchio quanto il mondo, che però le tecnologie
tendono ad accelerare ed inasprire. E poi vi sono conflitti legati, diciamo, più
intrinsecamente alle tecnologie. Molte tecnologie migliorano la vita, permettono di
lavorare meglio, meno faticosamente, molte tecnologie divertono, stimolano l'intelletto,
permettono di fare cultura e così via. E allora la differenza che viene introdotta è tra
chi può dominare queste tecnologie, che permettono di vivere meglio e chi, invece non è
in grado di utilizzarle adeguatamente, vuoi per ragioni economiche e vuoi per ragioni
culturali o magari politiche. Teniamo presente che in parecchi stati del mondo le nuove
tecnologie sono oggetto di censura, limitazione, controllo poliziesco e simili. Quindi uno
dei grandi conflitti del prossimo futuro sarà tra chi è pienamente cittadino, pienamente
partecipe della cittadella tecnologica e chi invece deve accamparsi sotto le sue mura.
Domanda 5
Quali potrebbero essere le indicazioni per una possibile soluzione?
Risposta
Per quanto riguarda le nuove tecnologie, vè una grande necessità di informazione,
di discussione e anche di una politica al tempo stesso tecnologica e culturale che tenga
presente l'imminenza di questa frattura e cerchi di inventare i modi per ridurla, per
eliminarla. Molto si può fare attraverso la scuola, l'università. Sicuramente finora non
si è fatto abbastanza sia perché si crede nella diffusione automatica delle nuove
tecnologie sia per tutta una serie di fraintendimenti. In genere, per stare in ambito
scolastico, molti insegnanti, molti operatori della scuola e molti burocrati, che si
occupano di scuola, e anche molti politici che si occupano di scuola, scoprono una certa
tecnologia e balzano a cavallo per diffonderne l'uso proprio quando quella tecnologia sta
uscendo di scena: cioè sono il ritardo di 3-5-10 anni e 3, 5 o 10 anni nel campo delle
nuove tecnologie equivalgono alle generazioni di 25 o 30 anni.
Domanda 6
Come si ridefinisce con le nuove tecnologie il rapporto fra tempo libero e tempo di
lavoro?
Risposta
Attorno alle nuove tecnologie ci sono molti equivoci per esempio che siano facilissime da
usare, che uno possa imparare a utilizzarle da solo e così via. Se ci si pone in grado di
saperle usare a livello professionale, le nuove tecnologie possono dare luogo a sorprese
interessanti perché in molte ore della giornata possono portare a un qualche tipo di
fusione tra lavoro e divertimento. Uno come me che usa moltissimo la rete per comunicare,
per studiare, per lavorare, trova anche durante la giornata molti spunti di divertimento
perché scopre nuove cose, si accorge di potersi muovere in un modo che prima non gli
riusciva, ha delle sorprese dallo schermo, dalle reti, dalle comunicazioni che gli
arrivano da tutte le parti del mondo. E d'altra parte, lavorando fuori ora quando uno
cerca di divertirsi, può di nuovo scoprire che mentre apre un sito per divertirsi impara
qualcosa che gli sarà utile sul lavoro; io lo considero nell'insieme uno sviluppo molto
positivo perché rende il lavoro un po meno meccanico, meno ossessivo, e rende il
divertimento più mirato, un po meno erratico. È una forma di ibridazione molto
positiva e che moltissime persone, che incominciano a usare con capacità professionali la
rete, stanno con loro spasso scoprendo.
Domanda 7
Una delle trasformazioni del mondo del lavoro alla quale le nuove generazioni si stanno
già abituando è la flessibilità, il che vuol dire riscrivere il proprio ruolo di
lavoratore. Ciò implica stimoli maggiori a puntare ad una formazione più ricca e
approfondita?
Risposta
Reinventarsi di continuo un nuovo ruolo lavorativo, è cosa che mi pare molti giovani
sappiano fare bene, ma in questo caso non si tratta propriamente di una forma di
divertimento. È una condizione che i giovani subiscono e che, avendo potuto dotarsi degli
strumenti tecnici e intellettuali adeguati, riescono a dominare in modo relativamente
accettabile. Ma di questo non dobbiamo farne una sorta di ricetta per lavorare o per
vivere meglio perché in molte condizioni può essere molto stressante. Per quel che
riguarda la formazione il mettere insieme pezzi di lavoro differenti può essere formativo
e utile. Io insisto molto sull'opportunità e anche sulla naturalezza di ibridare lavori
differenti, di metter pezzi di informatica mentre si fa una ricerca biologica o di mettere
pezzi di storia dell'arte in una ricerca psicologica e così via; ritengo vi sia un grande
futuro per le professioni ibride, per le professioni opportunamente contaminate. Però
vè anche una soglia oltre la quale la cosa diventa patologica e incide
negativamente sulla formazione. Se a forza di rincorrere spezzoni di lavoro per far
quadrare la giornata o la settimana o il mese, il giovane o la giovane salta da un
percorso formativo ad un altro, avanza sino a un certo punto nella sua formazione ma poi
interrompe perché, appunto, deve cambiare lavoro e imbocca un altro percorso formativo,
rischia di procedere in direzione di quella figura di cui i francesi riassumono le
caratteristiche dicendo: Bon à tout et capable à rien, in grado di
fare tutto ma veramente capace di non fare nulla. Quindi è importante che i giovani
abbiano questo senso di una soglia dove l'accumulo di specializzazione, l'accumulo di
formazione, diventa formazione dilettantesca in tanti campi piuttosto che un nuovo tipo di
formazione ibrida, però ampiamente consolidata, dai contorni ben definiti.
