INTERVISTA:
Domanda 1
Vorrei parlare con Lei degli articoli, dei paragrafi, degli argomenti del libro Il
testo visibile, di cui Lei ha trattato il capitolo relativo alla storia della
visibilità testuale. Di cosa si tratta?
Risposta
Noi parliamo di testo, molto spesso facendo riferimento a tanti oggetti differenti, ad un
film, ad un romanzo, ad un racconto, ad una poesia. Il problema è che, anzi tutto, questi
oggetti sono molto differenti, e se andiamo a vedere che cosa essi hanno effettivamente in
comune, ci accorgiamo che hanno in comune il fatto che si vedono, che sono percepibili
intersoggettivamente, sono percepibili da parte di più soggetti. Questo è un primo
aspetto, ed è decisivo perché prende in considerazione questa percepibilità, questa
visibilità, che, a volte, diventa anche audibilità. Questi testi, questi oggetti,
possono svolgere il loro compito, che è quello di creare comunicazione pur nella
distanza, creare comprensione pur nella non compresenza fisica dei soggetti che
partecipano all'atto comunicativo, superando delle soglie, delle barriere di tempo e di
spazio. Ora, l'aspetto della visibilità del testo, determina, poi, delle caratteristiche
intrinseche molto importanti del testo. Pensiamo alla differenza tra un film, per esempio,
ed un romanzo, che è una differenza, innanzi tutto, di superficie visibile, di pelle. In
seguito avremo occasione di sviluppare meglio questo punto, ma diciamo fin d'ora che è
vero che sia il film che il romanzo, soprattutto il romanzo classico, tendono ad
introdurre il lettore o lo spettatore in un'esperienza di visionarietà, quindi tendono a
sollecitare un immaginario visivo; è anche vero, però, che questa sollecitazione parte
da due superfici visibili molto diverse. Tipicamente, nella storia della nostra cultura,
c'è stata una opposizione e un allacciamento tra due grandi forme di visibilità del
testo: la forma iconica, l'immagine, e la forma scritta. Da un lato, quindi, il soggetto
recettore è stato invitato ad un'esperienza di lettura, per così dire, reticolare, a
percorrere una rete di segni, potendo orientare il proprio occhio, la propria attenzione e
anche la propria ricostruzione narrativa dell'accaduto, in direzioni differenti, per
quanto disciplinate dalla superficie testuale. Dall'altro canto c'è stata invece
un'esperienza puramente lineare, ed in quella linearità era un aspetto molto importante.
In questo senso, parlare della visibilità del testo, dell'aspetto visibile del testo
costituisce una via privilegiata per affrontare una serie di problemi legati alla storia
del testo, alle forme che il testo ha assunto nella storia, soprattutto alle forme del
rapporto tra i testi e i soggetti che recepiscono, che leggono o che guardano questi
testi. Questo mi sembra un tema molto importante, in vista di un'apertura ad una sorta di
archeologia dell'ipertesto elettronico, di archeologia del multimediale.
Domanda 2
Quindi, l'alba del testo.
Risposta
Sì. L'idea che abbiamo seguito nel lavorare su questi materiali, nasce da un campo di
studi che potremmo chiamare "il campo di studi delle tecnologie del testo". Gli
autori che si sono applicati a studiare i rapporti tra le tecnologie che producono testi e
i testi stessi, hanno evidenziato come in corrispondenza di alcune grandi svolte
tecnologiche che hanno coinvolto direttamente gli oggetti testuali, vi sono anche delle
profonde trasformazioni nel rapporto fra persone e testi, e anche nella storia della
cultura nel senso più ampio. E dico subito che cosa intendo: un grande tema è quello
della nascita della scrittura. Che cosa cambia in una cultura quando si passa dalla
oralità alla scrittura? Si tratta di un tema sviscerato da vari autori. Potremmo
ricordare le ricerche di Henry Havelock, nel campo antropologico. A nostro avviso il tema
è molto interessante perché con la nascita della scrittura e, prima ancora, con la
nascita della figuratività, possiamo parlare della messa a punto dell'utenza del
testuale. Il testo è considerabile, al di là di tante considerazioni un po' sacrali - il
testo con la 'T' maiuscola, il testo intoccabile - che diamo per superate, è
considerabile un utensile, un oggetto che serve a qualche cosa. A che cosa serve? Serve a
costruire, lo accennavo prima, comunicazione a distanza, in condizioni di non compresenza.
