INTERVISTA:
Domanda 1
Potrebbe dare una definizione dell'architettura virtuale?
Risposta
E' difficile definire l'architettura virtuale. Penso non ci sia una sola definizione
valida. Ce ne sono molte e si possono considerare diverse cose come architettura virtuale.
La virtualità è un'estensione di tutto ciò che è realtà, come sostiene Gilles
Deleuze. C'è dunque un ambiente virtuale nel quale gli architetti possono lavorare, e si
potrebbe aggiungere che tutti gli architetti sono in fondo "virtuali", poiché
non fanno altro che concepire le loro costruzioni e non le costruiscono. Per quanto mi
riguarda, il potenziale più interessante che la virtualità può offrire sta
nell'ambiente virtuale, ambiente nel quale le nozioni classiche di geometria o di peso non
valgono necessariamente, e certe forze, che non è possibile realizzare nella realtà, si
possono simulare grazie appunto alla virtualità. E questo è un fatto che arricchisce
enormemente l'architettura. Al di fuori di quest'ambito, di questo potenziale, si può
parlare di un'architettura per uno spazio virtuale. Quello virtuale è infatti uno spazio
che si aggiunge allo spazio reale nel quale si vive, o si è abituati a vivere. Progettare
architettura per questo spazio fa parte, deve far parte ormai dell'attività degli
architetti e del loro mestiere. Per quel che mi concerne, questa non è la mia occupazione
primaria, ma penso che ci siano molte persone interessate a questo aspetto della
virtualità nell'architettura.
Domanda 2
Generalmente, quando si pensa all'architettura si pensa a qualcosa di costruito, e sembra
ci sia una contraddizione nel concetto di architettura virtuale?
Risposta
Spesso, e a torto, si mettono a confronto reale e virtuale, o attuale e virtuale. Il
virtuale è l'estensione del reale, e penso che non ci sia un'architettura del virtuale
così come ne esiste una del reale. Si può creare architettura per uno spazio virtuale,
ma un'architettura virtuale vera e propria non esiste. Tutta l'architettura che non viene
realizzata può essere considerata, a un dato momento, come virtuale, ma questa
opposizione tra architettura virtuale e reale mi sembra basata su falsi presupposti.
Domanda 3
E qual è, secondo lei, il limite dell'architettura virtuale?
Risposta
Penso che oggi siamo ancora alle premesse di quanto potrebbe offrire questo spazio che
viene detto virtuale, e si muovono appena i primi passi in questo spazio: sono come i
primi passi sulla luna di trenta anni fa. Oggi ci troviamo molto a disagio nella
dimensione virtuale, non abbiamo ancora raggiunto un perfetto equilibrio, lo stiamo ancora
cercando, e credo ci siano ancora numerosissimi aspetti da sviluppare in relazione allo
spazio virtuale. In un certo senso, occorre che esso venga architettato: bisogna che
architetti, artisti, filosofi e sociologi lavorino a questo spazio per circoscriverlo, per
poterlo sfruttare. Questo spazio esiste, solo che finora non si disponeva di tecnologie
che ci permettessero di sfruttarlo: oggi si cominciano a intravedere queste tecnologie, e
si svilupperanno ancora. Gli architetti dovrebbero interessarsi molto da vicino a ciò che
accade in questo spazio.
Domanda 4
Che rapporto cè fra le nuove tecnologie e larchitettura?
Risposta
La maniera più semplice di vedere le nuove tecnologie applicate all'architettura è nel
modo di incrementare la produzione, vale a dire di lavorare più velocemente. Oggi gli
architetti nel loro lavoro possono produrre una grande quantità di progetti, fino a
cinquantamila progetti per un palazzo o per un aeroporto, e con grande facilità grazie a
queste nuove tecnologie. Questo è l'aspetto più immediato: la rappresentazione dell'idea
diventa estremamente semplice, e la produzione può lavorare molto più facilmente e
rapidamente con le nuove tecnologie. Ma la cosa più importante, e che più mi interessa
in relazione alle nuove tecnologie è l'impatto sulla produzione stessa dell'architettura,
sul processo del design. In altri termini, l'architetto ha, o aveva, l'abitudine di
lavorare con la carta, le matite, i modellini: oggi il suo ambiente di lavoro è cambiato,
e gli strumenti con cui l'architetto svolge il proprio compito diventano estremamente
rilevanti. L'architetto non costruisce, contrariamente all'artista che dà vita a
un'opera, un testo o un'installazione: l'architetto progetta sempre un lavoro che dovrà
essere realizzato da altri, di qui l'importanza degli strumenti. Lo si può vedere
risalendo indietro nel tempo: gli strumenti con cui gli architetti hanno lavorato in
passato hanno influenzato enormemente la produzione dell'architettura. Oggi è possibile
immaginare che le nuove tecnologie, o le cosiddette nuove tecnologie, potranno influenzare
moltissimo il modo di lavorare dell'architetto. Gli architetti hanno l'abitudine di
lavorare con elementi statici: la carta, i modellini. Oggi con le nuove tecnologie si può
cominciare a introdurre le nozioni di tempo, di movimento, di flusso, fare simulazioni che
permettono all'architetto di operare diversamente, di immaginare lo spazio, di rapportarsi
ad esso in un altro modo, di affrontare l'architettura in un altro modo. C'è un terzo
punto che riguarda le nuove tecnologie, ed è la produzione stessa degli edifici,
anch'essa molto importante. Oggi esistono macchine a comandi numerici, ossia, a partire da
elementi disegnati al computer si possono ottenere direttamente parti di costruzione
prodotte a un costo identico a quello di una produzione su larga scala. Perciò anche la
nozione di produzione di massa si trasforma in una standardizzazione; particolari ed
elementi variabili si possono realizzare sempre allo stesso costo, e questo è un aspetto
importantissimo che oggi si presenta grazie alle nuove tecnologie.