Domanda 8
La flessibilità intellettuale riuscirà mai a creare nuovi posti di lavoro?
Risposta
Di per sé, la flessibilità intellettuale, come l'altra flessibilità di cui ci parlano
ogni giorno, che consiste nell'accelerare l'ingresso e luscita delle forze lavoro
dalle aziende, temo che di per sé non crei nuove forme di lavoro e meno che mai nuova
occupazione. La flessibilità intellettuale è importante per cercare di trarre il meglio
dalla tecnologia e, in particolare, dalle nuove tecnologie. In presenza delle nuove
tecnologie, si corre continuamente il rischio di applicare strumenti nuovissimi, sia
tecnici sia conoscitivi a vecchie procedure, vecchi modi di organizzazione del lavoro.
Allora la flessibilità può essere molto importante per far sì che con le nuove
tecnologie si facciano effettivamente cose nuove invece di cercare di automatizzare le
vecchie, perché molte delle nuove tecnologie sono impiegate precisamente in questo modo,
si accetta in qualche modo la vecchia organizzazione, il corso tradizionalmente assestato
e si pretende di innestare qualche forma di nuova tecnologia. Questo è un grave errore
perché non si ottengono gli scopi che si volevano, e per di più si contamina, si
inquina, la reputazione delle nuove tecnologie. Dopo 1-2-3-5 insuccessi ci sarà sempre
qualcuno che dice Avete visto ? Abbiamo speso 10 milioni o 100 milioni o 1 miliardo
per rinnovare tecnologia e organizzazione e adesso lavoriamo peggio di prima. E
questo avviene perché si è applicata una tecnologia nuovissima a un modello
organizzativo vecchio. Se usando una buona dose di flessibilità intellettuale si riescono
a modificare i modi di lavorare, il modo di costruire, i modi di pensare affinché siano
sintonizzati con le nuove tecnologie, probabilmente si riuscirà sia a migliorare il
lavoro sia a fare un uso congruo delle nuove tecnologie e chissà che non si incida anche
positivamente sulle possibilità di occupazione.
Domanda 9
Esiste, secondo lei, la giusta attenzione alla definizione e tutela dei nuovi diritti di
chi telelavora?
Risposta
Il telelavoro è un po' tutto da inventare e su di esso sicuramente girano molti equivoci.
Io credo che la questione dei diritti di chi telelavora vada esaminata insieme alla
questione del: Come mai in presenza delle nuove straordinarie tecnologie che stanno
da tutte le parti, il telelavoro in Italia, ma anche altrove, si è così poco diffuso
?, perché questa è la domanda da cui si dovrebbe partire. E le risposte non sono
del tutto scontate. Una delle risposte è che il telelavoro a molti non è gradito per il
grandissimo numero di controlli a cui esso è sottoposto. I dirigenti del personale, gli
imprenditori, i capi azienda, eccetera, hanno un sacrosanto terrore all'idea che qualcuno,
non visto da loro, possa lavorare da qualche parte e si chiedono se fa delle pause più
lunghe del necessario, se lavora nei tempi convenuti, se esegue esattamente il compito che
gli è stato o le è stato prescritto e quindi, per avere risposta a queste angosciose
domande, moltiplicano i controlli. Qui entra in campo la questione dei diritti perché il
telelavoro sicuramente dà origine a nuove forme di doveri ma dovrebbe dar luogo anche a
nuovi diritti. Però la questione dei diritti non può essere posta sul tavolo in modo
indipendente da quelle altre ragioni che dicevo, le ragioni per cui il telelavoro trova
ancora molte resistenze. Il telelavoro si diffonde poco perché i controlli sono
assillanti ma si diffonde poco anche perché, se si pensa al telelavoro come qualcosa che
si svolge nell'abitazione, esso si scontra con altre realtà, si scontra col fatto che le
persone amano uscire di casa, amano cambiare ambiente, e soprattutto si scontra col fatto
che chi pratica assiduamente il telelavoro ben difficilmente fa carriera, perché in
unorganizzazione fare carriera significa essere presenti sotto gli occhi del capo,
significa essere presenti alla riunione giusta, significa farsi vedere, farsi sentire e il
telelavoro è qualcuno che lavora sì, e che però nell'organizzazione, di fatto, non
c'è. Quindi, tra i diritti del telelavoratore c'è anche il diritto a far carriera ma
questo non può essere erogato, elargito sulla carta. Va connesso a provvedimenti, a
interventi di tipo tecnologico e organizzativo che finora si sono visti in minima parte in
questo campo.
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