Con la nascita della figuratività prima, con la nascita della scrittura poi, che, per
quanto riguarda la nostra cultura occidentale, come sappiamo, nasce circa nell'VIII secolo
a.C., e, dando per buone alcune acquisizioni dell'annosa questione omerica, anche il
racconto orale viene trasportato in racconto scritto intorno all'VIII secolo, tutte queste
tre grandi immersioni capitali danno corpo, danno materialità ad un utensile: l'utensile
testuale, il testo come oggetto, che serve a qualche cosa. A cosa serve questo oggetto?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare un passo indietro ancora più ampio e
reperire alcune testimonianze antiche, di cui parla, per esempio, un antropologo francese
molto famoso che è André Leroi Gouran; quest'ultimo ci riferisce come, intorno al
40.000-45.000 a.C., siano collocabili delle ossa a tacche, delle ossa di animali con delle
tacche. A che cosa servivano queste ossa a tacche? Forse a contare, ma questo non è molto
probabile; forse avevano uno scopo religioso, servivano, cioè, a salmodiare. Potremmo
dire che servivano a ritmare un'esperienza, l'esperienza religiosa, per esempio. Questo
fatto è molto importante, per rispondere alla domanda a cui stiamo cercando di
rispondere: a che cosa serve un testo. Nella sua forma primitiva, originaria, se assumiamo
questi oggetti come testi primitivi, il testo è uno strumento, un utensile che
serve non a dar forma al mondo e agli oggetti, come le asce, come i vari strumenti per
costruire altri strumenti o per modificare il mondo. Il testo serve a plasmare, a dar
forma alla esperienza umana. Ecco, allora, che l'"alba del testo" reca questa
idea fondamentale: nasce un nuovo oggetto, e questo oggetto, per esempio, da un punto di
vista ritmico nel caso delle ossa a tacche, serve a precostituire alcuni aspetti della
esperienza dell'uomo. E su questo primo oggetto si saldano una serie di invenzioni
successive, da cui sono partito per comodità, che sono: la figuratività, la scrittura e
il racconto. Si saldano in maniera molto naturale, molto immediata, affinché questo
strumento basilare sia sempre più preciso, svolga sempre meglio la sua funzione. Con la
nascita della scrittura e poi, insieme, del racconto, nel momento in cui è la stessa
esperienza della comunicazione orale ad essere materializzata sulla superficie visibile
del testo, ecco che questo strumento ha raggiunto un grado di sviluppo molto avanzato,
così avanzato che, sostanzialmente, lo usiamo ancora oggi così come l'abbiamo ricevuto
dall'VIII secolo a.C.. Lo usiamo ancora oggi tutti i giorni, per quando leggiamo un libro,
per quando leggiamo un romanzo, per quando leggiamo un racconto.
Domanda 3
Il testo antico da spartito a modello.