Domanda 5
Pensi che gli architetti siano pronti all'utilizzo di queste nuove tecnologie, oppure sono
in ritardo?
Risposta
Non penso che ci sia un ritardo, ma piuttosto un sistema che si autoconserva. Le nuove
tecnologie sono arrivate molto rapidamente, e in brevissimo tempo si è realizzato un
mutamento radicale nell'ambiente di lavoro dell'architetto. Questo mutamento disturba
enormemente gli architetti abituati a metodi tradizionali. In genere un architetto elabora
un suo modo di procedere nel corso degli anni, ci lavora, lo sviluppa ulteriormente, ma è
molto difficile ottenere che egli cambi dall'oggi al domani il suo sistema di lavoro, o
che si trovi subito a suo agio in un ambiente diverso: questo crea enormi scompensi, e
perciò esiste una certa resistenza degli architetti a trasformare il loro ambiente di
lavoro e i loro metodi, a parte quei pochi che ci riescono. Uno degli esempi più
pertinenti è quello di Frank Gehry, che ha saputo continuare a lavorare secondo i suoi
sistemi, ma che nel fare ciò ha introdotto nuove tecnologie. In altre parole, Frank Gehry
ha l'abitudine di fare ampio uso di modellini: i suoi metodi risalgono a venti, trent'anni
fa, ed è riuscito a seguirli nel suo lavoro, soltanto che oggi ricorre anche alle nuove
tecnologie, scannerizza i suoi modellini a tre dimensioni, li elabora al computer per poi
riprodurli con macchine a comandi numerici. Così ha progettato, per esempio, il Museo di
Bilbao, un esempio illuminante e importantissimo per l'architettura di oggi e il suo
legame con le nuove tecnologie.
Domanda 6
Come immagina una città del futuro?
Risposta
C'è un progetto a cui lavoro da due anni, che riguarda un quartiere di Tokyo. Credo che
una delle prime cose che si potrebbero fare è cominciare a rimettere in discussione le
nozioni dell'urbanistica classica, che prevedevano composizioni assiali o una
sovrapposizione di elementi nella città. Oggi possiamo cominciare a lavorare su nuove
basi. La città è una realtà estremamente dinamica, è fatta di flussi, di movimento, e
anche se l'architettura è fondamentalmente statica la città è piena di vita, respira, e
così si può cominciare a immaginarla, a lavorare alle città con tutto ciò che esse
hanno di dinamico. Oggi è possibile simulare questi flussi, questi movimenti, per non
dire che si procederà a realizzare simulazioni scientifiche di intere città, e anche se
in certi casi la cosa è interessante di per sé, in effetti queste simulazioni possono
contribuire enormemente all'immaginazione degli architetti in rapporto alle città, alla
loro gestione, alla correlazione fra i vari programmi, eccetera. Si possono ideare vari
scenari nei quali le città non sono come le concepiamo oggi a causa dei nostri strumenti
tradizionali, ma appaiono molto diverse da come le potevamo immaginare in passato.
Domanda 7
Come cambierà il rapporto fra uomini ed edifici in futuro nelle città digitali? Come
pensa che cambierà il rapporto fra gli uomini e i nuovi stili architettonici?
Risposta
A quel livello si possono immaginare diverse cose, ad esempio che la tecnologia si
applichi direttamente agli edifici: questo è un aspetto che già si comincia a
sviluppare, ossia, si vedono già componenti interattive, facciate, elementi mobili e
altre cose del genere. Ma soprattutto credo che la città cambi completamente perché le
viene aggiunto uno spazio che non è il suo spazio reale ma quello virtuale, e questo mi
sembra di grande importanza. Ciò modifica profondamente il rapporto fra lo spazio e gli
individui. Oggi le persone entrano in gioco nel momento in cui si collegano in diretta via
Internet o per altre vie a tre città contemporaneamente, e dialogano in tempo reale.
Questo comporta una enorme trasformazione del nostro rapporto con lo spazio, ed è più
questo rapporto a modificarsi che non lo spazio in se stesso. Si può immaginare o
fantasticare di uno spazio più interattivo, uno spazio in movimento, ma in definitiva
credo che la più radicale trasformazione in rapporto al nostro spazio sia questa
compressione dello spazio che si viene a ottenere. Lo spazio è compresso nella dimensione
virtuale, e questo modifica radicalmente il nostro rapporto con la città e il suo spazio.