Risposta
In una prima fase della nostra cultura, nella fase del mondo antico, il testo ha una
connotazione di forte materialità. Assistiamo, anzi tutto in una prima parte, ad una
distinzione molto precisa tra il testo scritto e il testo iconico, l'immagine. Questi due
tipi di testo hanno degli usi differenti. Soprattutto nel testo scritto è molto forte
questo aspetto di materialità. Alcuni medici ellenistici davano queste ricette ai loro
pazienti un po' debilitati, un po' deboli: "leggete, perché il leggere è
un'operazione ritemprante, ma faticosa, molto faticosa". Pensate a cosa doveva
essere, per un lettore, avere di fronte o queste tavolette, oppure le pergamene trattate,
che avevano o la forma del "volumen", del "rotulo", oppure quella più
recente del "codex", che è la forma del libro. Comunque erano degli strumenti
molto pesanti. La lettura era resa difficile dal fatto che le parole non erano separate le
une dalle altre, quindi c'era un forte sforzo percettivo e cognitivo. Peraltro, il nostro
termine "leggere" nasce proprio dal latino, dal vocabolario latino della
raccolta del grano, dell'agricoltore: "legere" vuol dire
"raccogliere", raccogliere in covoni, e fa parte di una sfera metaforica per cui
lo scrivere era come tracciare dei solchi e seminare delle parole. Il lettore compiva
l'operazione stagionalmente opposta, cioè: raccoglieva il frutto di questa semina e li
raccoglieva in covoni. "Legere", appunto: "raccogliere". Bene, in
questo senso la lettura era anche un atto pubblico, e avveniva, praticamente, sempre ad
alta voce. Quindi era un atto fisico, un atto pubblico, molto legato alla linearità,
evidentemente. Questo stato di cose inizia a cambiare nel XII secolo, e conosce una lunga
trasformazione, dal XII al XIV secolo, in quanto i manoscritti cominciano a subire delle
trasformazioni. Dunque, attenzione: è ancora la superficie visibile del testo che cambia.
In che senso cambia? Nascono gli indici, per esempio; le parole vengono staccate, i vari
periodi vengono distinti, o sono scritti con inchiostri diversi.Il punto interessante è
che contemporaneamente nasce la lettura silenziosa. Quindi la lettura non è più un atto
pubblico e non è più neanche un atto assolutamente legato alla linearità dei solchi
dello scrivere, ma diventa un esercizio prettamente intellettuale e di ragionamento. Non
è un caso che si passa dalla cosiddetta monastica, cioè una lettura esercitata, appunto,
nei monasteri, ad alta voce, collettivamente o, comunque, fatta bisbigliando, borbottando,
alla lettura scolastica, cioè alla lettura universitaria, legata anche all'avvento della
filosofia scolastica, che è una filosofia che non segue più la linea del commento al
testo biblico, ma segue la linea del ragionamento sistematico. Dal punto di vista del
rapporto tra l'immagine e lo scritto, le immagini sembrano scomparire da questi testi. In
realtà che cosa sta succedendo? Sta succedendo che alcuni aspetti dello scritto
contagiano l'immagine, si fondono all'immagine, e viceversa, alcuni aspetti dell'immagine
contaminano lo scritto. In particolare era proprio dell'immagine -lo accennavo anche
prima- la possibilità di una lettura reticolare, di afferrare alcuni nessi di tipo
narrativo oppure di tipo logico, a vista d'occhio, immediatamente. Per esempio, era tipico
- lo troviamo molto spesso nell'iconografia medievale- un confronto di episodi dell'Antico
e del Nuovo Testamento: l'albero del Paradiso, l'albero dell'Eden e la Croce di Cristo,
oppure il sacrificio di Isacco e la Croce di Cristo. In tutti questi casi si suggeriva al
lettore una connessione a distanza tra gli episodi biblici, in maniera tale che gli
episodi del Vecchio Testamento anticipavano quelli del Nuovo, c'erano delle rime visive
molto forti, che permettevano questa connessione. Dunque, a colpo d'occhio, si individuava
una connessione. Questa immediatezza di comunicazioni, in qualche modo e in parte, si
trasferisce nel nuovo format grafico, nella nuova impostazione grafica, che riceve la
pagina scritta. Anche se, ovviamente, questi procedimenti non cessano di operare, anzi
continuano ad operare in maniera sempre più forte anche all'interno dell'immagine. In
questo senso possiamo parlare di un passaggio da un testo fortemente materiale a quello
che abbiamo chiamato un "testo spartito", cioè un testo che, a colpo d'occhio,
immediatamente, permette di cogliere delle connessioni.
Domanda 4
Quali sono i nuovi modelli di lettura che si affermano col libro a stampa?
Risposta
Questo passaggio ad una lettura silenziosa del testo scritto si estende, ha una
maturazione lenta. Inizia nel XII secolo, con una maturazione lenta fino al 1400-1500, nel
momento in cui anche la letteratura narrativa, intanto, sta nascendo - ricordiamo che nel
XII secolo inizia la nascita delle grandi letterature narrative nazionali, che però sono
ancora lette ad alta voce. L'avvento della lettura silenziosa rivela, lentamente, delle
conseguenze molto importanti. Anzi tutto abbiamo una diffusione della lettura e anche una
diffusione delle immagini, dovute, evidentemente, all'invenzione della stampa. Siamo, come
è noto, nella seconda metà del Quattrocento e la diffusione della tecnologia e della
stampa porta, a dei ceti sempre più allargati, la possibilità di leggere, ma anche di
vedere delle immagini, perché la stampa delle parole è legata anche alla diffusione
delle tavole, delle illustrazioni, soprattutto delle incisioni su legno. Nel frattempo,
dobbiamo considerare per il nostro discorso, due importanti innovazioni, poi vorrei aprire
una parentesi sul metodo che sto seguendo in questa riflessione. Una prima invenzione è
la stampa: la stampa è sorella gemella, per lo meno è coeva, di un'altra grande
invenzione della nostra epoca, che è l'invenzione della prospettiva. Ovvero, l'idea che
nel momento in cui io compongo una immagine, non documento soltanto una scena, documento
anche il fatto che questa scena è vista da qualcuno, poiché esiste un occhio che guarda
questa scena, in quanto tutta la scena è organizzata in funzione della posizione di
quest'occhio, di questo osservatore implicito. Questo è il nucleo sostanziale
dell'invenzione della prospettiva. La prospettiva inventa un osservatore implicito della
scena. La scena non è lì in sé, è lì perché c'è qualcuno che l'ha guardata da un
preciso punto di vista e tutta la visuale è organizzata in funzione di quel punto di
vista. Questa è una prima invenzione interessante. Seconda invenzione: a partire dal 1400
la lettura comincia ad avere una funzione spirituale molto importante. La spiritualità,
nel 1400-1500, subisce delle evoluzioni e diventa sempre di più una spiritualità
soggettiva, cioè la santificazione dell'individuo; in Occidente non passa semplicemente
attraverso la collettività o attraverso il fare, passa anche attraverso la crescita
spirituale interiore. Qual'è uno degli strumenti di questa crescita spirituale interiore?
E' la lettura. Non solo la lettura. Alcuni studiosi hanno notato come in questo periodo
nasce anche il "piano americano", cioè i santi - tipicamente la Madonna, il
Bambino, San Giovanni -, raffigurati a metà busto, ma non perché poi dovevano figurare
in un duello, come quando c'è un piano americano nei film, ma perché la statua di questo
nuovo formato doveva essere collocata nelle cappelle private, con la possibilità di
instaurare un rapporto diretto, a tu per tu tra il santo e l'orante, soprattutto
all'interno delle case borghesi, mercantili, quindi dei ceti medio alti. Ora, la lettura,
in questo contesto, assume un'importanza molto forte, perché è mediante la lettura o del
testo sacro o di testi di deità, appositamente approntati, che il soggetto evade dal
mondo e inizia una scalata spirituale, una scalata interiore. E' una tappa fondamentale
della storia della scrittura d'Italia, anzi, è il momento in cui nasce il termine stesso
di spiritualità in Francia. Cosa hanno in comune queste due invenzioni: la prospettiva e
l'utilizzo spirituale della lettura, che è un'invenzione di tecnica della spiritualità?