Domanda 8
Lei ha studiato negli Stati Uniti. Per una persona come lei, nata in Europa, quali stimoli
sono venuti da quell'esperienza in America? Aveva deciso di studiare in quel paese per
qualche ragione particolare?
Risposta
Anzitutto sono nato sulle rive del Mediterraneo, e non in Europa, bensì in Libano. Ho
studiato architettura a Parigi, e in quel periodo, erano gli anni Ottanta, mi accorsi che
in Europa non si affrontavano problematiche veramente innovative in rapporto
all'architettura. Per questo mi interessai molto di più a quanti esercitavano e
insegnavano negli Stati Uniti, piuttosto che agli europei; in altre parole, l'architettura
in Europa, e specialmente in Francia, mi annoiava terribilmente, e perciò avevo sempre il
desiderio di partire, di entrare finalmente in contatto con persone interessanti. Negli
Stati Uniti lavoravano molte persone che stavano elaborando teorie che mi apparivano molto
più rilevanti che non le costruzioni semplici e le facili commissioni così frequenti in
Francia e in Europa negli anni Ottanta.
Domanda 9
Oggi la figura dell'architetto, soprattutto in Europa, sembra essere in grave crisi: quali
pensa dovrebbero essere le strategie di un giovane architetto nell'Europa di oggi?
Risposta
Sì, sono giovane, e mi sarebbe piaciuto fare molto di più di quanto mi è possibile al
momento, ma purtroppo spesso manca il tempo, ventiquattr'ore al giorno sono un periodo
alquanto limitato. Credo comunque che la cosa più importante, soprattutto nel momento
presente, all'alba della nuova era digitale, sia fare attenzione. Al giorno d'oggi
produrre belle immagini è un'impresa alla portata di tutti, non c'è bisogno di essere
architetti a tal fine, e in un certo senso qui sta il pericolo di quest'era digitale,
nella quale l'architettura potrebbe anche colare a picco. Ciò che reputo importante, e
che cerco io stesso di fare dedicandovi una parte consistente del mio lavoro, è l'essere
in grado, ancor prima di fare l'architetto e costruire palazzi, di costruire un pensiero.
Oggi per diventare architetti occorre saper costruire il proprio pensiero, fare qualcosa
che non sia solo l'immagine, o la produzione diretta. Gli strumenti attuali richiedono
un'attenzione molto speciale per il modo in cui si procede nel nostro lavoro. C'è una
parte teorica che occorre sviluppare e che è di fondamentale importanza: in Europa,
però, negli ultimi anni, e mi riferisco soprattutto alla Francia, ci si è
sostanzialmente disinteressati della teoria dell'architettura. Ora, non dico che bisogna
diventare dei teorici puri, sebbene vi siano molti che guardano con interesse a una teoria
dell'architettura, ma un architetto deve essere capace, a sua volta, di costruire il
proprio pensiero, di esprimerlo con estrema chiarezza prima di passare alla fase della
costruzione degli edifici che esistono nella realtà.
Domanda 10
Quali sono le difficoltà che incontri nel tuo mestiere?
Risposta
Credo che le maggiori difficoltà provengano dalla resistenza di certi ambienti. Si sente
continuamente parlare di una crisi generazionale, che in sé è un fatto normale e
governabile, ma che nella fattispecie viene esacerbata dall'introduzione delle nuove
tecnologie, poiché in effetti fra le generazioni viene a crearsi una spaccatura profonda,
e di natura diversa rispetto a quanto poteva avvenire in passato. Da qui potrebbero
provenire le maggiori resistenze, ovvero da una mancata comprensione di quella che è la
nostra ricerca, del nostro lavoro, che viene preso per l'appunto per una forma di
architettura virtuale, ossia priva di qualsiasi legame con la realtà. Questo, a mio
avviso, è l'errore più grave, al quale si deve sempre fare attenzione per evitare di
sprofondare in ciò che, a torto, viene chiamata architettura virtuale, ossia qualcosa che
sta al di fuori dell'architettura. Ma l'architettura virtuale è nella realtà, deve
esistere nella realtà.
Domanda 11
In che modo questo sarà possibile?
Risposta
Come dicevo poc'anzi, l'architettura virtuale non è in opposizione con la realtà. La
virtualità, lo spazio virtuale è un'estensione dello spazio reale, soltanto che cambia
l'ambiente di lavoro dell'architettura, e anche lo spazio stesso si trasforma a causa di
questa estensione. Per fare un esempio: quando si guarda si ha il cosiddetto spettro
visivo che ci permette di vedere un campo limitato, fra raggi infrarossi e ultravioletti.
In definitiva, mi piace considerare lo spazio virtuale come una protesi che, una volta
applicata, ci permette di vedere ultravioletti, infrarossi, e lo spazio nel quale si vive.
In fondo i computer di oggi non sono che delle protesi che ci consentono di penetrare in
questo spazio virtuale, che viene ad aggiungersi ed è un'estensione dello spazio reale, e
che certamente non si trova in opposizione o in contraddizione con esso.
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