Hanno in comune il fatto che in entrambi i casi il testo (vi ricordate? Noi stiamo
lavorando sull'idea che il testo sia uno strumento che plasma un'esperienza del soggetto)
riceve una nuova specificità. Questo strumento, quest'utensile, plasma l'esperienza del
lettore, dello spettatore, introducendolo in un mondo altro, costruendo un accesso,
pilotando un accesso in un mondo diverso, altro, un mondo finzionale rispetto a quello in
cui il soggetto si trova a vivere. Quindi, la lettura o la spettatorialità diventano
sempre di più un'esperienza di superamento dello specchio di Alice. Ci sono tante
metafore, che poi la stessa letteratura e il cinema hanno inventato per esprimere questo
concetto del trapasso. Nel momento in cui il lettore legge, si immerge in qualche cosa. E
qui cominciamo a collegare una serie di fatti complessi: anzi tutto, l'evoluzione di nuove
tecniche anche all'interno della fibroattività, che mirano proprio ad introdurre il
lettore nella scena raffigurata. Tutta la pittura rinascimentale conosce una serie di
soggetti indicatori e di astanti, personaggi che non partecipano direttamente alla scena,
ma la guardano e la indicano; quindi danno istruzioni allo spettatore per penetrarvi,
oppure, più avanti, il trompe l'oeil, le finte architetture, tendono a rompere, a far
trapassare questo diaframma fra il mondo finzionale e il mondo reale. Nel campo della
letteratura nasce la grande forma del romanzo, come costruzione di un mondo di personaggi
e di ambienti estremamente complesso, estremamente articolato, che chiede al lettore una
lettura immersiva. E anche da un punto di vista di sociologia della letteratura, infatti,
ci sono molte testimonianze di questo tipo di lettura immersiva. Questa eredità è la
grande eredità che il romanzo, soprattutto, poi trasmette al cinema, nel momento in cui,
alla fine dell'Ottocento, una lunga e complessa serie di invenzioni tecnologiche giungono
a dar corpo a quella che era stata una grande utopia. Noi la chiamiamo cinema; potremmo
chiamarla fantasmagoria: l'idea di un rapporto molto immediato, molto diretto con delle
immagini, con delle ombre, con qualche cosa che non c'è. Il testo viene, ormai,
completamente smaterializzato. Non c'è più neanche la fisicità del libro, non c'è più
neanche la fisicità del quadro o della parete dell'affresco. Ormai il cinema è il grande
erede, in un certo senso, della vetrata medioevale, e poi della lanterna magica; è
l'erede di un certo tipo di testo che vive sull'assenza, di una corporeità precisa.
Abbiamo soltanto uno schermo. Ma proprio questa estrema leggerezza, questa estrema
inconsistenza fisica del testo congiura a favore di un pieno coinvolgimento nello
spettatore. E non a caso con il testo, con il cinema, prende corpo tutto un intero
dispositivo cinematografico: la sala, il silenzio, il buio, l'isolamento, e poi, con
l'invenzione degli anni Venti - Trenta del sonoro, un isolamento anche acustico. Ed è
molto interessante notare come il cinema sia stato fortemente anticipato da alcuni autori
della narrativa fantastica. Esiste un romanzo molto interessante di Giulio Verne, Il
castello dei Carpazi, che è uno degli ultimi romanzi di Verne, in cui il meccanismo
cinematografico, l'isolamento, il buio, questo gioco di specchi che propone delle immagini
che non ci sono viene fortemente tematizzato. Quindi è all'interno del gotico, della
letteratura gotica fantastica, che nasce quest'idea. Evidentemente questo a me sembra
molto interessante, perché quest'idea non è altro che la esasperazione o, se vogliamo,
una chiarissima esplicitazione di un desiderio, che è il desiderio di ogni tipo di testo:
quello del trascinare il proprio spettatore in un mondo altro, per certi aspetti anche il
mondo dei morti. La scena cambia in maniera molto forte a partire dagli inizi del
Novecento, quando la testualità comincia ad assumere delle forme nuove. Queste forme
sono, dapprima, quella del flusso prima radiofonico, poi televisivo - quindi testi in
continuità -, e, successivamente, quella dell'ipertesto elettronico. Non meravigli se
all'interno di una manifestazione legata alla multimedialità, soltanto alla fine e forse
in un tassello che può sembrare un po' sacrificato, si arrivi a parlare del testo
multimediale. In realtà a me pare che occorra collocare la multimedialità all'interno di
un contesto più ampio, di un panorama più ampio, come quello che abbiamo cercato di
tracciare. Che cosa avviene nel caso di ipertesto elettronico? Avvengono due cose
correlate su cui posso tranquillamente finire il mio intervento, perché tutto il mio
discorso voleva arrivare qui. Il primo fatto che accade è che il testo assume una nuova
forma visibile, una nuova visibilità. Il testo si smaterializza ormai quasi
completamente, non abbiamo nulla di fisicamente presente, come nel caso dell'ipertesto in
rete, e assume sempre di più - lo sappiamo, ormai - una forma reticolare, uno
spezzettamento dei contenuti e degli elementi in dei pacchetti, con un intreccio di
collegamenti. E' il trionfo di quella struttura reticolare che avevamo visto fin dalle
origini, presente tipicamente nel testo iconico, che rifluisce, per alcuni aspetti, anche
nel testo scritto e che, in questo momento, viene elevata alla ennesima potenza grazie
alle possibilità di questi labirinti rizomatici che gli ipertesti consentono. Questo è
un primo aspetto. C'è un altro aspetto, però, che tende a sfuggire alla letteratura su
questo settore, e costituisce una linea di continuità col passato. Prendiamo un settore
di ipertesti multimediali, come quello dei giochi di ruolo o dei giochi
"adventure". E' tipico di essi l'uso di una figura soggettiva: il giocatore si
trova nella posizione di uno dei personaggi, deve vivere un'avventura, risolvere dei
problemi perché il racconto continui. Allora che cosa ritroviamo qui? E' molto forte,
molto presente l'eco di quella utopia che era già nel romanzo, che era nel cinema:
trascinare il lettore dentro il mondo testuale, plasmare l'esperienza di fruizione come
esperienza di dislocamento, come esperienza di "trans", di trasferimento di sé
all'interno del testo. Quindi, l'ipertesto elettronico chiede, come e meglio del film,
come e meglio del romanzo, i nostri occhi, chiede le nostre voci, chiede i nostri tempi,
chiede il nostro tempo, chiede il nostro spazio. Pensiamo soltanto all'aspetto del tempo.
Certo, il romanzo chiede tempo per essere letto e il film chiede tempo per essere visto.
Ma nel caso dell'ipertesto multimediale, per esempio nei giochi di ruoli, nei giochi
adventure, il tempo è essenziale per strutturare la stessa avventura. Il racconto si
svolge con il tempo che io gli dedico. Quindi il mio tempo serve a nutrire il racconto che
si sviluppa. Questa linea di continuità con il passato mi sembra motivare alcuni ritorni
all'interno degli ipertesti contemporanei. L'importanza che ha il gotico all'interno dei
giochi di ruolo, l'immaginario del romanzo gotico viene riproposto all'interno di giochi,
con tanti mist. Mist, per esempio, nasce per dichiarazione degli stessi autori, da L'isola
misteriosa di Giulio Verne. Dunque isole, labirinti. La figura del labirinto è
importantissima, sia perché traduce visivamente - quindi, di nuovo vediamo come il
problema del visibile sia importante -, ciò che, visivamente, è assolutamente
invisibile: l'architettura logica sottostante l'ipertesto, l'architettura dei link che
struttura in maniera invisibile l'ipertesto. Labirinti, porte, trabocchetti, libri che
introducono a dei mondi, come appare, con una metafora lampante, all'interno:
mist-astronavi che trasportano su altri mondi, giochi di identità con i personaggi, il
problema del doppio; e poi, evidentemente, il problema del mostro, il gioco con le forme
che cambiano, le forme di personaggi in continua evoluzione, l'andare a fondo, lo scavare
non si sa verso cosa! Tutto questo immaginario ritorna all'interno degli ipertesti
multimediali; ma non ritorna, a mio avviso, soltanto perché i creatori sono a corto di
idee, ritorna a denunciare questa appartenenza non evidentissima, ma senza dubbio presente
e profonda, tra gli ipertesti elettronici e un immaginario legato alla testualità, legato
alla lettura, che opera ancora con estremo vigore all'interno della nostra epoca.
Domanda 5
Il testo televisivo, rispetto a quanto ha detto, è più vicino ad una funzione centripeta
e sequenziale o policentrica e reticolare?
Risposta
Nel libro il flusso l'abbiamo definito policentrico e sequenziale. E' una prima tappa di
ridiscussione degli statuti "classici" della testualità. Ed è una tappa di
passaggio importante, proprio per questa funzione di rimessa in discussione di alcuni
canoni di visibilità del testo tradizionale: la finitezza, appunto, il fatto che il testo
sia concluso. Apre la strada a quella discussione più radicale che viene messa in atto
dalla ipertestualità multimediale. Su questo io credo che occorra fare uno sforzo per
superare alcuni schemi un po' riduttivi del dibattito che c'è stato in Italia. Quali sono
questi schemi riduttivi? Sono quelli per cui si è visto il passaggio, si è letto le
trasformazioni della nostra televisione italiana. Sono state lette come un passaggio dalla
veterotelevisione alla neotelevisione. Sono termini che sono entrati nel linguaggio comune
degli studiosi, a partire dall'inizio degli anni Ottanta. Passaggio dalla
veterotelevisione alla neotelevisione. Quindi, la veterotelevisione come una televisione
che fa teatro televisivo, fa i grandi sceneggiati; quindi, una televisione pesante. Mentre
la neotelevisione è una televisione fluida, una televisione del flusso, non più della
programmazione. Si tratta di una televisione della commistione dei generi e non più di un
sistema di generi forti e definito. In effetti, io credo che questo sia vero, che ci sono
state queste trasformazioni, però vanno lette come un emergere dei caratteri peculiari,
propri del mezzo televisivo. Ovvero, quella che chiamiamo veterotelevisione, la
televisione delle origini del nostro paese, come in altri paesi, era una televisione che
applicava al mezzo televisivo dei parametri di testualità, dei canoni di testualità, che
non erano propri del mezzo televisivo, ma erano parametri di testualità propri del testo
classico. Dopo una certa ora la televisione si interrompeva, il flusso era
artificiosamente interrotto, con varie motivazioni, anche storicamente legittime, oltre
che storicamente attestate: il fatto che a un certo punto i ragazzini dovevano fare i
compiti, per cui non si poteva fare la TV dei ragazzi oltre le cinque e mezza; il fatto
che, ad un a certa ora, gli italiani dovevano andare a dormire, per cui si spensero gli
interruttori della centralina elettronica per interrompere uno sceneggiato; a quel tempo
non si registrava, si andava in diretta. Ma questa interruzione artificiosa del
palinsesto, del flusso, rappresenta, di fatto, un ragionare con degli schemi di
testualità obsoleti rispetto allo stesso mezzo; questo è il punto: un mezzo che è, per
sua natura, policentrico e sequenziale, e che quindi propone una serie di centri di
interesse, ma con una fluidità che è unica, che è propria del mezzo.
Domanda 6
E allora l'ipertesto elettronico sostituirà la policentricità, la sequenzialità?
Risposta
Sì. Ma questi due fratelli, uno minore e uno maggiore, che sono il flusso radiotelevisivo
e l'ipertesto elettronico, credo che continueranno a convivere. Il punto di vista di chi
pensa che un nuovo mezzo o, nella nostra ottica, una nuova forma di testualità debba
immediatamente, automaticamente annichilire quelle precedenti, io credo che non funzioni.
Piuttosto, la storia dei media, la storia delle testualità è una storia che avanza per
sedimentazione. No, io non credo. Credo, invece un'altra cosa: che la connivenza di più
forme testuali porterà sempre di più - lo stiamo vedendo -, ad una presa di coscienza
dello specifico di ciascuna di queste forme testuali, e, quindi, ad un utilizzo al meglio
da un punto di vista di sfruttamento degli aspetti specifici. Quindi, direi, in un certo
senso, che gli ipertesti fanno bene alla televisione e anche che la televisione fa bene
agli ipertesti, per altri versi.
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